C iak, si gira. Va in scena la crisi di governo. Matteo Renzi ha mantenuto il punto e messo Giuseppe Conte di fronte a una realtà per lui sconosciuta: un leader che sa fare politica.

Conte per tre volte ha immaginato di poter annullare Renzi: prima ha cercato di domarlo per via ministeriale, con i posti di governo, poi si è immaginato di poterlo intimidire con la prova del voto in aula, infine ha cominciato a escogitare il modo per sostituirlo. Nel fare tutto questo, Conte ha sempre trattato Renzi come un politico che ebbe fortuna e mai più ne avrà. Ha cancellato il dettaglio storico che il suo governo è nato per volontà di Renzi. Mai fare congetture sulle (s)fortune altrui, perché di solito capita che poi tocchi a te dover fare i conti con il destino nero.

Conte ha commesso due errori gravi: 1) Ha detto a Renzi che era pronto a sfidarlo con i numeri in Parlamento; 2) Ha lanciato un ultimatum, o con noi (da leggere “con me”) o fuori dalla coalizione. Un politico navigato non fa questi scivoloni: nel primo caso ha dato a Renzi la certezza che il premier sta(va) cercando i voti per sostituirlo in Senato - e dunque il leader di Italia Viva lo ha chiamato a contarsi in aula, svelare le carte; nel secondo, il premier ha spazzato via in un colpo solo una combinazione che poteva usare, l'alleanza con Italia Viva; se la scarti, hai una possibilità in meno di uscire dalla crisi. Due boomerang. Renzi ha lasciato il premier a giocare da solo al tavolo da poker: in una mano le carte senza il punto, nell'altra un cerino acceso.

C 'è un terzo errore, fresco di stampa. Quando Conte ha realizzato di essersi cacciato in un vicolo cieco, era ormai troppo tardi. Ieri pomeriggio è andato a parlare con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma è riuscito nell'impresa di trasformare la sua doverosa salita al Quirinale nell'ultra discesa di un premier che dopo aver lanciato il (pen)ultimatum d'espulsione dal club all'alleato ribelle, cambia idea e si presenta in versione accomodante, ma sempre sotto i riflettori, come una star. Renzi ha fiocinato la performance così: «Uno spot in piazza».

Renzi è stato abile nel costruire la sceneggiatura del film della crisi: ha messo nero su bianco cosa non funzionava nel Recovery Fund (e non ci è voluto molto, vista la pochezza del documento), ha posto le domande nel tempo giusto (fin dall'estate scorsa) e quando la naturale vocazione di Conte a sopire, diluire, stingere, rinviare, è diventata immobilismo è passato all'attacco. Ha fatto riscrivere il piano del Recovery Fund, ha mostrato Conte nella sua dimensione di affabulatore-scrittore di Dpcm, ha spalancato i cancelli della crisi. Può il Paese che ha il record mondiale di morti per coronavirus essere amministrato con i tempi di una lumaca, uno spreco di miliardi di euro già in corso per l'oggi della legge di Bilancio e pronto al balzo domani con Recovery Fund? La risposta la conoscono tutti.

Altra domanda: può quello Stato con quel debito pubblico e tutti quei morti non accedere ai fondi del Mes (oltre 30 miliardi di euro pronta cassa) per la Sanità? La risposta di Conte è stata sempre nel segno dell'autosufficienza che non poteva avere, non ha un partito, è un esordiente, non è una riserva della Repubblica. In politica nessuno può dire “mi basto”, neanche i sovrani assoluti sono soli nell'arena del potere, il loro destino dipende dalla fedeltà dell'esercito. E Conte un esercito non ce l'ha.

Cosa accadrà ora? Renzi ha messo il cerino nelle mani di Conte, la crisi è aperta e il premier ha due strade: dopo vario tergiversare formalizza la crisi tornando dimissionario al Quirinale (e poi si vedrà); prova la strada del gruppo dei “costruttori” (sono i nuovi “responsabili”) per sostituire i voti di Renzi in Senato. Nel primo caso la crisi resta extraparlamentare e Conte evita la caduta in aula (sempre pessima) cercando un reincarico e una riapertura del negoziato anche con Italia Viva; nel secondo caso si apre la guerra termonucleare perché il Governo dei Costruttori, ammesso che superi la prova della fiducia, vivrebbe male e forse pochissimo. Il presidente Mattarella chiede un rapido chiarimento, presto la crisi tornerà al Quirinale e subirà un'accelerazione.

A cosa punta Renzi? Alla sostituzione di Conte, chiaro, ieri ha detto che per Palazzo Chigi a questo punto ci sono anche altri nomi. Renzi diede vita al bis nell'agosto torrido del Papeete di Salvini, Renzi non mette in culla il tris nel gennaio siberiano di Conte. Fa e disfa tutto da solo, piaccia o meno, è un fenomeno. Questo certifica il suo coraggio. Renzi se crede in una battaglia diventa no limits, è il più dotato sul piano politico, sa esporre le sue idee e trasformarle in una battaglia parlamentare. Sono qualità rare. Il leader di Italia Viva appartiene alla categoria dei conquistatori-costruttori (e naturalmente anche distruttori), nella sua storia, come sappiamo, vive e lotta il Rottamatore. Anche di se stesso. Oggi sarà molto criticato e poco applaudito, uno come lui fa accigliare chi non rischia mai nulla nella vita. Chiudo con la domanda finale sul taccuino del vostro cronista: ma andava davvero tutto bene in questo Paese?

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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