La morte di Lorenzo Seminatore, studente torinese ventenne consumato dall'anoressia, lascia un carico enorme di responsabilità. Lo lascia ai suoi genitori, che nel loro calvario e nel loro percorso di espiazione di colpe che non hanno, sentono il dovere di sensibilizzare la politica e le istituzioni perché evitino altre tragedie. Lo lascia a chi ci governa - in Parlamento o alla Regione - perché inserisca i Disturbi del comportamento alimentare nei Livelli essenziali di assistenza, finanzi strutture adeguate alle cure in tutto il territorio, formi e assuma personale specializzato, faccia prevenzione nelle scuole.

E lo lascia al mondo dell'informazione che dopo aver consumato l'argomento, lucrando ascolti e like, lo dimenticherà sino alla prossima morte, come sempre accade. I Disturbi del comportamento alimentare non devono scomparire dalle agende di operatori dei media e politica. Tremila morti all'anno sono un'emergenza, come lo sono tre milioni di persone affette da anoressia, bulimia, ortoressia, binge eating. Disturbi dai quali si guarisce spesso dopo molti anni, durante i quali si ha bisogno di supporto psicologico, psichiatrico, nutrizionale, internistico, educativo, infermieristico. Ma spesso si verificano complicanze, talvolta fatali, che rendono necessarie altre cure, altre spese, altre sofferenze per pazienti e famiglie. Per questo occorre dare risposte a chi oggi, in Sardegna, non sa che cosa fare. A chi all'improvviso si convince di essere inutile, incapace e vive nell'ansia, si fa paralizzare dall'insicurezza, prova un senso di fallimento e si rifugia in quella "cuccia calda" che si chiama anoressia, che poi è rifiuto della vita, volontà di autodistruzione ma anche una sofisticata richiesta di aiuto da parte di un essere umano disperato. Così disperato da sviluppare quella forza sovrumana necessaria per vincere la fame. L'unica forza che sentono di avere.

Meglio rifugiarsi in quella cuccia che affrontare il mondo, che soddisfare aspettative di altri, che continuare a far finta di essere altro rispetto a quello che si è senza capire che sì, persino in questo mondo si può essere accettati per ciò che si è. Ma la battaglia con il cibo nasconde altro. Un disagio profondo. Ci vuole tempo, quasi sempre anni, per capire che cosa scateni tutto ciò. Serve pazienza, serve coinvolgere famiglie, affetti. Bisogna farsi aiutare. Ma farsi aiutare non è facile. Perché chi ha questo tipo di disturbo inizialmente non vuole riconoscerlo. Un'anoressica continuerà a vedersi grassa e non vorrà essere disturbata nella sua azione di controllo, nella sua maniacale e ossessiva rappresentazione del disagio. Per questo resisterà strenuamente alle pressioni dei genitori, del partner, degli amici. Occorreranno pazienza e costanza e quando deciderà di farsi visitare servirà ancora pazienza. Occorrerà sapersi contrapporre a una forza di volontà estrema guidata da un'ossessione costante e distruttiva che alberga nella loro mente e suggerisce comportamenti contrari alla ragione.

Per questo devono farsi aiutare anche i familiari che saranno devastati da una malattia capace di corrodere anche la loro vita mettendo in discussione rapporti, equilibri e salute.

Oggi a chi si può rivolgere chi ha questo problema in Sardegna? Ci sono pochi punti di riferimento pubblici. A Cagliari un ambulatorio aperto due volte alla settimana nel Centro di salute mentale della Assl e la clinica di neuropsichiatria infantile dell'Infanzia e dell'adolescenza dell'università, a Olbia il dipartimento salute mentale e dipendenze della Assl; alcune organizzazioni private - la principale è Ananke - che mettono a disposizione specialisti; a Iglesias Lo Specchio, struttura residenziale con sei posti letto. Mancano strutture diffuse nel territorio, mancano reparti specializzati per acuti, manca personale in grado di affrontare le emergenze. Spesso per curarsi si è costretti a rivolgersi a centri della penisola, se le Assl regionali autorizzano il piano di cura. Ma è un grande disagio per le famiglie che peraltro devono affrontare spese non indifferenti. I genitori di Lorenzo hanno raccontato di aver curato il figlio, fino a che hanno potuto decidere per lui, perché se lo potevano permettere. E gli altri? Che cosa fa chi deve pagarsi ogni esame, ogni visita specialistica? Che cosa fa chi ha un figlio in pericolo di vita? Che cosa fa chi ha un figlio che deve essere alimentato con un sondino naso-gastrico? Tanto più che questi disturbi durano anni, talvolta decenni. Quella contro i Disturbi del comportamento alimentare è una sfida molto difficile per tutti. Che può essere vinta dai pazienti e dai loro familiari solo se si è capaci di accettare di perdere molte battaglie. Le vittorie raramente sono definitive, idem le sconfitte. Occorre fidarsi dei terapeuti. Occorre accettare il decorso schizofrenico, occorre avere pazienza e lungimiranza, occorre acquisire almeno la certezza che il tunnel è lungo più di quanto si sarebbe disposti a sopportare ma la luce c'è, sempre. Occorre che tutti - pazienti, familiari, amici - siano più forti dell'insopportabile, che si ricoprano di amianto per non essere sopraffatti dalle fiamme dell'inferno dalle quali saranno avvolti.

La morte di Lorenzo Seminatore, un morto visibile tra tanti invisibili, deve responsabilizzare su tutto questo. Ma deve anche insegnare al legislatore che un anoressico, anche se è maggiorenne, non è in grado di decidere da solo se farsi curare o no. E' il mostro che si è impadronito di lui a guidarne le decisioni. Chiunque si occupi di Disturbi del comportamento alimentare sa che è così e per questo occorre avviare un dibattito serio sul trattamento sanitario obbligatorio. Provate a immedesimarvi nei genitori del ventenne morto a Torino che hanno dovuto assistere inermi e impotenti all'autodistruzione del figlio che amavano più di ogni altra cosa. Solo così potrete capire quanto è importante combattere per un sistema che garantisca cure diffuse nel territorio in centri adeguati nei quali sia possibile, davanti alla certezza di avere davanti un suicida, intervenire per salvare una vita.
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