"Cara Unione,

sono un paziente talassemico di 40 anni.

Una malattia grazie a Dio sotto controllo, e una malattia grazie a Dio quasi indolore. Vi prego, però, di raccogliere il mio sfogo di rabbia, dolore e umiliazione.

Da circa 15 anni lavoro per una grande azienda di Torino, sono entrato da semplice impiegato addetto alla vendita di titoli di viaggio, ma a 30 anni mi sentivo triste e poco utile. Penso che anche un thalassemico può dare tanto anche se malato. Dalla vetrata di quella biglietteria vedevo i miei colleghi ridere e scherzare io invece mi sentivo solo e triste dentro a quelle mura, così decido di mettermi in gioco. Chiedo di essere trasferito ad altra mansione. Fin da piccolo il mio sogno era di fare il mestiere di mio papà, l’autista di autobus, e così mi metto a studiare in tempi record e prendo tutte le patenti necessarie, faccio richiesta e vengo inviato a visita medica dove vengo scartato per inidoneità alla mansione, e li iniziano i primi dolori portati da questa malattia.

Insisto perché sono sicuro che posso farlo l’autista di autobus difatti i requisisti sono udito, vista, e non avere problemi cardio circolatori. Allora faccio ricorso e vado a Roma. Per la prima volta mi trovo davanti una dottoressa molto gentile che dopo qualche domanda mi dice: "Tu in realtà potresti fare l’autista ma ho paura che dopo qualche anno vai in crisi anche per i turni massacranti pertanto seguo il parere dei medici di Torino non mi sento di farti idoneo”.

Mi crolla così il mondo addosso, mi sento triste e il mio sogno svanisce. Mi rassegno ma non mollo, il mio obbiettivo è uscire da quelle mura e dopo 7 lunghi anni riesco a farmi trasferire.

Ogni anno a differenza dei miei colleghi devo presentarmi davanti al medico con tanto di relazione medica esami e sperare nella sua grazia, con la paura di essere rispedito in un ufficio.

Dopo circa 3 anni al mio gruppo di lavoro viene data la possibilità di diventare Capo Treno e così felicissimo e sempre in cerca di sfide partecipo anche io...inizio i corsi in un periodo molto difficile della mia vita, ero in cura per sconfiggere l’epatite C, già un tentativo era andato male ma grazie al mio carattere combattivo stavo riprovando a riprendermi il mio fegato. I farmaci erano pesanti, bisognava anche studiare.

Con fatica e impegno supero il primo esame teorico felicissimo, si avvicina l’esame di pratica quando un giorno mantre facevamo lezione sentiamo bussare alla porta: era un responsabile, che mi chiama e mi spiega che vista la mia malattia non se la sente di portarmi all'esame.

Solo dopo 4 anni il mio sogno si realizza e divento Capo Treno.

Nel 2020 arriva il Covid 19, i primi giorni tanta confusione, mascherine non si possono usare, troppa gente in giro così per precauzione mi metto a casa. Resto in contatto con i miei colleghi sul campo, la voglia di tornare a lavorare e tanta così quando la situazione inizia a essere sotto controllo decido di rientrare.

Dopo pochi giorni, però, lo stop dei medici del lavoro: la mia patologia è a rischio e mi devono fermare.

Arrivo alla fine di questa mia lettera concludendo che sono tante le umiliazioni che un thalassemico deve sopportare: ma noi siamo buoni solo per lavorare attaccati a una sedia?

Grazie per l'attenzione, con affetto".

Michele Russo

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