"Contrariamente agli eserciti, i microbi non firmano armistizi o capitolazioni: con loro la guerra è sempre all'ultimo sangue. Anche se in questo momento ci sembra di occupare delle buone posizioni e di essere in grado di tener d'occhio le truppe nemiche, la possibilità che arrivino rinforzi, o che da valli lontane piombino su di noi orde sconosciute, è sempre dietro l'angolo": parole come queste sembrano fatte apposta per descrivere quello che abbiamo vissuto nei mesi di Coronavirus.

Barbara Gallavotti, biologa e autrice storica di Superquark, le ha, però, scritte in tempi non sospetti, più di un anno fa, quando ha dato alle stampe un volume che a leggerlo oggi appare quasi profetico: "Le grandi epidemie. Come difendersi" (Donzelli, 2019,pp. 208, anche e-book).

Nel volume, nato da una iniziale conversazione con il paleopatologo Francesco Maria Galassi, si racconta come la storia dell'umanità sia una lunga battaglia contro i microbi responsabili delle malattie infettive. Una battaglia in cui l'uomo ha spesso avuto la peggio, ma nel corso della quale noi esseri umani abbiamo dimostrato di possedere una facoltà ignota a batteri e virus, cioè l'intelligenza. Essa ci ha permesso di acquisire conoscenze e di mettere a punto strumenti, come i vaccini e gli antibiotici, capaci di difenderci dalle infezioni.

A volte, però, tendiamo a dimenticarci quanto sia importante continuare a investire sulla ricerca medica, illusi come siamo dalla convinzione che la battaglia contro i microbi sia stata vinta una volta per tutte. Il coronavirus, in breve tempo, ha dimostrato quanto quella convinzione fosse sbagliata e quanto ancora ci sia bisogno di nuovi farmaci, di nuove conoscenze e di nuovi vaccini. E ci sia necessità di superare pregiudizi e prese di posizione ideologiche quando si tratta di contrastare la sfida di virus e batteri.

A Barbara Gallavotti chiediamo allora come mai tante polemiche hanno accompagnato negli ultimi anni soprattutto i vaccini. Di cosa ci eravamo dimenticati prima del Coronavirus?

"Fondamentalmente ci eravamo dimenticati che gli agenti infettivi uccidono, una dimenticanza che è alla base della forte opposizione di fronte ai vaccini, considerati inutili o, addirittura, più dannosi delle malattie che dovrebbero evitare, cosa che chiaramente non è. Quello di cui non si è tenuto conto è che abbiamo potuto scordarci della pericolosità di tante malattie infettive proprio grazie ai vaccini e agli antibiotici. In Occidente oggi si muore soprattutto di malattie cardiovascolari, tumori, malattie neurodegenerative. Basta però spostarsi in altre aree del mondo per scoprire che siamo dei privilegiati perché in queste zone continuano a infuriare malattie come tubercolosi, malaria, colera. Insomma, i vecchi nemici che noi abbiamo avuto il privilegio di poter erroneamente dimenticare grazie ai progressi della medicina".

Eppure, negli ultimi anni gli allarmi per nuove epidemie si sono ripetuti. C’è stata la Sars nel 2003, l'influenza suina nel 2009, il virus Zika nel 2016. Questi allarmi non dovevano metterci sul chi vive?

"Dobbiamo tenere conto che una pandemia della portata di quella degli ultimi mesi non la vivevamo da un secolo, cioè dalla Spagnola, l'epidemia influenzale del 1918-19. Sars, Suina e Zika si era riusciti a circoscriverle e nell'affrontare una pandemia di grandi proporzioni non potevamo fare riferimento alla Spagnola, perché troppo in là nel tempo per rappresentare un modello per i nostri sistemi sanitari".

Sistemi sanitari che erano quindi impreparati alla sfida?

"Possiamo dire che i sistemi sanitari erano preparati a reagire rapidamente ed efficientemente al pericolo. C'era un sistema di sorveglianza mentre nessuno aveva mai rodato la capacità di gestire un numero così alto di malati contemporaneamente. Lo abbiamo visto nel momento in cui c'era un gran bisogno di posti in terapia intensiva e un po' tutti i Paesi – a parte forse la Germania – sono andati in difficoltà. Insomma, è stata una grande prova generale che dovrebbe renderci più pronti nel futuro. Questa lezione dovrebbe insegnarci ad agire con più prontezza se mai si manifestasse una nuova epidemia".

Ci spieghi meglio…

"Sono rimasta colpita dal ritardo con cui alcuni Paesi hanno reagito all'emergenza. Pensiamo solo al Canton Ticino che confina con la Lombardia e che quindi correva il rischio quasi inevitabile di venire travolto dall'epidemia. Eppure, si è dato al coronavirus qualche giorno di margine prima di prendere provvedimenti, e il microbo ne ha approfittato. Ancora peggio è avvenuto in Inghilterra o negli Stati Uniti. Ecco queste lentezze devono essere evitate in futuro".

Quella contro virus e batteri è la grande sfida che ci aspetta nel prossimo futuro?

"A mio parere la grande sfida futura sarà quella del cambiamento climatico. Quello che questa pandemia ha messo in luce, infatti, è che il pianeta Terra è uno e la specie umana è una. I problemi che esplodono in un luogo del pianeta non possono essere affrontati localmente ma globalmente. È evidente che il clima sta cambiando e questo cambiamento riguarderà tutti. Dobbiamo quindi agire per limitare i danni che sicuramente ci saranno a livello di salute delle persone, di perdita di terre abitabili, di mutamenti nelle coltivazioni agricole".

In tempi di Coronavirus, molto si è parlato dell'impatto dell'uomo sull'ambiente e di come gli esseri umani, colonizzando sempre più aree selvatiche del nostro pianeta, entrino più facilmente in contatto con organismi patogeni di origine animale. È quello che sta succedendo?

"Certamente nel momento in cui si invadono ambienti naturali si può entrare in contatto con una specie animale che ospita un microbo potenzialmente pericoloso. E che ci fosse il pericolo di una nuova pandemia dovuta a microbi provenienti da grandi allevamenti o da ambienti naturali gli scienziati lo temevano da tempo. Da lì arrivano gli organismi patogeni – dalle influenze a Ebola, alla Sars, passando per l'HIV – con cui gli esseri umani si sono misurati. È esistito anche un progetto di ricerca chiamato PREDICT che mirava a trovare e studiare proprio quei virus potenzialmente capaci di fare il salto di specie e diventare una minaccia per l’uomo. Però il presidente Trump ha di fatto bloccato il progetto tagliando i fondi per sostenerlo".

Oltre a prevenire l'altra strada è trovare nuove cure oppure mettere a punto nuovi vaccini, un'arma quest’ultima ultimamente molto contestata. La crisi Coronavirus porterà a nuovi atteggiamenti nei confronti della pratica vaccinale?

"Intanto diciamo che di vaccini efficaci non ce ne sono poi così tanti e ci sono malattie per cui non è stato mai possibile metterne a punto uno. Pensiamo alla malaria oppure all’Aids, per esempio. Questo è un primo problema a cui si aggiunge il fatto che anche quando il vaccino c’è, a volte non viene usato quanto si dovrebbe e potrebbe. Questo può portare allo scoppio di piccole epidemie perché non c’è un’adeguata copertura vaccinale nella popolazione. Purtroppo, come detto in precedenza, ci siamo dimenticati quanto le malattie infettive possono essere pericolose e alcuni di noi pensano di potersi permettere il lusso di evitare i vaccini. Cambieranno le cose dopo questa pandemia? Qualcosa cambierà anche perché i veri oppositori ai vaccini non sono certo la maggioranza della popolazione anche se non vedo molta lucidità nel momento in cui c’è un’ondata di indignazione e si evoca l’esistenza di un fantomatico complotto per impedire l’uso del plasma per combattere la Covid. Qualche settimana fa ho detto in una trasmissione televisiva che la clorochina non aveva dato risultati soddisfacenti nelle sperimentazioni e non sono mancate le critiche. Insomma, facciamo fatica ad accettare i tempi e i modi della ricerca medica".

Vorremmo sempre una soluzione semplice e immediata?

"Veloce e che ci consenta di tenere tutto sotto controllo. È difficile per noi accettare che non basta dire che ho preso una determinata sostanza e che poi sono stata meglio per essere certi che il miglioramento sia proprio dovuto a quella sostanza. Ci vogliono studi lunghi e approfonditi per capire se c’è questa connessione. L’allarme sui vaccini si fonda fra l’altro sul fatto che può avvenire che alcune condizioni come l’autismo si manifestino per la prima volta nello stesso periodo della vita in cui si somministrano alcuni vaccini. Nonostante gli innumerevoli studi però non si è mai riuscito a evidenziare nessuna reale connessione, cioè nessun rapporto di causa ed effetto. Infine, a rendere più complicate le cose c’è la convinzione che la natura ci sia sempre amica quando invece la natura non è né amica, né nemica. Semplicemente non si cura della sopravvivenza della nostra specie".

Umanizziamo la natura: buona o cattiva in base alle nostre esigenze…

"Esatto. E per noi occidentali è facile farlo perché viviamo in una natura che abbiamo manipolato per millenni e in cui anche gli ambienti più selvatici sono in un certo senso 'addomesticati'. È facile quindi avere un'idea disneyana della natura. Chi vive nelle zone tropicali con una biodiversità più spiccata e davvero intonsa chiaramente vede la natura sotto un altro punto di vista".
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