È una notte tiepida di fine maggio. Ottavio Bianchi e Beppe Bruscolotti passeggiano in viale Diaz, a pochi passi dalla Fiera di Cagliari. L'allenatore e la storica bandiera del Napoli probabilmente parlano dei dettagli tattici per la partita dell'indomani. "Provate ad avvicinarvi alla hall", dice il tecnico bresciano, "i ragazzi stanno giocando a carte. Magari potete salutarli". Gli occhi azzurri rotondi, quell'aria bonaria mai persa da impiegato prestato al calcio: ha appena guidato la squadra partenopea alla conquista del suo primo scudetto ma non rinuncia ai modi gentili ed educati da uomo d'altri tempi. "Mister, lei ha un po' di sangue rossoblù. Ricorda il 1974?". Sorriso istintivo: "Certo che ricordo, giocavo con Riva, anche se quell'anno le cose nel Cagliari non funzionarono troppo bene". Accanto a lui l'arcigno difensore dal volto affilato sorride e va dritto al sodo: "Magari Diego esce a salutare".

L'ATTESA DEI TIFOSI Davanti ai cancelli dell'hotel almeno duecento cagliaritani sognano di incrociare lo sguardo dell'uomo che ha appena trascinato il Napoli sul tetto d'Italia. Lui è lì a pochi metri, è atterrato per la prima volta in Sardegna, quasi per benedire una terra che si sta inesorabilmente allontanando dal calcio che conta, dopo gli anni magici di Riva e dello scudetto: in quella sala d'albergo c'è l'eroe del gol dell'eternità all'Inghilterra e della punizione impossibile contro la Juventus. Non esiste ancora traccia ufficiale delle vicende che appanneranno l'immagine di un uomo troppo solo per poter reggere il Mito che ogni giorno di più cresce sulle sue spalle.

DAVIDE E GOLIA L'indomani si gioca la sfida impensabile tra un Cagliari affacciato sul baratro della Serie C e il Napoli fresco di scudetto cucito sulla maglia. Quasi un passaggio di consegne tra le due uniche squadre in grado vincere a sud di Roma. Semifinale di Coppa Italia, è una gara impari ma porta il Sant'Elia a riassaporare il gusto delle grandi partite perso negli ultimi anni: non ci sono protagonisti più affascinanti degli azzurri di Re Diego, i campioni proletari capaci di mettersi alle spalle le solite regine del Nord. Juventus, Inter e Milan stavolta sono rimaste a guardare lo spettacolo sotto il Vesuvio.

IL SALUTO DI DIEGO Il cordone di sicurezza attorno alla squadra napoletana non impedisce di buttare lo sguardo oltre il vetro spesso dell'albergo di viale Diaz. Si muove un casco nero di capelli arruffati. "È lui", grida una ventenne bionda affacciata a un balcone davanti al Panorama. La folla accalcata di fronte al cancello si agita. Si apre la porta a vetri, è improvviso silenzio: Maradona fa qualche passo nel cortile. Ecco l'inconfondibile sorriso irriverente, il braccio alzato a salutare. È un boato: "Diego, Diego". Il fuoriclasse argentino si avvicina alla folla in delirio e allarga le braccia per ringraziare, prima di voltarsi e tornare dentro l'hotel.

LA GIOIA DEI TIFOSI Pochi istanti ma sufficienti per accontentare chi è corso lì per vedere da vicino l'uomo destinato a diventare il più affascinante campione della storia del calcio. Quasi per magia quel gesto di Maradona gratifica i tifosi in attesa da ore in viale Diaz. Si rompono le righe, c'è un saluto spontaneo e collettivo: "Domani pensiamo solo al Cagliari, ovviamente", avverte un giovanotto che ha l'aria di appartenere al tifo organizzato. Sono ancora lontani i tempi del grande freddo tra rossoblù e Napoli ma è bene mettere le cose in chiaro. "Ci mancherebbe", la risposta generale: "Forza Cagliari. Sempre".

STADIO PIENO L'indomani è il 27 maggio 1987, si gioca alle 20.30, il Sant'Elia mette per l'ultima volta l'abito buono degli oltre cinquantamila spettatori: non ci sarà mai più un evento di questa portata, perché pochi mesi dopo cominceranno i lavori per preparare i mondiali di Italia '90. La capienza verrà ridotta a 42mila posti, mentre il Cagliari scivola nell'inferno della Serie C ma riesce anche a tornare in fretta nella prima fila del calcio più importante. L'entusiasmo è palpabile, nessuno si sogna di rinunciare a quell'appuntamento, anche se in tv c'è la finale di Coppa dei Campioni, quella del Porto di Madjer, il tacco di Allah che ribalta il Bayern.

IL CAGLIARI E MARADONA Il Napoli di quella sera non sembra poi così imbattibile: i rossoblu' dell'eterno Gigi Piras provano più volte a graffiare e si difendono bene dalle incursioni dei campioni d'Italia. I tifosi trasformano lo stadio in un catino infuocato: un appuntamento così prestigioso manca da troppo tempo, si comincia persino ad accarezzare l'idea dell'impresa impossibile. Ma a dieci minuti dalla fine il "Pibe" argentino decide che è tempo di chiudere i conti. La difesa del Cagliari sbaglia una ripartenza: Maradona entra come un fulmine in area e, col suo amato sinistro, trafigge Roberto Dore, compianto portiere rossoblu', incolpevole davanti alla giocata del campionissimo. Lo stadio si fa muto, finisce il sogno, ma è solo un attimo. Alla fine il risultato conta poco: da ogni angolo del Sant'Elia parte un applauso convinto. Grazie Cagliari, grazie Diego: il già leggendario numero dieci lascia un segno indelebile della sua classe anche in Sardegna, terra di calcio dove non può mancare l'appuntamento col più grande di tutti. "Questo pubblico è incredibile", commenta Maradona, quasi sorpreso mentre esce dal campo accerchiato dai cronisti. "Merita soltanto la Serie A".
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