Alla fine è stato un 3-3. Che non è un pareggio, perché in politica bisogna sempre considerare anche la tendenza. Ci sono vincitori che non si possono esaltare e vinti che non si devono demoralizzare.

Tra Salvini che puntava al 6-0 e il centrosinistra che si sarebbe accontentato malvolentieri anche di una sconfitta per 4-2, arriva il risultato che non ti aspetti. Emiliano che straccia Fitto e viene confermato a presidente della Regione Puglia, Giani che in una sifda senza storia batte di ben otto punti percentuali la Ceccardi, data persino in leggero vantaggio negli ultimi sondaggi.

Ma andiamo per ordine e partiamo dai due "imperatori". Quello del Veneto Luca Zaia che ottiene il risultato più bulgaro della storia delle elezioni regionali e con il 76,79% supera di 60 punti il candidato del Pd Arturo Lorenzoni (15,72%). Non pervenuti i candidati M5S (3,25%) e Italia Viva (0,62%). In Campania un'altra vittoria bulgara di De Luca, che prende il 69,48% contro il 18% di Caldoro e il quasi 10% di Valeria Ciarambino, candidata M5S.

Entrambi i governatori hanno incassato i risultati dell'emergenza coronavirus, che finora hanno gestito meglio di altre Regioni e che ha dato loro una visibilità che ha giovato in chiave elettorale.

Facile anche la vittoria di Giovanni Toti in Liguria, dove non ha funzionato l'alleanza Pd-M5S che ha candidato il giornalista del Fatto Quotidiano Ferruccio Sansa (56 a 38,9%). Nelle Marche Francesco Acquaroli di Fratelli d'Italia ha vinto contro un centrosinistra diviso. Il Pd e Iv hanno presentato Maurizio Mangialardi, che ha perso di 12 punti percentuali, ma non sarebbe bastato neanche l'8% del candidato M5S alla coaliizione di governo per spuntarla.

Le due sfide più attese vanno al centrosinistra. Fallisce l'assedio di Salvini alla Toscana: la Ceccardi prende pochi voti anche nel paese di cui era sindaco, e il testa e testa si trasforma in un +8 di Giani sulla leghista, con Irene Galletti dei 5 Stelle che si ferma al 6,4%. In Puglia Emiliano nonostante una coalizione profondamente divisa dà 8 punti a Fitto (46,78 a 38,93%). Solo l'11% per la pentastellata Laricchia, l'1,6% per Scalfarotto di Italia Viva e Azione.

VINCITORI E VINTI - Chi vince, da fermo, è Nicola Zingaretti. Un po' Steven Bradbury, il modestro pattinatore su ghiaccio australiano che porta a casa l'oro alle Olimpiadi di short track a Salt Lake City perché tutti gli avversari cadono, sia in semifinale che in finale. Già era pronto il processo in caso di sconfitta in Toscana e Puglia, già circolavano i nomi dei sostituti alla guida del Pd. E invece lui porta a casa tre Regioni su sei: un Pd che pare rivitalizzato rispetto alle ultime debacle elettorali è la lista più votata in 4 Regioni su 6 (si escludono ovviamente il Veneto, ma anche la Liguria, dove tuttavia la lista dem è seconda solo a quella del governatore Toti e prende più voti della Lega). Ora il segretario può battere i pugni al tavolo del governo Conte. Per un rimpasto o per questioni di merito come il Mes e il decreto sicurezza. Dopo aver vinto da fermo può iniziare a muoversi. Ma non si galvanizzi troppo: occorre sempre ricordare che le vittorie in Campania e Puglia sono frutto di uomini forti e radicati sul territorio, che hanno stretto accordi anche con personaggi chiaramente non di sinistra per portare a casa la rielezione. Il Pd, insomma, non è ancora il primo partito. E' tutto da dimostrare.

Il M5S è destinato all'irrilevanza, prova infatti ad intestarsi il sì al referendum ignorando i risultati disastrosi che arrivano dalle Regioni. Perde nell'unica Regione in cui si era alleato col Pd (la Liguria). In Toscana, dove alle politiche prendeva il 25, si ferma al 6%; nelle Marche, dove andava oltre il 35, non supera il 9%; in Veneto praticamente non esiste più e anche nelle Regioni del Sud dove era fortissimo va male. In Campania sotto il 10%, in quella Puglia dove si puntava alla vittoria ed era andato persino Di Battista si ferma all'11%. Un disastro che impone una scelta. L'ambizione del terzo polo tramonta definitivamente, e i 5 Stelle devono decidere da cha parte stare. I militanti su Rousseau si sono espressi per un'alleanza col centrosinistra, i dirigenti non li hanno ascoltati e hanno preso sconfitte ovunque. Ora si indebolisce anche la loro posizione all'interno del governo, e saranno costretti a ingoiare il Mes, ma fra Tav, Tap, Ilva e allenze sembrano abituati.

Ma il grande sconfitto è Matteo Salvini. Puoi anche dire che governi 15 Regioni su 20, ma se dici 6-0 e poi finisce 3-3 hai perso. Il leader della Lega ha puntato tutto sulla Toscana e sulla Ceccardi, ha cambiato il tipo di campagna elettorale rispetto all'Emilia Romagna ma ha perso di nuovo, e neanche di poco. Il feudo rosso è inespugnato, la lista del Carroccio finisce dietro a quella del Pd in tutte le Regioni, Veneto a parte. E ora Salvini deve guardarsi all'interno: il risultato in Veneto, dove la lista di Zaia supera il 44% e quella della Lega si ferma al 16,9%, è un importante campanello d'allarme. Il Veneto, da sempre una delle roccaforti del Carroccio, preferisce il pragmatico autonomista Zaia all'urlatore nazionalista Salvini. La sfida alla leadership è lanciata. E non solo nella Lega, anche nel centrodestra, dove Giorgia Meloni non sfonda ma tiene. Ottiene buoni risultati ovunque ed espugna una roccaforte rossa (le Marche) col suo candidato. L'ex ministro che voleva dare la spallata al governo ora deve guardarsi le spalle: Zaia e Meloni lo incalzano.

Un altro sconfitto è senz'altro Matteo Renzi. I risultati dimostrano che Italia Viva non è poi così piena di vita. Aveva puntato molto, con Azione di Calenda, su Scalfarotto in Puglia in chiave anti-Emiliano, ma è andato anche oltre le peggiori aspettative, racimilando l'1,6%. Daniela Sbrollini in Veneto non arriva neanche all'1%, in Liguria Massardo si ferma al 2,4%. Anche nelle Regioni in cui si presenta col Pd i risultati della lista lasciano molto a desiderare: 3,2% nelle Marche, 7,4% in Campania e solo il 4,5% nella sua Toscana, dove però è stato il primo ad indicare Giani come candidato. Per Renzi vale quanto detto per i 5 Stelle: l'ambizione centrista, al momento, non è percorribile. Da una parte c'è la destra dominata dal duo Salvini-Meloni, dall'altra c'è un perno, il Pd, attorno a cui bisogna ruotare. Tertium non datur.
© Riproduzione riservata