Negli ultimi anni la maggior parte di noi europei ha goduto di un privilegio enorme: quello di respingere la guerra ai margini della nostra vita. Siamo, infatti, tra le poche generazioni della storia mondiale a non aver conosciuto conflitti sulle nostre terre e abbiamo quasi potuto convincerci che combattere fosse un retaggio polveroso del passato, qualcosa da rinchiudere nelle pagine dei libri oppure nelle scene di qualche film. Eppure, la guerra, questo essere mostruoso e distruttivo che accompagna l’uomo fin dalla notte dei tempi, ha continuato a imperversare in molte parti del nostro pianeta. Ha continuato a essere una crudele attualità con cui fare i conti anche se – per ora, ma siamo sicuri per sempre? – si muove al di fuori dei confini della nostra sicurezza. Per questo, pur detestando i conflitti armati, ha poco senso fare ipocritamente finta che la guerra non esista e che non possa più esistere. Anzi, secondo lo scrittore e storico militare Gastone Breccia, autore del saggio La grande storia della guerra (Newton Compton Editori, 2020, Euro 12,90, pp. 384. Anche Ebook), è essenziale non rimuovere la guerra. Bisogna, anzi, osservarla e conoscerla in tutti i suoi aspetti perché capire i conflitti del passato è fondamentale per affrontare il nostro futuro come ci conferma proprio Breccia: “Espellere la guerra dal nostro modo di pensare, come accade in Occidente, ci può portare a finire nei guai. Non vedo un futuro privo di guerre; al contrario, vedo un futuro di guerre difficili da comprendere, e quindi ancor più difficili da vincere. Rimuovere un problema non equivale a risolverlo; significa solo farsi trovare impreparati quando diventerà talmente grave e incombente da non poter essere relegato ai margini del nostro pensiero e delle nostre azioni. È necessario, oggi più che mai, pensare la guerra per limitarla, per impedirle di trasformarsi in un incubo capace di distruggere la nostra società e il nostro modo di vivere. Per evitare di combatterla in modo sbagliato e perderla: cosa che non è mai piacevole, qualsiasi cosa possano pensare della guerra i pacifisti”.

Perché uomo e guerra sono intimamente legati?

“Sono uno storico e non un filosofo, né un antropologo. Ritengo però sia possibile dare una risposta basata sull’osservazione dei fatti: l’uomo fa la guerra perché è convinto di poterne trarre vantaggio. Non siamo né ‘buoni selvaggi’, come sosteneva nel Settecento Jean-Jacques Rousseau, né all’opposto ‘scimmie assassine’, geneticamente predisposte alla violenza, secondo la teoria dell’antropologo Robert Ardrey, espressa nel volume African Genesis del 1961. Siamo opportunisti, individualmente e collettivamente, talvolta con qualche valida ragione, più spesso in errore.”

In che senso siamo opportunisti?

“Semplificando: quando una comunità si sente più forte dei suoi vicini, tende a perseguire le proprie ambizioni e ad imporre le proprie scelte. Se non riesce a farlo con mezzi per così dire pacifici, può decidere di ricorrere alla forza militare. Il che obbliga l’avversario a difendersi usando a sua volta le armi di cui dispone in maniera ‘simmetrica’, ovvero opponendo esercito a esercito, o ‘asimmetrica’, utilizzando sistemi non convenzionali di resistenza armata. La guerra offensiva è opportunistica, quella difensiva necessaria: non esiste società organizzata che possa rifiutare una guerra imposta dall’esterno. Persino i Padri della Chiesa riconoscevano all’impero cristiano il diritto-dovere di condurre guerre difensive; che a loro volta, senza eccessive forzature, possono diventare preventive. Se sono ragionevolmente certo che un aggressore stia per infliggermi un colpo mortale, colpirlo per primo è la sola forma possibile di difesa”.

Anche se può sembrare assurdo, la guerra affascina. Perché?

“I guerriglieri curdi che difendevano la città irachena di Sinjar dagli attacchi dell’ISIS nel 2015 mi hanno detto che ‘si sentivano nel mezzo della storia’, ed erano certi di fare la cosa giusta, di lottare per uno scopo comune. Mio nonno, che combatteva insieme all’VIII armata britannica nel 1944, scrisse sul suo diario una frase simile: «vivere sulla mobile linea di questa strana guerra italiana è il solo modo per vivere al centro delle cose». La guerra è un ispessimento della storia: nessuno può negare che nel suo orizzonte terribile prenda forma il futuro, e sentirsi parte attiva di questa trasformazione esercita un grande fascino su moltissimi esseri umani. Come ha scritto lo psicanalista e filosofo statunitense James Hillman in un suo libro del 2005 intitolato Un terribile amore per la guerra: «i soldati sopravvissuti a una battaglia dichiarano, al ritorno, che quello è stato il momento più ricco di senso della loro vita, di un senso che ne trascende ogni altro». Poi ci sono altri motivi molto meno nobili per cui la guerra può affascinare, motivi che si possono facilmente immaginare...”.

Da una guerra possono nascere cose positive?

“La risposta è legata a quanto appena detto: sì, possono nascere cose positive, perché nel momento della crisi ogni gruppo umano è costretto a fare appello a tutte le proprie risorse, materiali e morali, e ad indirizzarle verso uno scopo comune. Le guerre, molto spesso, hanno poi la funzione di rendere più rapida e travolgente l’evoluzione sociale e culturale delle società coinvolte: mi viene in mente la leva di massa del febbraio 1793, durante la Rivoluzione francese, o l’arruolamento nell’esercito dell’Unione del 54° Massachusetts, il primo reggimento di truppe di colore, esattamente settant’anni dopo, durante la Guerra di Secessione americana. Oppure, senza andare tanto lontano nel tempo, la trasformazione del ruolo sociale ed economico delle donne durante la Grande Guerra, o gli effetti di lunga durata della ricostruzione dell’Europa socialdemocratica dopo il 1945”.

Può esistere un mondo senza guerra?

“Può esistere un mondo così prospero da eliminare qualsiasi motivo di competizione? Un mondo buono e giusto, con un governo globale che sappia gestire la ricchezza in maniera efficace, distribuirla in maniera equa, soccorrere chi si trova in difficoltà e limitare le ambizioni di chi si trova in vantaggio? Forse, ma non mi pare si vada in questa direzione. Anche perché la popolazione aumenta a ritmi vertiginosi, mentre le risorse disponibili si consumano più rapidamente di quanto la scienza e la tecnologia riescano a migliorare i sistemi di produzione. Come ho scritto nel mio libro: ‘se non si correrà ai ripari, ci sono pochi dubbi che la crescita demografica e i cambiamenti climatici entro pochi anni renderanno drammatica la situazione di centinaia di milioni di persone con scarsa disponibilità di acqua potabile: le guerre per l’acqua saranno certamente peggiori di quelle per il petrolio. Più estese, più disperate, più destabilizzanti. Più difficili da controllare e moralmente distruttive anche per i vincitori, ammesso che ci possano essere degli autentici vincitori...’”.

La copertina
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