La scuola a distanza, imposta dal lockdown, ha fatto molto discutere. C'è chi vi ha visto un'anteprima di futuro dell'istruzione, un futuro basato principalmente sulle nuove tecnologie. C'è chi, invece, ha colto nella didattica a distanza solo i lati negativi e la considera un'esperienza da non ripetere, se non in situazioni di emergenza estrema. Inutile nascondersi, però, che di questo tipo di insegnamento non si potrà del tutto fare a meno, soprattutto nell'anno scolastico che si sta aprendo, un anno ancora dominato dall'emergenza Covid. Allo stesso tempo non si può non ascoltare le tante voci di insegnanti, educatori e anche genitori che hanno denunciato i problemi legati alla didattica a distanza e hanno contestato l'idea che questo metodo di insegnamento possa rappresentare la scuola di domani. Tra le voci critiche dobbiamo annoverare Giuseppe Caliceti, da più di trent'anni insegnante di scuola primaria e da anni curatore per il quotidiano "il manifesto" della rubrica settimanale I bambini ci parlano, dedicata al mondo della scuola.

Caliceti propone, infatti, nel suo ultimo libro, La scuola senza andare a scuola (Manni, 2020, pp. 160, anche e-book), un'accurata disamina dello scorso anno scolastico a partire dal momento in cui è stato decretato il lockdown e ci aiuta a riflettere su cosa può significare la didattica a distanza per il futuro del sistema scolastico italiano. Per questo motivo gli abbiamo chiesto, prima di tutto, se l'insegnamento distanziato può essere considerato scuola a tutti gli effetti:

"La risposta ci viene direttamente dai bambini che ci hanno insegnato durante il lockdown che la didattica a distanza è un modo per mantenere un contatto soprattutto affettivo con gli insegnanti, ma non è scuola. Per i bambini la scuola significa uscire di casa, stare con i compagni, andare nell'edificio scolastico, cioè in un luogo specifico e particolare. Per questa ragione, a mio parere, più che di didattica a distanza si può parlare di didattica dell’emergenza. Una didattica emergenziale che in troppi, anche tra i politici, hanno cercato di spacciare come un salto nella modernità. Ho sentito dire che grazie al lockdown anche i bambini più piccoli hanno potuto scoprire la bellezza del computer quando fino a prima del Coronovirus insegnanti e genitori combattevano perché bambini e giovani non stessero perennemente attaccati a computer e smartphone!".

Non funziona proprio questo tipo di didattica secondo lei?

"Come scrivo nel mio libro è probabile che la didattica on line, nei suoi step di ricerca più avanzati, si coniughi con una teoria pedagogica all'avanguardia. Purtroppo, non accade così, oggi, in Italia. Perché accentua l'esclusione sociale e culturale. Con un ricatto molto semplice: o così, o niente. La scuola a distanza accentua gli aspetti classisti di cui, negli ultimi decenni, si era già ammorbata la nostra scuola pubblica. Non solo perché non arriva a tutti ‒ si calcola siano più del 6% del totale gli studenti isolati, esclusi, non connessi. Ma perché tende a riproporre gli aspetti più regressivi, sorpassati e deleteri dell’educazione e della formazione: i compiti, l’interrogazione a tu per tu, l’insegnamento frontale. Cioè quello che serve a salvare la forma e la burocrazia (i voti, le certificazioni) di fronte alle famiglie degli utenti. Il famoso pezzo di carta".

Che immagine della scuola italiana è emersa durante l'emergenza Covid?

"In effetti l’emergenza Covid ci ha detto molto sulla scuola italiana. Soprattutto ha fatto emergere i tanti problemi del nostro sistema scolastico. Ci ha fatto capire, per esempio, che la politica di chiudere le piccole scuole nei paesi per centralizzare migliaia di studenti in grandi istituti così da risparmiare soldi alla fine ci si è ritorta contro. Ci ha fatto capire che le classi-pollaio con più di 25 alunni non vanno bene e ci dovrebbero essere più spazi e più insegnanti così da avere classi di 14-15 unità. Chi ci governa dovrebbe tenere conto di queste indicazioni".

Ma se ne sta tenendo conto, a suo parere?

"Assolutamente no. La sensazione, nonostante stia ripartendo un nuovo anno scolastico, è che la scuola sia un tema di serie B non solo per la politica, ma anche per i media. Non è considerata certamente una questione importante nonostante ci siano di mezzo l’educazione, la formazione e la cura dei più piccoli. Per guardare solo a un dato, nel 2008 il governo Berlusconi con ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini in un colpo solo ha tolto alla scuola pubblica otto miliardi di euro di risorse. Ora, per contrastare l'emergenza Covid, al sistema scolastico è stato messo a disposizione un miliardo! Un miliardo di euro mentre al mondo del lavoro ne sono stati destinati cinquanta. Questi numeri ci dicono molto su come è considerata la scuola".

Durante la chiusura forzata delle scuole e l'estate si sono fatti interventi significativi in vista del nuovo anno scolastico?

"In questo settembre la scuola riprende dopo duecento giorni di chiusura. In un tempo come questo non dico che si potevano costruire nuovi edifici scolastici, ma ricavare nuovi spazi e assumere nuovi docenti in modo da non avere più classi pollaio si poteva fare. Invece si è assistito a un progressivo allentamento delle regole di sicurezza, a tutta una serie di deroghe in puro stile italiano. A mio parere si è fatto finta di fare qualcosa. Poi, al primo allarme, si tornerà alla didattica a distanza".

Molti insegnanti però non hanno fatto il tampone e il test sierologico. Ma come mai?

"Io ho scelto di farlo ma molti miei colleghi considerano il tampone e il test pura propaganda perché non c'è un vero progetto per monitorare la situazione. Si fa il tampone prima di cominciare, si sa che il risultato è valido per circa 24 ore e poi non è previsto più alcun controllo. Quindi pare più che altro un'operazione di facciata".

Insomma, c'è da mettersi le mani tra i capelli a pensare alla scuola italiana…

"Non esageriamo. Malgrado i suoi tanti problemi il nostro sistema scolastico educa e forma ancora i più giovani nonostante le tante critiche. E li forma bene dato il successo che i nostri giovani hanno all'estero. E poi l'emergenza Covid qualche elemento positivo l'ha fatto emergere".

Tipo?

"In molti casi ha fatto riscoprire una vicinanza tra insegnanti e famiglie che era andata un poco perduta e ha fatto toccare con mano a tanti genitori quanto la scuola sia insostituibile per i loro figli. Queste consapevolezze contribuiscono a restituirmi un po' di fiducia".
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