E lei, altezza, preferisce la versione houndstooth e dogtooth? Non ci è dato conoscere la risposta della regina perché l'ultima sarta che parlò, dopo cinquantasette anni di onorata carriera come modista di intimo di sua maestà, si vide revocare titolo, incarico e ingresso a corte. D'altronde June Kenton violò le regole. Mai mai e poi mai raccontare quello che succede nel guardaroba di Elisabetta II, durante la vestizione, durante la svestizione, tanto meno in un libro. "Storm in a D Cup", uscito due anni fa, non ha avuto neanche chissà che successo - vietato farsi abbindolare dal titolo che evocherebbe la taglia di reggiseno della regina - ma sua maestà è stata categorica: «Fuori di qui».

Angela Kelly, invece, è donna di tutt'altra pasta. Lei gli abiti di Elisabetta II li disegna, li taglia, li cuce. Ha un manichino, nella sua sartoria, con le misure precise precise della regina. Si conobbero in Germania nel 1992. Lavorava, la Kelly, come governante dell'ambasciatore britannico, sir Christopher Mallaby, e Elisabetta II, in visita ufficiale con il consorte Filippo, ne fu colpita. Figlia di un operaio e di un'infermiera, aveva sessantasei anni e tre matrimoni finiti. L'anno dopo fu assunta nella sartoria di Buckingham Palace. L'anno dopo ancora divenne l'assistente personale della regina. Mani leggere, ottimo gusto e bocca, perdonate l'ironia, cucita. Che l'ombrello, nei giorni di pioggia, sia sempre grande e trasparente. Perché i sudditi, anche sotto una tempesta, possano vedere il viso della loro regina. E poi i colori, ah, i colori!, lo sapete quanto sono importanti i colori per una donna così potente e così minuta? Il giallo dei narcisi, il lilla delle campanule, il crema delle magnolie in primavera. Il blu dei delphinium d'estate. L'autunno sa di foglie bagnate, more mature, boschi in fiamme. L'inverno è oro e argento e blu reale, così caro a Matisse, brillante come un lapislazzuli, rigoroso come un'uniforme. Niente nero, per favore. A meno che, in agenda, non ci sia un funerale.

Disse l'ex maggiordomo reale Paul Burrell: «La regina non li chiama abiti, la regina li chiama costumi». Il mondo, d'altronde, è un palcoscenico. E il guardaroba di sua maestà è grande quanto tutto l'ultimo piano di Buckingham Palace. «Una volta che la regina ha scelto ciò che vuole indossare, una delle sue due assistenti si reca al piano superiore per portarle l'abito della giornata». Si va in scena, Lilibet! Così è successo anche l'altra mattina - dopo Harry, dopo Meghan, dopo Andrea, dopo tutto. Elisabetta II si è presentata a tutto il mondo con un cappotto pied de poule bianco e grigio. O, meglio, noi lo chiamiamo pied de poule. È un tessuto a navetta, ottenuto intrecciando filati in colore contrastante, a formare un caratteristico disegno che ricorda una zampa di gallina. Nella traduzione francese ci rifacciamo a monsieur Dior e alla sua sfilata del 1947. Ma il pied de poule è nato in Scozia. Nel suo libro "The Costume of Scotland" John Telfer Dunbar ricorda che i panni di lana intrecciata, ottenuti dalla combinazione di fili bianchi e neri, venivano usati come maglioni, sciarpe, coprispalle dai pastori scozzesi. Ceti poveri per un tessuto povero. Eppure 1934 re Edoardo VIII si fece confezionare un abito pied de poule. L'upper class urlò alla meraviglia e, un paio di anni dopo, celebrato dall'Europa all'America, venne inserito nel dizionario Merriam-Webster come «tessuto di lana ottenuto da fili bianchi e neri contrastanti, che formano un caratteristico disegno a dente di cane».

E lei, altezza, preferisce la versione houndstooth e dogtooth? Dogtooth significa dente di cane. Houndstooth dente di segugio. Ecco perché la scelta di quel cappotto. Elisabetta II sa come si va in scena. E l'ha fatto, dopo un momento così complesso per la corona inglese, in maniera impeccabile. Azzannando i guai, le preoccupazioni, le difficoltà.
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