G li accordi che firmiamo in Europa di notte, in Italia non sono più validi di giorno. Non un solo euro promesso dal governo è finora arrivato nelle casse delle imprese e nel portafoglio delle famiglie. In Germania 5 mila euro di sussidio sono arrivati subito nel conto corrente di chi è in difficoltà, in Italia la “prenotazione” di 600 euro (ripetiamo l'iperbolica cifra, 600 euro) è diventata un calvario burocratico e informatico.

Con un colpo di penna del premier - e il Parlamento in pieno sonnambulismo - si è fermata gran parte della produzione e nessuno ha pensato a un piano d'emergenza per salvare la seconda manifattura d'Europa. Le Confidustrie del Nord (Veneto, Piemonte, Lombardia e Emilia Romagna, il 45 per cento del Pil italiano) hanno scritto al governo un messaggio chiaro: dobbiamo riaprire, prima che si fermi il motore del Paese.

In pieno “stato d'eccezione”, con le libertà fondamentali sospese, la politica in ostaggio della paura e dei virologi, un uomo solo al comando ha deciso di continuare il lockdown fino al 3 maggio, mentre lo spettro del crac avanza e la pandemia si appresta a cancellare 195 milioni di posti di lavoro nel mondo.

N ella maggioranza alcuni esponenti del Pd hanno tirato fuori dal cilindro il “contributo di solidarietà”, il paravento lessicale che nasconde la patrimoniale, un modo rapido per completare lo splendido lavoro di distruzione dell'economia.

In queste condizioni, con l'industria che collassa e lo Stato privo di gettito fiscale, ci siamo presentati in Europa pensando di fare la parte di quelli che la sanno più lunga di tutti sul corso della Storia. Noi, con Giuseppe Conte, in politica dal giugno 2018 con due governi di opposto segno e uguale inesperienza; i tedeschi con la cancelliera Angela Merkel che è alla guida del gigante d'Europa ininterrottamente dal 2005 e ha visto passare davanti ai suoi occhi i nostri 9 governi e 7 premier diversi negli ultimi 15 anni. Siamo un Paese stabile nell'instabilità, fermo nella precarietà, fisso nell'immobilità, sempre troppo indebitato.

La catastrofe dell'Eurogruppo l'abbiamo studiata a tavolino: se ti presenti a un banchetto di vecchie volpi con una proposta già bocciata da tutti (Eurobond) e non hai un'idea alternativa, alla fine ti resta solo l'accesso ai prestiti del Fondo salva Stati (il Mes) che, tra l'altro, hanno vincoli di utilizzo e di tempo. Ma questo strumento è stato subito bombardato per ragioni di politica interna. Quali? I Cinque Stelle (e lo stesso Conte) alla parola Mes hanno un brivido lungo la schiena, pensano ai sondaggi della Lega che sfondano il soffitto. Fenomeno balistico tutto da dimostrare, tra l'altro. Risultato: il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha firmato nella notte un accordo nell'Eurogruppo, l'ha definito ottimo e poi il premier Conte l'ha sconfessato la mattina.

Il risultato è da allarme rosso: i mercati (cioè chi compra e vende il nostro debito pubblico) hanno ricevuto una serie di avvisi critici. Li elenco. 1) Abbiamo problemi di cassa e siamo timidi sul ricorso al mercato obbligazionario per finanziare un nostro piano d'emergenza e ricostruzione; 2) Mes o no, con questo scenario il premio di rischio dei nostri titoli di Stato si alzerà; 3) Abbiamo perso in maniera rovinosa la battaglia per gli Eurobond; 4) Minacciamo l'Europa «di fare da soli», ma senza gli acquisti di titoli da parte della Bce saremmo già immersi in una crisi finanziaria devastante; 5) L'Italia cerca un salvagente in Europa mentre la politica economica si sta (ri)nazionalizzando ovunque ricorrendo a emissioni di debito e programmi finanziari straordinari; 6) Visti i livelli del debito, il crollo del Pil a causa di uno shutdown senza protezione delle imprese e delle famiglie, l'Italia (tesi sostenuta da Wolfgang Münchau sul Financial Times) è il candidato naturale a una imminente crisi finanziaria.

Domanda del compagno Lenin sul taccuino: che fare? Fermare la politica delle promesse incerte e delle chiusure certe (l'ossessione del presentismo senza fatti), riaprire le imprese in maniera sicura, graduale ma decisa (la produzione italiana), salvare le famiglie dalla povertà (liquidità d'emergenza), abbandonare l'ideologia dell'assistenza senza dignità e senza lavoro (energia e dinamismo), spegnere il circuito della paura (effetto psicologico). Non si vincono le guerre stando tutti a casa seduti sul divano.

Post scriptum. Un modesto consiglio alla giunta della Regione Sardegna: riapra le attività produttive, protegga le imprese e le famiglie sarde, si doti di forza e coraggio. Non c'è tempo, per l'Isola questo scenario è letale.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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