Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Luigi Chiatti, 50 anni, condannato per gli omicidi nel '92 di Simone Allegretti (4 anni) e nel '93 di Lorenzo Paolucci (13 anni). Condannato in Cassazione a 30 anni, giudicato semi infermo di mente, dal 2015 è ricoverato nella Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) di Capoterra.

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Gentile direttore, le chiedo cortesemente di voler pubblicare questo mio scritto in risposta a quanto è stato detto e scritto dai mass-media nei miei confronti non molti giorni fa. Innanzitutto, però, ritengo doveroso rivolgermi ai familiari delle povere giovani vittime: Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, prematuramente private a causa mia della loro vita.

Ciò che vorrei trasmettere è che, ancor oggi, nel loro ricordo, provo una forte sensazione di immenso dolore personale che mi strugge grandemente nel ricordo dal profondo del mio cuore, tanto da aver suscitato in questi lunghi anni tanti e tanti interrogativi, tra i quali il principale è se fosse giusto o no concedermi la possibilità di rinascere a vita nuova e, quindi, rientrare tra la gente in società, considerato il dolore presente, senza fine, che a causa mia si è determinato ed è presente nelle famiglie e in tante altre persone legate alle vittime. Mi dispiace, vi chiedo umilmente scusa con il cuore in mano.

Non vi chiedo di perdonarmi, so che è difficilissimo, ma per lo meno di concedermi di dare "un senso" al sacrificio delle due vittime. Io credo, anzi, sono oggi convinto, che anche da un evento così tragico si possa trarre qualcosa di positivo, dal male più profondo può emergere la luce, attraverso un processo di trasformazione e rinascita interiore della persona, ed è quello che è accaduto in questi anni.

Oggi, sono una persona molto diversa, che non si riconosce in quella descritta dai mass-media, che bisogna riconoscere svolgono il loro preziosissimo lavoro ma che, non avendo avuto contatti diretti con me, anche per una mia scelta che fino ad oggi ho voluto fare per rispetto di tutti, hanno proiettato sempre la stessa immagine cristallizzata di me, senza evidenziare gli importanti progressi ottenuti, grazie all'opera di tutti gli operatori che hanno avuto modo di lavorare su di me, sull'elaborazione dei fatti e sulla strutturazione della mia persona.

In questi anni di restrizione ho cercato di trasformare tutto il male fatto in gesti di aiuto nei confronti di chi, come me ristretto, si trovava in difficoltà nello svolgere al meglio tutte le mansioni di responsabilità che mi venivano assegnate, comportandomi bene con tutti, tanto da essere ben voluto da tutti quelli che mi hanno conosciuto personalmente e, ogni volta che lo facevo per me, era un dono fatto a Simone e Lorenzo, e ciò mi rendeva immensamente felice, perché era un modo per dare, come ho già detto in precedenza, un senso alla loro prematura morte. Ho cominciato ad apprezzare le gratifiche delle persone da me aiutate. Nella vita non c'è miglior cosa che agire per il bene, i ricordi delle persone aiutate rimangono per sempre ed illuminano la vita.

Adesso mi trovo presso la R.E.M.S. di Capoterra dal 2015, dove ho trovato degli operatori molto scrupolosi ma al contempo capaci di dare avvio, dopo più di un anno di osservazione, a un percorso esterno. Dal dicembre 2016 sto usufruendo con esito positivo di licenze accompagnate dagli operatori. Devo osservare che se nel corso della detenzione in carcere non ho mai usufruito di benefici, non è dovuto alla mancanza di requisiti comportamentali o di preparazione interiore o di mancata rielaborazione dei fatti, ma dal semplice fatto che la Legge prevede che prima si dovesse procedere alla verifica della pericolosità sociale e che questa può essere svolta solo in prossimità del termine della pena detentiva, quando vi è prossima la possibilità dell'applicazione della misura di sicurezza ordinata in sentenza. Ora, non avendo potuto usufruire del benefici a causa dell'attesa della riesamina della pericolosità sociale, era difficile pensare a un'uscita immediata dopo la detenzione ma, più sensata la decisione di applicare la misura di sicurezza per dare poi avvio, come è successo, a quella fase di reinserimento esterno. Prima di porre termine a questo mio scritto vorrei rassicurare, per quanto mi è possibile, le famiglie delle povere vittime. Oggi c'è una persona diversa ristretta, una luce non riconosciuta che vuole essere accolta semplicemente perché è luce, non è più negativa ma positiva, e che vuole tanto dare agli altri, trasmettere se stessa e dare un senso a tutto ciò che è avvenuto e che non doveva avvenire. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché ciò che ho fatto è distruzione della vita e disprezzo del creato. Scusatemi.

Luigi Chiatti

Capoterra, 25/10/2018

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IL COMMENTO DEL DIRETTORE: "Angoscia, dolore, speranza"

L'oggetto della mail era comune, Lettera aperta, il mittente molto meno: Luigi Chiatti. Il testo lo avete appena letto, io l'ho fatto ieri mattina. Ho provato angoscia e dolore, prima di verificare se quella lettera fosse autentica. Lo era. Ho condiviso con i colleghi l'importanza di pubblicarla, di dare al mostro di Foligno il diritto di parola 25 anni dopo l'arresto, 25 anni in silenzio. È la testimonianza di un uomo che ha commesso il più atroce dei crimini e che chiede «umilmente scusa» ma non il perdono perché, scrive, «è difficilissimo». Ognuno la legga come vuole. Con rabbia. Pietà. Speranza.

Emanuele Dessì

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