“E’ chiaro che vinceremo. Dal 27 gennaio il mondo cambierà. Qui tutti mi dicono che prima votavano comunista, ma adesso non lo faranno più perché non sono più comunisti, adesso sono un’altra cosa”. Così parlava Matteo Salvini in occasione di un comizio elettorale a Modena il 7 gennaio ultimo scorso.

E lo affermava con convinzione e certezza sospinto dalla bramosia di declinare un voto di carattere regionale in una proiezione di voto nazionale inquadrata all’interno di un piano di conquista dell’intero territorio fisico dello Stato che avrebbe potuto agevolare e legittimare la sua ascesa in solitaria alla carica di Presidente del Consiglio.

La competizione è stata certamente accesa e la conquista dell’egemonia politica da parte di Bonaccini piuttosto faticosa laddove solo si consideri la pseudo metamorfosi culturale che pareva essere in atto in una regione tipicamente rossa per vocazione, naturalmente contraria alle politiche destrorse, e che pareva aver seriamente preso in considerazione l’ipotesi di un trionfo leghista e del correlato programma di governo, notoriamente orientato al contrasto all’immigrazione clandestina, ossia ad una tematica non solo particolarmente cara ad un territorio che aveva fatto dell’accoglienza la sua bandiera, ma anche completamente estemporanea rispetto alle problematiche di un governo regionale che negli anni si era rivelato eccellente.

Eppure, alla resa dei conti, qualcosa è andata storta. Quel “Popolo” che l’ex Capitano ha sempre chiamato “Sovrano”, e sul cui consenso aveva fondato le proprie personali ed individuali scelte politiche, elevandole addirittura al di sopra della legge per effetto della sola pretesa acclamazione democratica, lo ha tradito in nome della concretezza, della moderazione e del buon governo. E non solo in Emilia Romagna, ma anche, a ben guardare, in Calabria, ove nonostante la straordinaria vittoria della candidata Azzurra Jole Santelli, la Lega, percentuali alla mano, per la prima volta da mesi, non si è riconfermata come primo partito della coalizione ponendo le basi, per ciò stesso, per una più equa ridistribuzione del peso partitico dei vari componenti di una alleanza che, oggi più che mai, ha un disperato bisogno di riproporsi come fortemente centrista, democratica, cattolica, e non più come puramente e semplicemente autoritaria e conservatrice.

È cambiato il vento, e questo Matteo lo ha capito bene durante le operazioni di spoglio. Il neo populismo dei tempi moderni, interpretato sagacemente dal leader padano, e articolato sul pericoloso contrasto tra il popolo, inteso come conglomerato degli “ultimi” portatori di istanze ed interessi insoddisfatti, e detentori del potere politico costituito e quindi dell’ordine vigente che quegli stessi interessi erano stati incapaci di soddisfare, comincia a subire i primi contraccolpi dell’esasperazione mediatica e dell’avventatezza: “citofoni” a parte, su cui preferisco davvero non commentare, non basta gridare in piazza le criticità del paese dando sfogo alla pancia della gente facendo ingiustamente ricadere le colpe del malessere nazionale sugli stranieri ultimi tra gli ultimi, occorre fermarsi e concentrarsi sulle soluzioni.

Piaccia o no, Salvini è inciampato sulla sua stessa teatralità, inconcludenza e sulla sua incapacità pratica di governo. Il “tutto strategia e distintivo” non funziona più. Ma se così è, queste urne tanto attese, come vanno interpretate? È iniziato il declino politico di Matteo Secondo vittima, simpaticamente parlando, come Matteo Primo, del suo smisurato narcisismo? La risposta, secondo il mio modesto parere, è tutt’altro che scontata, e dipenderà in maniera prevalente dalla sua capacità di reinventarsi e di interpretare il nuovo e diverso sentimento popolare di ispirazione chiaramente democristiana che va prepotentemente avanzando. Intanto, perché, nonostante la sconfitta nella rossa Emilia Romagna, va comunque sottolineato che il comunismo culturale profondamente radicato nel DNA degli emiliano-romagnoli, ha smesso di porsi come unica ideologia esistente, sebbene nettamente prevalente, facendo passare attraverso le sue crepe, le luci di ideologie politiche anche contrapposte in piena violazione di ciò che fino a quel momento era stato un assioma incontrovertibile, tanto più laddove si consideri che il Governatore Bonaccini ha prevalso non tanto per la sua appartenenza al PD e quindi al potere costituito e radicato, quanto piuttosto unicamente per le sue straordinarie qualità dialettiche, operative, ed umane.

Quindi, perché la crisi del Partito Democratico, e dello stesso M5Stelle, divenuti col tempo partiti delle elite più rappresentative per essersi allontanati drammaticamente non solo dai propri presupposti fondanti ma anche, di conseguenza, dalla classe operaia di cui non riescono più, allo stato attuale, ad interpretare e declinare le esigenze, può ben divenire l’humus salvifico sul quale ricostruire un programma serio di governo e così riconquistare quella parte di elettorato consapevole che non ha mai voluto affidare alle impressioni della sola “pancia” il proprio destino e le proprie personali preferenze di voto.

Infine, perché il vero competitor di Salvini sono state le Sardine, le quali hanno avuto la straordinaria capacità di favorire il processo di riunificazione delle varie correnti sinistrorse, le quali, a loro volta, se vorranno porsi come davvero virtuose, potranno contribuire a favorire un clamoroso percorso di rinascita della sinistra che potrebbe addirittura convogliare intere falangi dei penta-stellati in un processo di unificazione egualitario fortemente rappresentativo. E allora? È presto detto: Salvini, sebbene abbia assaporato la prima dolorosa sconfitta, resterà in campo, seppure ridimensionato.

Galeotto fu il Rubicone, ma non tutti i mali in fondo vengono per nuocere.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata