Donald Trump è stato buttato fuori - letteralmente - dai principali social network, perché reo di aver violato, e a ripetizione, diverse regole della netiquette, quella universale, non scritta, ma ovunque accettata, e quella particolare dei vari Twitter e Facebook.

Nel dettaglio, il presidente, ormai uscente, degli Stati Uniti nel tempo ha divulgato sui suoi profili (privati, vista la scelta di non avvalersi in via preferenziale di quelli ufficiali della Casa Bianca, per poter andare a ruota libera) notizie palesemente false, teorie "mediche" controverse nonché pericolose, pesantissime accuse non comprovate di brogli elettorali alle ultime presidenziali e, least but not last, è accusato di aver addirittura incitato i suoi sostenitori ad assaltare il Campidoglio di Washington e a ribellarsi per non permettere al Congresso di ratificare la vittoria di Joe Biden.

La cacciata di The Donald dai social è diventata inevitabilmente una delle top news di questi giorni e ha rinfocolato l'annoso, sociologico e anche filosofico dibattito sulla libertà di parola e la censura nell'epoca di internet.

I SOCIAL - Le reazioni sono state diverse e a vari livelli.

Primo livello, quello dei vertici dei social network, che hanno così motivato (nelle parole di Twitter) la drastica decisione di privare Trump dello spazio virtuale da dove rivolgersi ai suoi 88 milioni di follower: "Dopo un’attenta analisi dei recenti tweet dell’account RealDonaldTrump e del contesto in cui operava – con riferimento specifico a come questi messaggi venivano accolti e interpretati dentro e fuori Twitter – abbiamo sospeso in via definitiva l’account a causa del rischio di ulteriore incitamento alla violenza".

Un'extrema ratio - messa in atto dopo ripetuti ammonimenti apposti d'ufficio alle sortite sul web del presidente, bollate spesso come "controverse" - che per molti è coincisa anche con una precisa scelta "politica" degli stessi Twitter e Facebook, incardinata sulla violazione, da parte del magnate newyorchese, del "contratto" che tutti dobbiamo sottoscrivere quando decidiamo di aprire il nostro profilo.

Una scelta che per Twitter ha anche avuto contraccolpi economici mica da ridere, visto che le azioni del social hanno perso oltre il 6% proprio in virtù del provvedimento senza precedenti attuato contro l'uomo più potente del mondo.

I GOVERNI - Secondo livello, i governi. Universale o quasi è stata la condanna dell'atteggiamento di istigazione, o per lo meno di sottovalutazione, di Trump nei confronti delle frange estreme che hanno attaccato il cuore della democrazia americana. Diverso, invece, il discorso per quel che riguarda la chiusura dei suoi account.

"La cancelliera Angela Merkel ritiene problematico che sia stato bloccato in modo completo l'account Twitter di Donald Trump", ha detto il protavoce della stessa Merkel, Steffen Seibert.

"Ciò che mi chocca è che sia Twitter a decidere di chiudere il profilo di Trump", ha dichiarato invece il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, intervistato ai microfoni di radio France Inter. "La regolamentazione dei colossi del web - ha aggiunto - non può avvenire attraverso la stessa oligarchia digitale".

La preoccupazione di Berlino e Parigi, insomma, è che con la cacciata di Trump si possa creare un pericoloso precedente, della serie, "se oggi caccio il presidente degli Usa dai social, domani potrei farlo con la cancelliera tedesca, col presidente della Repubblica francese e magari con il Papa".

Dubbio comprensibile. Ma una domanda nasce spontanea: chi sta contribuendo a rendere Facebook, Twitter e compagnia le "piazze" di discussione pubblica più importanti e fondamentali della storia dell'umanità? Chi affida sempre e comunque - e sempre più spesso in via quasi esclusiva - i propri messaggi ai social network, contribuendo a rendere fondamentale la comunicazione attraverso tali canali? Risposta: gli stessi governi.

Quei governi che, tra l'altro, invocano - e talvolta implorano - regole più stringenti e algoritmi più severi per evitare il diffondersi di notizie false (si veda il polverone seguito alle elezioni presidenziali Usa del 2016) e che poi però sono restii a pretendere che i colossi del web paghino le tasse che sarebbe giusto che paghino. Così, giusto per fare capire chi è che dovrebbe comandare.

L'ITALIA - Guardiamo in casa nostra. Quante volte in questi mesi di emergenza Covid abbiamo atteso le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sui vari Dpcm fissando il cartello "Diretta alle 20.30" sul suo profilo Facebook?

E quanti esponenti dei vari partiti politici sono diventati, prima ancora che deputati, senatori o ministri, star del web con milioni di follower? Il Movimento 5 Stelle, in particolare, ha reso la Rete un viatico e un veicolo per far arrivare le sue istanze agli elettori-follower.

Che dire, poi, delle task force di esperti social strapagati e "strasgamati" che affiancano i principali leader della politica, italiana e internazionale, offrendo loro i migliori consigli per "dare in pasto" al popolo dei social post in grado di conquistare il maggior numero di like, commenti e condivisioni possibili?

Dunque, tornando al "caso Trump", ora ci si lamenta e ci si allarma che Facebook e Twitter possano piegarsi a fare politica, quando però è ormai assodata la prassi dei politici di piegarsi ai social network.

Chi invoca la censura o l'oligarchia digitale, infatti, cosa usa per veicolare i propri messaggi politici? Facebook e Twitter. E così, inevitabilmente, accresce il loro potere.

Chi, viceversa, ritiene cosa buona e giusta cacciare da Twitter gente come The Donald e, in precedenza, ha applaudito quando ai suoi post veniva impresso il marchio di "non verificabile", "controverso" o "fake news", rivendica per caso lo stesso trattamento a tutti i messaggi postati dagli utenti, soprattutto da coloro i quali si occupano della cosa pubblica?

Quando vedremo i bollini "controverso" su post tipo "Abbiamo abolito la povertà" o "Il caso Cucchi è la dimostrazione dei danni che crea la droga"?. Insomma, chi controlla il controllore?

Trump e i suoi tweet sono invece stati controllati. E "dopo attente verifiche" sono stati giudicati colpevoli di aver passato il segno. Dunque: cartellino rosso. Ma è innegabile che il suo sia un caso isolato. Quanti post di decine di migliaia di politici, in tutto il globo, estremizzano e mistificano la realtà, seminano zizzania, incitano alla violenza o propalano bufale? Decine di migliaia.

In questi casi, però, non arriva nessun provvedimento dall'alto. Sono invece gli utenti, i cittadini, a dover segnalare, dal basso, anomalie e violazioni e forse - forse - si provvede alla rimozione.

LA MORALE - La morale, dunque, qual è? Che tutti - leader, governi e social network - hanno il dovere di fermarsi, di guardarsi in faccia e di chiedersi: è giusto questo andazzo?

E' giusto che Twitter e Facebook tollerino tutto o quasi, ma non di tutti? E' giusto che i politici e i governi si preoccupino di una possibile monopolizzazione della comunicazione, contribuendo però ad ogni loro post a rendere ogni giorno più potente chi accusano di creare monopolio?

A quel punto, a bocce ferme, se sono davvero illuminati come dicono di essere, forse capiranno di essere schiavi entrambi, gli uni degli altri. E al contempo di contribuire, postando tutto e il contrario di tutto e gestendo il postato in maniera arbitraria e contraddittoria, a rendere schiavi gli utenti. Schiavi non dei poteri forti. Ma di contenuti troppo rapidi, veloci, d'impatto, dove si infila qualunque cosa, dalla fandonia alla teoria strampalata, passando per i gattini e le medicine alternative, per arrivare alla messa in discussione delle elezioni e alla violenza per "fare giustizia".

Non c'è bisogno di scomodare Umberto Eco per capire che mettendo sul piedistallo la comunicazione sui social, svelta, patinata, tutto fumo e niente arrosto, come unica comunicazione possibile si creano davvero legioni di imbecilli pronti ad assaltare i parlamenti in nome del nulla.

NUOVE REGOLE - Certo non si può chiedere al popolo di tornare a informarsi solo con libri e giornali. La tv? Per carità. Ma forse, magari, Facebook e Twitter e via dicendo, seduti al tavolo con i governi e i leader, potrebbero elaborare regole nuove.

Una sorta di "Carta dei diritti e dei doveri" della comunicazione sui social di quanti hanno la responsabilità del presente e del futuro di milioni di persone, con annesso decalogo dei diritti e dei doveri di chi invece i social è chiamato a gestirli. A un grande potere corrispondono grandi responsabilità. Anche per quanto riguarda i social.

Così forse si eviteranno altri "casi Trump". Ma, soprattutto, si potrà scongiurare la definitiva degenerazione dell'attuale sistema di comunicazione, che ormai influenza, e non poco, le dinamiche sociali e le convinzioni nei Paesi che si vantano di essere democratici.

Nell'attesa, ci si potrebbe invece affidare a un banalissimo accorgimento. Chiedere ai social network di inserire in calce alle loro testate una semplice frase: "Qui troverete solo opinioni. Per la verità, rivolgersi altrove".
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