Un anno e più in bilico tra lockdown e riaperture, bollettini di guerra e altalenanti resoconti dagli ospedali, scuole a singhiozzo e didattica a distanza spinta. Con una campagna vaccinale che arranca, e il conseguente pericolo che le varianti eventualmente cattive del virus ci travolgano, la luce in fondo al tunnel (per usare un'espressione abusata da ministri e comitato tecnico) diventa sempre più fioca. Il che non fa bene né alla nostra salute pubblica, né al nostro umore. "Ormai siamo a un punto in cui cominciano a stancarsi anche le persone che hanno sempre osservato le regole", avvisa Luca Pisano, psicologo e psicoterapeuta a Cagliari. Finora i medici indagatori delle dinamiche della psiche hanno lanciato l'allarme sul numero sempre crescente, anche in Sardegna, di diagnosi di ansia e depressione in quest'anno di pandemia. Ma adesso c'è qualcosa di più: comincia ad affiorare uno sfinimento, una certa stanchezza appunto. "Comincia a mancare quella resilienza che scattava nel momento in cui ci si sentiva parte di un progetto sociale, nazionale e internazionale, di riabilitazione del territorio".

Può spiegare meglio?

"Uno diventa resiliente perché, se non esce di casa, porta sempre la mascherina, evita di incontrare gli amici e rispetta il distanziamento, sente che sta facendo qualcosa non solo per sé ma anche per la comunità. Adesso, però, questo sentimento di appartenenza si sta affievolendo perché pian piano le persone si rendono conto che gran parte di queste misure possono andare bene per una metropoli ma non per l'intero territorio nazionale".

Non sarà semplicemente la scusa di chi viola le regole a prescindere?

"No, quelle sono le persone che, diciamo così, non sono in grado di usare l'intelletto, e statisticamente, nella popolazione una certa percentuale c'è sempre. Io parlo di chi invece le norme le ha sempre rispettate. Non c'è più, e comunque si sta allentando, quel fattore di resilienza che faceva dire ai cittadini: ok, sono regole pesanti, però mi sto impegnando non solo per la mia salute e quella dei miei cari ma anche per un bene comune. In giro non ci sono solo le persone che credono che il virus non esista, quelli che hanno difficoltà a usare l'intelletto. Ci sono anche persone che temono il virus ma non sono più disposte ad accettare misure repressive perché gran parte di queste sono fuori da ogni logica. Quindi, anche in zona rossa come è successo nelle giornate delle festività di Pasqua, sono uscite e lo faranno sempre di più. Soprattutto qui in Sardegna, dove si sente che sta arrivando l'estate, non si riuscirà più a tenere la gente dentro casa".

Per quale ragione, scusi, la Sardegna dovrebbe avere un trattamento diverso dal resto del Paese?

"Perché, ripeto, il nostro è un territorio molto vasto e scarsamente popolato. Ci sono comunità con numeri da zona rossa? Si faccia il lockdown in quelle aree, non in tutta la regione. La politica repressiva produce sempre disobbedienza, e questa aumenterà sempre di più perché non si può gestire con la repressione un'intera popolazione solo per tenere a bada quella fetta che non è in grado di usare l'intelletto".

Quale dovrebbe essere, invece, l'approccio?

"Occorre una politica che tenga presente i bisogni psicologici dei cittadini, senza atteggiamenti rigidi. La gente non rispetta più le norme e si assembra non solo perché è stanca, ma anche perché vede l'illogicità delle regole. Penso alla zona rossa di Pasqua e al divieto di fare passeggiate se non nei pressi dell'abitazione. Ma uno che ha la campagna a due chilometri, perché non ci poteva andare ed era invece obbligato a girare attorno alla propria casa o addirittura a non uscire"?

È stata appunto fatta una stretta sotto le feste per limitare al massimo gli spostamenti.

"Io capisco che adesso c'è l'emergenza dei contagi in aumento, ma non si può non considerare che siamo pochi abitanti in un territorio vasto. Una politica differente avrebbe permesso ai cittadini di uscire di casa dando delle regole e, va sottolineato, disponendo i controlli: niente assembramenti, pic-nic ammessi soltanto per gruppo familiare o massimo due, eccetera. Invece, in una logica di tipo repressivo, che cosa accade? Accade che le persone escono ugualmente. La repressione porta all'insubordinazione. Senza contare un altro aspetto...".

Quale?

"La sostanziale assenza di controlli. Faccio l'esempio dei giovani, degli assembramenti che vediamo ovunque. Perché non si vuole ragionare su questo? I giovani comunque escono e s'incontrano perché, a differenza di noi anziani, hanno bisogni diversi. E allora perché non si dà loro modo di incontrarsi, magari nei parchi con ingresso controllato e preventivo tampone antigenico? Il punto è che non lo si vuole fare. Le autorità non si prendono la responsabilità perché si preferisce la regola repressiva: non si esce, niente raduni. Poi, però, si chiude un occhio dato che i controlli nella sostanza sono pochi. Insomma, la regola repressiva non è nemmeno rafforzata dalla vigilanza e dalle sanzioni. Quindi siamo punto e accapo: gli assembramenti ci sono e saranno sempre di più".
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