Gennaio 1960, il cielo era nero, buio, quel venerdì notte. Come buio e nero dovevano essere (e lo erano di certo) gli abissi, laggiù a undicimila metri di profomdità, nel culmine dell'Oceano Pacifico. Jacques Piccard aveva 42 anni e nelle sue vene scorreva forte la passione per il mare, per le sue acque più lontane dalla superficie. L'aveva ereditata da suo padre, quell'emozione sfrenata per gli oceani. Da Augusto Piccard, geniale fisico e inventore del pallone stratosferico e coideatore del batiscafo Trieste, il sommergibile con cui, quel giorno epico, suo figlio, l'esploratore, si accingeva a diventare l'uomo più profondo del pianeta superando quell'incredibile colonna d'acqua alta undici chilometri della Fossa delle Marianne. Con lui, nella camera stagna del Trieste, anche il tenente della Marina militare statunitense, Donald Walsh.

Ribattuto dalle agenzie di stampa e ripresa dai quotidiani di mezzo mondo, il racconto di quella discesa interminabile nel blu. «Il batiscafo Trieste a undici chilometri», titolava L'Unione Sarda del 24 gennaio 1960 in ultima pagina. Una trentina di righe per non "bucare" la notizia e informare i suoi lettori.

Morto nell'ottobre del 2008 nella sua casa sul lago Lemano, vicino a Berna, Jacques Piccard. A dare la notizia del decesso, l'équipe del Solar Impulse, un progetto di aereo solare di cui il presidente era suo figlio Bertrand, ultimo discendente di una famiglia che ha dedicato la vita non a imprese finalizzate alla conquista di record ma alla scienza. A svelare e scoprire, grazie a sofisticatissime apparecchiature ideate e poi costruite (oltre al pallone stratosferico, il batiscafo, quattro mesoscafi) i segreti degli ambienti sommersi e dell'atmosfera. Dal cielo agli abissi, insomma, con un'unica grande passione.

Mntre Auguste Piccard volava alto nei cieli, diventando il primo uomo al mondo a raggiungere i sedicimila e 940 metri d'altitudine servendosi di un pallone, Jacques pensava al mare e alle sue prosondità.

Il Trieste era stato disegnato dal padre e quindi ceduto, nel 1958 per 250 mila dollari, alla marina statunitense.

Lungo una quindicina di metri, era costituito da una camera riempita di idrocarburi per consentire il galleggiamento e una positiva spinta idrostatica, e da una grossa sfera a pressione costante separata dal resto del batiscafo. Una struttura, insomma, assolutamente originale e rivoluzionaria che spinse l'Us Navy a interessarsi al progetto e al prototipo e modificò radicalmente le tecniche di immersione fino ad allora conosciute e sfruttate.

Il Trieste era praticamente autonomo. I suoi galleggianti contenevano una novantina di metri cubi di benzina e compensatori pieni d'aria e costituivano gran parte della struttura del sommergibile. L''equipaggio era costretto a restare nella sfera di due metri e 16 centimetri, assemblata sul fondo della camera di galleggiamento e raggiungibile attraverso un passaggio, una sorta di tunnel metallico che attraversava verticalmente il galleggiante.

Solo due persone potevano sistemarsi. Per respirare, l'equipaggio utilizzava un sistema a circuito chiuso del tutto simile a quello usato nelle navicelle spaziali. L'aria ricca di ossigeno entrava dai cilindri in pressione (del tutto simili a enormi bombole subacquee) mentre l'anidride carbonica prodotta dalla respirazione veniva eliminata circolando in scatole metalliche caricate con calce sodata. Esattamente come funziona il moderno autorespiratore subacqueo ad ossigeno, l'Aro.

Fu grazie a questa tecnologia che Piccard e Walsh, dopo essersi infilati nell''ampolla d'acciaio costruita dalla Società delle Fucine di Ternia, riuscirono a resistere all'incredibile pressione idrostatica (una tonnellata per centimetro quadrato) che trovarono a oltre 10mila metri di profondità. Pareti di 13 centimetri d'acciaio e poi la benzina per caricare i galleggianti. Furono anche questi i motivi del successo. La leggerezza superiore a quella dell'acqua di mare della benzina e la sua incomprimibilità a pressioni elevatissime contribuirono a contrastate le atmosfere incontrate lungo la colonna d'acqua fino al fondo. Lo scafo venne costruito a Monfalcone, nei Cantieri riuniti dell'Adriatico di Trieste nel 1952. A Castellammare di Stabia la sfera fu unita al resto del batiscafo e a Capri, il 26 agosto del '53, il collaudo, la prima immersione del Trieste.

È rimasto imbattuto, quel primato conquistato nell'Oceano Pacifico. Da un belga figlio di uno svizzero, inventore di un batiscafo molto italiano diventato americano.

Il Trieste partì da San Diego il 5 ottobre del 1959 per navigare verso l'isola di Guam, in Micronesia. È lì che si sarebbe dovuto concretizzare il Progetto Nekton. la Fossa delle Marianne, una depressione ad arco lunga oltre 1580 miglia e larga mediamente 43. Venne scoperta a sud est di Guam nel 1899 e chiamata Nero Deep.

Il 23 gennaio del 1960, a bordo del batiscafo, nello spazio iper tecnologico della sfera del Trieste, Jacques Piccard e Don Walsh si apprestavano a sconfiggere le incredibili pressioni degli abissi. Assistiti in superficie dall'unità navale Uss Lewis (De-535) della Marina militare americana.

Nessun uomo, fino ad allora, era riuscito a fare altrettanto. E da allora, dopo quella notte così profonda, nessun uomo è più riuscito a ripetere l'impresa. Se non un batiscafo, il Kaiko, che senza equipaggio raggiunse, nel 1995, la Fossa delle Marianne. Ci vollero cinque lunghe ore per completare l'immersione. Piccard e Walsh rimasero sul fondo delle Marianne una ventina di minuti. Riuscirono a comunicare con la nave di supporto grazie a un sistema sonar-idrofono: i messaggi, per macinare i 10.916 metri, impiegarono sette secondi. E laggiù, oltre l'oblò di plexiglass, il belga e l'americano riuscirono a spiare il nuoto lento di sogliole e platesse, confermando così l'esistenza della vita negli abissi più profondi della terra.

«Una volta superati i cinquecento piedi, l'oscurità è totale», raccontò Walsh. «Non c'è motivo di scendere tanto a fondo per stabilire semplicemente un record. Tra l'altro è molto costoso, probabilmente ci vorrebbero cento milioni di dollari», ha ribadito il compagno d'immersione di Jacques Piccard.

Tre anni dopo, era l'aprile del 1963, il Trieste venne revisionato e modificato per poter scendere in Atlantico. E ad agosto venne sfruttato, con soddisfazione, per una campagna di ricerca che doveva permettere il ritrovamento dell'Uss Thresher. Avvistato a due chilometri e 56 metri sotto la superficie del mare. I batiscafi del tipo Trieste vennero mandati in pensione definitivamente nel 1983. Sostituiti dagli Alvin. Nessuno, però, è più riuscito a raggiungere la Fossa delle Marianne.
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