Ufficio scarno, uno stanzone con una scrivania, computer sempre acceso per le videoconferenze e telefono che squilla ininterrottamente. Dal quinto piano del Palazzo Rosa, a due passi dalle cliniche e dal Santissima Annunziata, Marcello Acciaro dirige da due settimane l'Unità di Crisi Locale per il Covid19 istituita dalla Regione. Acciaro è arrivato da Nuoro (è direttore sanitario dell'Areus) quasi in contemporanea con il nuovo Commissario della Aou Francesco Soro nei giorni in cui si scopriva che negli ospedali centinaia di medici, infermieri e pazienti erano stati infettati.

Dottor Acciaro, la vostra nomina è sembrata una bocciatura in blocco della Sanità ospedaliero-universitaria sassarese. È così?

«Assolutamente no. Intanto conoscevo il dottor Soro da tanto tempo, anche in Lombardia, dove abbiamo lavorato entrambi e condiviso esperienze simili in realtà importanti. Ma, voglio essere chiaro, in questo momento tutte le barriere che normalmente dividono aziende diverse sono cadute. Combattiamo fianco a fianco contro un nemico comune. Domani magari queste barriere e queste incomprensioni torneranno, ma ora io mi sento regolarmente con tutti loro».

Esattamente qual è il ruolo dell'Unità di Crisi?

«Operatività h24. Ci aggiorniamo di continuo con videoconferenze, messaggi, telefonate. L'obiettivo è prendere decisioni coordinate. Sostanzialmente lavoriamo su tre sistemi principali: l'Azienda ospedaliero universitaria, rappresentata dal Commissario e dai direttori di Dipartimento, l'Ats con l'Igiene pubblica cioè il Dipartimento di Prevenzione. Infine l'Areus, che si occupa dei trasferimenti dei pazienti».

Sassari ha il maggior numero di contagi. Gli ospedali sono stati invasi dal virus.

«La situazione negli ospedali e soprattutto nelle case di riposo che si è creata qui non si discosta molto da quella di altre Regioni. Soprattutto nelle case di riposo ci sono persone fragili che vivono in strutture con molti spazi comuni e con visite dall'esterno. Basta un contatto e vengono contagiati tutti».

E per quanto riguarda gli ospedali? Ha riscontrato responsabilità?

«Questo è un virus terribile che non dà segni di presenza se non dopo qualche giorno. In ambienti confinati come gli ospedali, in determinate condizioni di umidità e dove c'è già un'alta concentrazione di malati e di persone si diffonde presto. Ci può essere la massima attenzione, ma qualcosa a volte sfugge, anche per un errore umano. È accaduto persino in Lombardia, in strutture con nomi importanti. Se gli operatori sanitari pagano un prezzo altissimo è perché si trovano in spazi concentrati; mentre se nel resto della Sardegna la diffusione è di gran lunga minore è perché le persone non escono di casa e stanno isolate. Ecco perché tendiamo a curare a casa la maggior parte dei positivi, quelli non gravi. Ora con l'esercito stiamo eseguendo la mappatura dei contagi in tutto il territorio».

Ma i dispositivi di protezione sono stati sufficienti?

«Anche questo è stato un problema nazionale che è legato a questioni diverse: la Cina ha bloccato tuta la produzione perché il virus si è diffuso proprio nella regione dove c'era la maggior parte di fabbriche. E sappiamo che carichi diretti qui sono stati stoppati. Non è che in Europa abbiamo trovato tutta questa solidarietà. Così ci siamo trovati in un momento molto delicato ad avere pochi presidi. In qualche caso abbiamo dovuto fare di necessità virtù e in altri abbiamo cercato di usarli con razionalità».

Quando finirà tutto questo?

«Avevo previsto che il picco in Lombardia sarebbe stato il 17-18 marzo. Ora c'è la caduta. Qui molto dipenderà dalle case di riposo per gli anziani che non a caso stiamo osservando da vicino. Ma nei numeri assoluti la situazione non è così grave: la partita si vince tenendo il più possibile le persone in casa. Se non succede qualcosa di imprevisto e se continueremo a rispettare le regole, a fine aprile potremo pensare di iniziare a fare cose diverse».

Franco Ferrandu

© Riproduzione riservata