Pieni anni Sessanta, la voce di Mina, affascinante come non mai, coinvolgente anche al milionesimo rewind: “Lo stupore della notte spalancata sul mar… se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei…”. Si deve fare uno sforzo per distaccarsi da quella voce, dalle parole e dall’atmosfera che la canzone riporta alla memoria di ognuno di noi e riuscire a concentrarsi solo la musica. Tre note di tromba si ripetono sul tema principale e fanno da contrappunto alla linea vocale. Morricone si presenta così, con queste tre note ispirate dalle sirene della polizia di Marsiglia. Poi c’è tutto il suo mondo musicale, l’arrangiamento e l’uso fluido dell’orchestra, che si “muove” e “musica” il canto come se fosse un’unica mano a “far lavorare” gli strumenti. Questo è Ennio Morricone, l’autore di musica per film con la “A” maiuscola, ma anche musicista a tutto tondo capace di nobilitare la musica leggera e di cimentarsi con successo nella composizione pura, scrivendo oltre cento musiche “assolute” (così le chiama lui stesso per distinguere la musica da concerto dalle colonne sonore per il grande e piccolo schermo, le composizioni a cui deve la sua fama mondiale).

Nessuno ha avuto, infatti, la sua capacità e il suo talento di far coincidere musica e immagini, suono e inquadratura. Nessuno è riuscito più di Morricone a far identificare colonna sonora e film, facendo del suono un protagonista delle pellicole, che si trattasse dei prodotti di routine di onesti artigiani della celluloide, oppure dei magniloquenti barocchismi di un Sergio Leone nella sua stagione di grazia. Proprio le opere di Leone ne danno la conferma: non abbiamo più bisogno di vedere qualche fotogramma o una sequenza per riconoscerle. Bastano pochi secondi della colonna sonora. Non si può dire la stessa cosa di tutti i film e, soprattutto, di tutti i musicisti del cinema.

Quelle pellicole non sarebbero la stessa cosa se non ci fosse stato Morricone. E ci si rende conto che la sua non è solo musica per le orecchie, ma racconto per il cuore e, soprattutto, immagini che si riescono a vedere con gli occhi chiusi o al buio, con gli occhi della mente. Morricone non suggerisce, non accompagna, suggestiona, evoca… il West con poche note di armonica, la Sicilia della violenza e della mafia con il metallico pizzicare dello “scacciapensieri”, il Messico con il suono di una tromba che lacera con la sua potenza e la sua struggente malinconia. Il sole si fa immediatamente abbacinante, uomini eterni e fuori dallo spazio-tempo conosciuto si fronteggiano, la colonna sonora scandisce le immagini, con un fluire armonioso a cui, spesso, si unisce il canto, anch’esso strumento orchestrato, mai elemento principale a cui la musica fa da tappeto.

La voce, quasi sempre femminile, a volte corale, sottolinea i momenti di maggiore struggimento e di ricordo, la malinconia e la nostalgia. Perché in Morricone prevale sempre la sensazione che precedentemente qualcosa “c’era”, qualcosa che oggi non c’è più… il West da conquistare, l’America da sognare, la natura e la primitività umana da incontrare. C’è sempre qualcosa che “era” e che va celebrato, anche con un canto funebre, ma mai con un silenzio che sappia di indifferenza.
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