La Collina compie 25 anni. E per celebrare un compleanno così importante esce non solo con un numero doppio della rivista trimestrale ma anche con un libro. "Chi sbaglia paga" è il titolo del volume di Sergio Abis che con parole accessibili a tutti tratta di certezza della pena e rieducazione. La prefazione è di Gherardo Colombo, ex magistrato di Mani Pulite ma soprattutto collaboratore della comunità fondata a Serdiana e guidata da Ettore Cannavera. Edito da Chiare Lettere il volume riporta la voce dei detenuti e l'esperienza di un carcere alternativo. Sì perché anche La Collina è un carcere. Anche a La Collina non c'è libertà. Ed è per questo che Abis la definisce una "fregatura". Un luogo senza sbarre dove basta premere un pulsante e il cancello si apre regala una sensazione di libertà per chi è abituato al sistema della doppia porta. Invece è un luogo di detenzione. Anche se diverso, questo certamente sì.

Parla di cose che conosce l'autore: ha vissuto l'esperienza del carcere a causa di una grave reato commesso a 60 anni (si è costituito e ha confessato) e per essere stato ospite della comunità di Serdiana proprio in vista della pubblicazione del libro. Che raccoglie molte delle lettere inviate da detenuti a don Cannavera. Tutte con lo stesso obiettivo, per non dire speranza: essere accolti nella comunità di Serdiana. Chi sbaglia paga descrive dunque la straordinaria esperienza de La Collina, fondata nel 1994: un carcere umano e logico in contrapposizione a una galera segregativa, illogica e perfino inutile dal momento che il 70 per cento dei detenuti ritorna in prigione dopo aver commesso nuovi reati.

Non nasconde nulla il libro di Abis (67 anni, laurea in Fisica, autore di numerose pubblicazione su riviste scientifiche e tecniche, detentore di diversi brevetti, molti anni dedicati alla ricerca applicata e allo sviluppo di nuove tecnologie nell'ambito dei materiali strutturali e funzionali non ferrosi). Un esempio: non esita a scrivere che "la galera è criminogena. Non insegna a vivere in accordo con i codici di comportamento accettati dalla collettività. Ma non per scelta dei reclusi quanto perché il carcere non lo prevede. Non c'è nulla in una prigione che inviti il detenuto a una vita di legalità. Esiste invece una coercizione priva di senso. Una cattività fine a se stessa, paurosamente simile a una vendetta". Abis sottolinea che in carcere non si lavora, quindi non si guadagna e non si impara il valore del denaro conquistato onestamente. I detenuti conducono una vita sregolata, non sono soggetti a orari (a parte l'aria e i corsi educativi). Dormono quando vogliono e stanno svegli fino all'alba davanti alla tv. Tutto questo costa alla collettività 137 euro al giorno per ogni giorno dell'anno per ogni carcerato. E per i detenuti del carcere minorile la cifra diventa stratosferica: 650 euro al giorno. Totale: tre miliardi di euro.

La Collina, invece: come scrive Gherardo Colombo nella prefazione, propone "un percorso di sensibilizzazione che porta al rispetto dell'altro, c'è la vita insieme al lavoro ma soprattutto sono tangibili i risultati di quel lavoro. Tutto il contrario di quel che succede in carcere dove funziona un meccanismo rivolto a confermare l'esclusione dei detenuti dalla società. E alla fine questo si traduce in una spinta a non osservare le regole. O meglio: a osservare regole che sono l'esatto opposto di un sereno e proficuo vivere in comune". Ecco perché Ettore Cannavera nell'introdurre il bel lavoro di Abis sostiene che il carcere "prima ancora che disumano è fondamentalmente stupido. Non serve a niente e costa un enorme ammontare di denaro: davvero non si può fare di meglio"? In cinque lustri La Collina ha dimostrato la validità della sua idea di carcere, non a caso il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha insignito il fondatore - e per suo tramite i collaboratori, gli operatori e i volontari che si preoccupano dei detenuti - dell'onorificenza di commendatore al merito della Repubblica per la preziosa opera di sostegno a persone in condizioni di marginalità e in particolare a giovani e minori coinvolti in percorsi di reinserimento sociale. Ed è per questo che si è deciso di divulgare questa idea. Abis ha messo a disposizione la sua esperienza di ex carcerato per cercare il senso della reclusione all'interno delle migliaia di lettere inviate a don Ettore. "Sono tutte richieste di aiuto", sottolinea Cannavera. "E solo chi ha visto scriverne di simili dentro una cella, in condizioni inimmaginabili da chi non c'è mai stato, poteva analizzarle leggendo tra le righe le parole, le grafie, i disegni, i pezzi di carta di recupero. I sottili segnali del disagio dei drogati, dei disabili psichici, degli stranieri immigrati, le vergogne dei poveri detenuti privi dei mezzi necessari per mangiare ma alla ricerca spasmodica di un francobollo per chiedere aiuto all'esterno".

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