Il 7 luglio 1933 Maria Molotzu, di soli cinque anni, viene rapita nelle campagne di Giuncartzu (Nuoro). Strappata con l’inganno all’abbraccio materno, verrà ritrovata morta qualche anno più tardi, probabilmente tumulata viva. È la prima innocente vittima del tragico divorzio fra codice barbaricino e leggenda d’onore.

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È la sera del 7 luglio 1933. Una Fiat 509 con a bordo cinque passeggeri fa rientro dalla festosa ricorrenza di Santu Antine di Sedilo, la solennità più gioiosa e colorata tra le celebrazioni religiose campestri. Pietrino Molotzu, podestà di Bono (Sassari), e la commendatoressa Maria Carta, sua moglie, hanno presentato la piccola Maria a Costantino Imperatore per lo scioglimento del voto legato a una grazia ricevuta l’anno precedente, quando la bimba si era trovata a lottare tra la vita e la morte dopo essersi rovesciata addosso un calderone d’acqua bollente.

IL RAPIMENTO - La macchina di Pietrino Molotzu viene improvvisamente accerchiata da cinque malviventi nella località chiamata Giuncartzu. Alcuni colpi di fucile scalfiscono di striscio la vettura: ha così inizio uno dei sequestri di persona più drammatici che la Sardegna possa ricordare.

L’operazione, messa a segno dalla cosidetta “Banda di Bitti” – composta dai fratelli Pintore e Antonio Congiu – rispetta tutti i crismi delle “rapine stradali”, retaggio del moderno brigantaggio barbaricino, dove tutto è pianificato nel dettaglio: i banditi studiano per lunghi mesi i comportamenti delle vittime, ne analizzano e assimilano le abitudini tanto da prevederne movimenti e reazioni.

L'auto di Pietrino Molotzu, padre di Maria, sulla quale viaggiavano il giorno del rapimento
L'auto di Pietrino Molotzu, padre di Maria, sulla quale viaggiavano il giorno del rapimento
L'auto di Pietrino Molotzu, padre di Maria, sulla quale viaggiavano il giorno del rapimento

È notte, i cinque passeggeri vengono trascinati in campagna. I banditi discutono animatamente tra loro su chi sia meglio sequestrare, se il papà o la bimba. La piccola Maria darebbe meno ingombro durante gli spostamenti, seppur il codice barbaricino non preveda rapimenti o violenze verso donne né tantomeno bambini. In quella tetra notte di luglio si compirà, purtroppo, il tragico divorzio fra codice barbaricino e leggenda d’onore.

Maria Carta stringe la piccina per proteggerla dal gelo della notte e farle coraggio. Un uomo mascherato le si avvicina e con convincente autocontrollo prende la piccola dichiarando che Pietrino, suo padre che avevano allontanato, vuole vederla per qualche istante. La piccola viene portata via. Molotzu e il resto della sfortunata comitiva raggiungono in pieno stato confusionale la prima stazione dei carabinieri, dove gli inquirenti appaiono disorientati sulla reale natura del sequestro.

La commendatoressa Maria carta, mamma della piccola Maria
La commendatoressa Maria carta, mamma della piccola Maria
La commendatoressa Maria carta, mamma della piccola Maria

LA CONFUSIONE - Non si pensa inizialmente a un rapimento a scopo d’estorsione, quanto forse a un gesto di protesta contro il governo: Molotzu è una delle personalità locali più in vista, è il segretario politico del Fascio nel suo paese e il suo podestà. Egli è però anche socio fondatore di una ricca azienda casearia, fatto che avrebbe potuto incoraggiare l’ipotesi di lucro dal sequestro suo o di un familiare: ma al momento non ci si pensa. I criminali, profondi conoscitori della zona, protetti da parenti e amici e temuti dai conoscenti, hanno libertà assoluta tra la macchia silente di Illorai.

LA TRATTATIVA - Dopo una trattativa confusionaria vengono richieste in riscatto 150mila lire in monete d’argento, pari a trentamila pezzi d’argento da cinque lire per un totale di duecentosessantadue chili e cinquecento grammi di peso: un ingombro esorbitante per esser trasportato da un emissario in sidecar, così come pretendono i latitanti. Il riscatto non viene pagato, anche perché voci di paese, ben informate dei fatti ma lontane dal voler collaborare con la giustizia, diffondono la possibilità tangibile della morte della piccola per il timore dei delinquenti di esser stati individuati.

Il sequestro di Maria fu segno di una cocente sconfitta sul piano del nuovo assesto di un intero sistema sociale, attanagliato da un banditismo senza scrupoli cui nemmeno Mussolini era riuscito a porre un freno con l’istituzione, nel 1927, della Provincia della Barbagia con capoluogo Nuoro, definita “Provincia del Littorio”.

Lo scheletro della povera Maria Molotzu
Lo scheletro della povera Maria Molotzu
Lo scheletro della povera Maria Molotzu

IL RITROVAMENTO DELLO SCHELETRO - La banda bittese si diede poi alla macchia fino al 1934, anno in cui vennero scovati e freddati in sanguinosi scontri a fuoco Antonio Congiu, massimo sospettato per il sequestro, e il complice Pintore. Il fratello Antonio venne arrestato e fucilato a Prato, non prima di aver rivelato dove giaceva il corpo della piccola Maria. Forte permane il sospetto che la bimba sia stata tumulata ancora viva nel muretto a secco nei pressi di Finnè, vicino a Ollolai, dove è stato rinvenuto il suo scheletro. Una delle pagine più drammatiche e cruente della storia sarda di sempre.

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