A seguire dalla Sardegna il match politico in atto tra no Tav e sì Tav, cioè sull'utilità economica, o meno, dell'alta velocità ferroviaria fra Torino e Lione, o, magari, l'apprendere di un'altra vagonata di miliardi di euro che l'ente ferroviario di Stato destinerà al nuovo corridoio merci fra Milano e Budapest, s'andrebbe formando, più che qualche timida invidia, tanto, ma tanto forte malumore. Perché la nostra rete ferroviaria la si è lasciata, più o meno, a quella realizzata, negli ultimi tre decenni dell'800, dall'ingegner Benjamin Piercy. Quasi che il viaggiare in treno dovesse rimanere come il continuare ad usare, nel far di calcolo, un'addizionatrice meccanica Triumph.

Infatti, se con l'alta velocità del Freccia Rossa si coprono oggi i 576 chilometri tra Roma e Milano in 2 ore e 50 minuti, dai quasi 8 del 1900, ne occorrono invece ben 3 ore e mezzo per coprire, con il Pendolino, i 260 che dividono Cagliari da Sassari (ed ai tempi del Piercy le vaporiere d'allora ne impiegavano solo quattro, di ore). Eppure il treno, un po' dovunque, è considerato l'altro nome della velocità nel viaggiare: in Giappone, ad esempio, può raggiungere i 500 Km/h!

Non diversamente accade nell'isola per le merci, dato che le oltre 8mila tonnellate per chilometro, trasportate nella rete ferroviaria nazionale, qui nell'isola si sono ormai ridotte quasi allo zero. Eppure, secondo l'Osservatorio Eurispes, il trasporto merci su rotaia è molto più conveniente e sicuro di quello su gomma: dovrebbe quindi essere privilegiato nei progetti governativi.

Purtroppo, per riprendere l'osservazione iniziale, tra la nostra isola e le ferrovie c'è stato, da sempre, una sorta di diffidenza o, per meglio dire, una forte incompatibilità socio-politica. Nel senso, chiarisco, che non sarebbe mai maturato un chiaro legame che ne riconoscesse l'utilità economica ed i benefici sociali. E, aggiungo, non per colpa esclusiva di noi sardi. Anche se con le ferrovie non c'è poi stata poi molta consonanza. Tra l'altro ogni investimento ferroviario, da quel primo di fine '800 fino all'ultimo d'un secolo dopo, si andrà sempre con l'alternarsi di strombazzati annunci e di silenziose messe da parte. Tanto da far sì che la nostra rete ferroviaria sarebbe rimasta sempre una grande incompiuta. O, come nel caso dell'elettrificazione avviata ai tempi di Craxi, risoltasi in niente più che un evidente spreco di risorse assai poco comprensibile.

D'altra parte, ancora nell'ultimo ventennio, alla rete sarda sarebbero andate sempre solo le briciole, ed anche il futuro non sembra essere differente, se è vero, come parrebbe certo, che degli oltre 13mila milioni di euro di nuovi investimenti, le ferrovie statali ne investirebbero nell'isola solo 187, contro i quasi 3mila destinati alla Sicilia ed i 900 alla Campania. Ora, per meglio inquadrare il problema, ci sarebbe da domandarsi se le ferrovie sarde siano ancora utili e necessarie. O, meglio, se l'attuale rete ferroviaria risponda, o meno, ai bisogni di mobilità della nostra popolazione. Non sarà certo facile rispondere, considerate le attuali condizioni, non solo di lentezza, dei nostri treni. Attualmente, secondo i dati disponibili, ogni mese utilizzerebbero il treno poco più di 400mila persone per compiere mediamente spostamenti di non più di 40 chilometri.

Mentre sul percorso Cagliari-Sassari e viceversa, ad esempio, risulterebbero neppure 2mila, solo lo 0,5 per cento! Eppure, secondo uno studio recente, sarebbero oltre 25 mila i passaggi mensili fra le due maggiori città dell'isola, di cui circa l'85 per cento compiuti con auto private. Ci sarebbe, quindi, il tanto per avere un collegamento ferroviario veloce, entro le due ore? E verrebbe ritenuto di utilità sociale e d'interesse economico? Sono domande che occorre fare, anche perché di un riordino e di una razionalizzazione dell'intera rete ferroviaria sarda ce ne sarebbe proprio bisogno, dopo circa un secolo di continue dimenticanze. La risposta la si attende dal ministro Toninelli (e per competenza anche dall'Assessore Todde), in quanto la Sardegna, che ha le ferrovie più vecchie d'Europa, ha necessità, ed anche il diritto, di ottenere da parte dell'ente ferroviario di Stato ben più di quei pochi spiccioli - l'1,3 per cento del totale - con cui si vorrebbe solo porre dei frettolosi rammendi ad una rete ormai piena di strappi.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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