La decisione è senza appello. Scolpita nel cuore della giustizia suprema del Consiglio di Stato: è vietato importare in Sardegna rifiuti da altre regioni. Le "Sale Segrete" della massima autorità giudiziaria amministrativa, nell'esclusivo Palazzo Spada, nel cuore di Roma, sono blindate come non mai. L'accesso è vietato. L'udienza è duplice, una alle 9 e l'altra alle 12. La materia è analoga, i contendenti sono diversi ma uniti dallo stesso obiettivo: scaricare in Sardegna una valanga di fanghi fognari pugliesi. I tempi, in questa dimora d'epoca, sono scanditi dalla logica della sintesi e della chiarezza. Non è il luogo delle arringhe a fulmicotóne. Le toghe sanno bene che le parole non hanno né seguito né attenzione.

Contano le carte

Quelle che decidono sono le carte. Il presidente della sezione quarta è uno dei numeri uno della massima giustizia amministrativa italiana. Gli interessi in gioco sono milionari. Vito Poli, a capo della sezione ambientale del Consiglio di Stato, ama assumersi l'onere delle decisioni sino a caricarsi il peso dell'estensione finale dell'ordinanza con la quale manda a farsi benedire tutte le pretese di coloro che volevano trasformare la Sardegna in una cloaca pugliese. I ricorrenti sono noti: la società Siged che gestisce la discarica Scala Erre di Sassari e la Domus srl, l'intermediaria di questo sterminato viaggio che dal tacco dello Stivale riversava tra Sassari e Magomadas camion su camion di fanghi fognari e puzza a volontà. Il ricorso mirava ad annullare l'ordinanza-sentenza del Tar Sardegna che due mesi fa aveva fatto saltare per aria ogni velleitario tentativo di proseguire in quel travaso di rifiuti dalla Puglia verso la Sardegna. Sul fronte avverso, schierati nella difesa della decisione del Tar, la Regione sarda e la Provincia di Sassari. In campo le punte avanzate dell'avvocatura regionale e del foro sassarese: Mattia Pani per la Regione e Francesco Carboni per l'ente intermedio. I giudici unificano le cause. Mezz'ora dopo le dieci l'udienza ha inizio. Dura cinque minuti. Giusto il tempo di confermare le tesi delle parti.

La sentenza

La sentenza - ordinanza dopo qualche ora è "legge". Niente premesse ma decisione secca, senza fronzoli, chiara e inequivocabile. I giudici della sezione quarta sono netti: «Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale respinge l'appello in considerazione: a) della insensibilità, rispetto alla sentenza della Corte costituzionale n. 12 del 2007, della clausola dell'A.I.A. che vieta l'importazione di rifiuti da altre regioni». Un verdetto tanto imponente quanto inappellabile. Decisione immodificabile visto che non esiste margine procedurale per impugnarla considerato che si tratta di un'ordinanza. I giudici di Palazzo Spada invocano l'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale, che vieta l'importazione di rifiuti da altre regioni. Il ragionamento dei magistrati è lineare. Il divieto a trasformare la Sardegna in una cloaca è contenuto in un atto autorizzativo vincolante che nessuno ha impugnato e che risulta essere stato adottato dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2007. Per la Regione e la Provincia di Sassari è una vittoria senza precedenti che costituisce una pietra miliare sulla vertenza ambientale. È evidente, infatti, che la decisione delle toghe romane avrà ripercussioni inimmaginabili sull'affare rifiuti visto che gran parte delle discariche dell'Isola, da Carbonia a Sassari, da Ottana a Serdiana, avevano chiesto giganteschi ampliamenti con l'obiettivo di importare una valanga di rifiuti dal resto d'Italia.

Pietra tombale

Questa decisione è una pietra tombale su un imponente traffico di rifiuti verso la Sardegna. La Regione e le Province, chiamate a concedere nuove autorizzazioni, non potranno che tener conto di questo pronunciamento della Corte alta della Giustizia amministrativa e rispedire al mittente quelle richieste di ampliamento funzionali a ricevere fanghi fognari o altri rifiuti in terra sarda. I giudici non hanno preso bene il ricorso dei gestori dei fanghi. Nel dispositivo finale lo esprimono in modo esplicito: gli appellanti sono condannati al pagamento delle spese di lite a favore di ciascuna parte costituita. Così deciso in Roma nella camera di consiglio. L'udienza è tolta.

Mauro Pili
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