Il Medioevo è un’epoca dominata da figure maschili: cavalieri, sovrani, santi, papi. Le poche donne passate alla storia sono spesso figure eccezionali, tanto da affascinare a secoli di distanza, come Giovanna d’Arco, santa Chiara oppure Matilde di Canossa. Donne fuori dal comune, come era fuori dal comune per la sua epoca Eleonora d’Arborea (1340-1403), principessa e legislatrice della Sardegna medievale che Carlo Cattaneo definì “la figura più splendida di donna che abbiano le storie italiane, non escluse quelle di Roma antica”. Un omaggio nato probabilmente dal fatto che Eleonora aveva retto il giudicato di Arborea, uno dei quattro piccoli stati in cui era divisa la Sardegna nei secoli finali del Medioevo, mirando all’indipendenza dal regno spagnolo d’Aragona e all’unificazione di tutti i sardi sotto una dinastia locale. Una lotta che evidentemente infiammava i patrioti risorgimentali.

Sardi contro aragonesi

Messi da parte gli ardori ottocenteschi, l’epopea di Eleonora fu realmente straordinaria: rappresenta, infatti, il sogno di una Sardegna retta da un casato sardo, i De Serra Bas, e unita, una nación sardesca libera dai tributi e dallo sfruttamento di sovrani estranei. Le cose però non erano così semplici nel Trecento, l’epoca in cui si svolgono le vicende di Eleonora. Nel 1282, infatti, era scoppiata in Sicilia la Guerra del Vespro tra angioini e aragonesi per il possesso dell’isola. Per tentare di sanare il conflitto, nel 1297 papa Bonifacio VIII aveva offerto, in cambio della Sicilia, il Regno di Sardegna e Corsica agli aragonesi. Il giudicato d’Arborea e altre piccole realtà restarono, almeno per il momento, fuori dal diretto controllo degli Aragona.

Negli anni trenta del XIV secolo i rapporti tra aragonesi e Arborea erano ancora distesi ma le cose cambiarono nel 1353, quando i catalano-aragonesi intrapresero una politica espansionistica nell’isola conquistando Alghero. Mariano IV, padre di Eleonora, diede allora il via a una decisa campagna per impedire l’egemonia dell’Aragona sulla Sardegna. Tra periodi di tregua e di ostilità, i progetti indipendentisti di Mariano IV si spensero nel 1376, a causa della peste, ma furono ripresi dal figlio Ugone III. Dichiaratamente antiaragonese e animato da un frenetico attivismo militare, Ugone si proclamò “signore de Sardinia” ma venne ben presto ucciso in una congiura nobiliare nel 1383.

Una statua di Eleonora D'Arborea
Una statua di Eleonora D'Arborea
Una statua di Eleonora D'Arborea

Nelle mani di Eleonora

Le sorti del giudicato passarono così nelle mani della sorella Eleonora, ben decisa a proseguire il progetto di espansione dinastica iniziato dal padre Mariano e dal fratello Ugone. Nella realtà Eleonora era solo la reggente del giovane Federico perché, secondo l’antico diritto ereditario dell’Arborea, alle donne non era permesso assumere direttamente il potere. Con intelligenza, però, la Juighissa riuscì ad assumere il controllo di quasi tutta l’isola. Un risultato ottenuto grazie ad alleanze inedite con i settori più vivi della società sarda, cioè le città. Ai centri urbani maggiori Eleonora aveva garantito il rispetto e la salvaguardia dei loro privilegi, mentre alle comunità contadine aveva promesso ampie franchigie. Eleonora quindi realizzò in maniera intelligente un’alleanza estremamente moderna basata sulla comunanza di intenti con settori non nobiliari della società sarda, soprattutto con i suoi elementi più vitali – mercanti e ceti urbani, ma anche agricoltori – che non vennero schiacciati sotto il giogo di un potere di tipo feudale, ma resi partecipi dei destini politici della Sardegna.

L’interesse di Eleonora a questo punto era quello di arrivare a una bona pau et tranquillitat (una buona pace e tranquillità) all’interno del giudicato, riaffermando la continuità degli ordinamenti tradizionali e dell’autonomia dell’Arborea.

L’Aragona non intendeva però rinunciare alla Sardegna e lo scontro con l’Arborea, alternato a brevi periodi di tregua, continuò fino agli inizi del Quattrocento quando il disegno di Eleonora crollò per i capricci della fortuna.

La pestilenza che colpì la Sardegna nel 1403, infatti, non solo portò alla morte Eleonora, ma ebbe infauste conseguenze anche per la Sardegna tutta che vide la sua popolazione falcidiata. Di fronte a un nemico dissanguato dall’epidemia, gli aragonesi vinsero la cruciale battaglia di Sanluri nel 1409 e nel giro di dieci anni riconquistarono tutti i territori precedentemente perduti. Il sogno di una Sardegna indipendente tramontava così definitivamente con la sua più grande sostenitrice.

I giudicati della Sardegna
I giudicati della Sardegna
I giudicati della Sardegna

La Carta de Logu

Eleonora è passata alla storia non solo per le sue doti politiche, ma soprattutto per l’opera di riorganizzazione giudiziaria e amministrativa del giudicato di Arborea. Non a caso è spesso rappresentata con una spada nella mano destra e un rotolo di pergamena nella mano sinistra: la prima simboleggia la sua forza e la seconda la Carta de Logu, il codice di leggi che raccoglie la sua attività legislatrice.

La Carta de Logu de Arborea (Statuto del luogo di Arborea), emanata tra il 1393 e il 1395, costituisce un esempio di legislazione unico nel suo campo per chiarezza, innovazione e adeguamento alle tradizioni. A dire il vero, nonostante la leggenda le assegni un ruolo di primo piano, Eleonora non fu la vera autrice di questo importantissimo documento: promulgato originariamente da suo padre Mariano tra il 1345 e il 1376, Eleonora ebbe il merito (e l’ardire) di modificarlo sulla base delle esigenze del suo tempo, contribuendo a quello che viene tutt’oggi considerato il maggior monumento legislativo della Sardegna medievale.

Redatto in volgare arborense, in modo che potesse essere compreso dal popolo, questo testo consta di 163 articoli, suddivisi in dieci sezioni, che si basano su presupposti giuridici estremamente moderni e innovativi per l’epoca. Per esempio il principio della certezza del diritto, cioè la necessità che le leggi siano scritte e quindi a disposizione di tutti, l’estensione di certi benefici di legge anche agli stranieri che si trovano in terra d’Arborea, le norme che garantiscono i diritti dell’accusato durante i processi. Delle dieci sezioni, ben quattro sono dedicate alla difesa dell’agricoltura: tra le tante prescrizioni, si regolano le modalità con cui bruciare le stoppie a fine raccolto; si ordina la recinzione dei campi coltivati con fossati, muri a secco e siepi, e si vieta l’ingresso a estranei, pena multe severe; si definiscono i rapporti fra i proprietari di bestiame e i pastori che ne custodiscono le greggi; si disciplinano il commercio e la lavorazione delle pelli animali. Ma l’aspetto più rimarchevole, che fa della Carta de Logu un testo unico per la sua sconcertante attualità, è l’ampio spazio dedicato alla tutela dei minori e delle donne, e principalmente a quelle norme che riguardano i casi di stupro. In un’epoca in cui questi soprusi si risolvevano al massimo con un matrimonio riparatore, Eleonora sancisce che spetta alla donna decidere se accettare l’unione con chi ha abusato di lei. Allo stesso tempo il matrimonio non elimina il reato e il reo deve pagare una cifra altissima al giudicato oppure subire il taglio del piede. Se si pensa che l’Italia repubblicana ha abolito il delitto d’onore solo nel 1981, si capisce quanto le norme volute dalla principessa d’Arborea siano moderne.

Tanto importante fu la Carta de Logu che rimase in vigore in Sardegna per più di 400 anni: sopravvisse infatti alla conquista dell’isola da parte degli aragonesi, che addirittura nel 1421 la estesero a tutto il territorio, e fu rispettata per oltre un secolo dopo l’avvento dei Savoia. Solo nel 1827 venne sostituita dal codice emanato da Carlo Felice di Savoia.
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