Continua la ricostruzione della lunga vicenda che per oltre 30 anni ha portato in carcere un innocente.

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Neanche tre mesi dopo la sentenza che ha cancellato trent’anni di verità giudiziaria e assolto Beniamino Zuncheddu dall’accusa di aver ucciso l’8 gennaio 1991 tre persone all’ovile Cuile is Coccus (la “strage di Sinnai”: morirono Gesuino Fadda, proprietario dell’azienda, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu), arrivano le motivazioni della decisione presa dalla Corte d’appello di Roma nel processo di revisione riguardante quei fatti.

E non sono piacevoli per l’ormai ex ergastolano di Burcei, che ha trascorso 32 anni in carcere prima della sospensione della pena arrivata nell’ambito dello stesso procedimento nel novembre 2023, e per il suo avvocato difensore Mauro Trogu.

I dubbi

La sentenza revoca il pronunciamento originario passato in giudicato a fine 1992. Ma l’elemento che ne è alla base non può lasciare soddisfatti imputato e legale. Già alla lettura del dispositivo, il 26 gennaio 2024, il collegio fa sapere che resta un dubbio sul comportamento dell’imputato: la formula assolutoria infatti si basa sull’insufficienza di prove. Adesso però nella settantina di pagine con cui la Corte spiega il percorso seguito per arrivare a quel finale emergono nel dettaglio i punti ritenuti ancora oscuri della vicenda e, soprattutto, c’è una frase che fa saltare sulla sedia ex detenuto e difensore: la revisione non ha dimostrato la «certa e indiscutibile estraneità di Beniamino Zuncheddu all’eccidio» ma ha «semplicemente fatto emergere un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza».

Dunque, in realtà restano i sospetti sull’eventuale e non dimostrato ruolo del pastore di Burcei in quella vicenda ma non c’è la sicurezza di una sua responsabilità. Il superstite Luigi Pinna con le dichiarazioni rese in quell’aula di Roma nel novembre 2023, ammettendo di non aver potuto identificare in realtà l’assassino nel 1991, ha smentito le sue stesse affermazioni che, nella prima indagine, avevano incastrato Zuncheddu (il testimone, nascosto nell’ovile per sfuggire alla furia del killer, aveva assicurato di aver riconosciuto il pastore di Burcei nell’uomo che quella notte, in montagna, gli aveva esploso contro due fucilate fallendo però nell’intento di ucciderlo): così è diventato inattendibile e le fondamenta del processo originario (proprio la sua testimonianza) sono crollate. Spingendo il collegio ad assolvere l’ergastolano.

L'avvocato Mauro Trogu
L'avvocato Mauro Trogu
L'avvocato Mauro Trogu

I motivi

Sentenza basata però solo su questo elemento, non perché la Corte si sia convinta della totale estraneità di Zuncheddu. E Trogu, lette le carte, annuncia subito un ricorso per Cassazione. Vediamo nel dettaglio perché i giudici sono arrivati a questa conclusione.

I giudici scartano molti degli argomenti portati alla loro attenzione dalla difesa perché, dicono, «già analizzati e presi in esame» oltre trent’anni prima. Dunque sono poco utili, par di capire, per ribaltare la condanna originaria. Come il presunto legame dell’eccidio col sequestro di Gianni Murgia, imprenditore rapito nell’ottobre 1990a Dolianova (distante circa 10 chilometri in linea d’aria con l’ovile della strage): l’ipotesi della difesa e della procuratrice generale Francesca Nanni, che ha appoggiato la richiesta di revisione, era che i banditi durante la fuga con l’ostaggio fossero passati dalla zona di Cuile is Coccus e avessero poi eliminato chi li aveva visti (i Fadda, i quali secondo avvocato e pg potevano in alternativa anche essere complici in qualche misura del rapimento).

Ma secondo la Corte romana già durante i processi originari questa tesi era stata ritenuta in contrasto con quella di un killer col volto coperto da una calza da donna (versione originaria del superstite, il quale poi fece retromarcia e sostenne che l’assassino aveva agito a volto scoperto), perché un omicida irriconoscibile non avrebbe avuto necessità «di sterminare tutti i testimoni dell’eventuale presenza di sequestratori in quei luoghi».

Se il bandito era «deciso a uccidere tutti», non avrebbe avuto bisogno del collant sul viso. Inoltre la calza avrebbe reso «anche più difficile la vista» nell’oscurità (il killer agì alle 18,30). Nella revisione inoltre la difesa sostiene che il superstite «non poteva aver visto in faccia l’assassino perché altrimenti, per la posizione della testa e la fucilata» diretta verso di lui, «sarebbe morto»; però allo stesso tempo «dà il massimo rilievo alla descrizione dell’aggressore» fatta dallo stesso sopravvissuto, «che dunque si ritiene abbia visto con sufficiente attenzione» l’assassino.

Beniamino Zuncheddu in aula a Roma
Beniamino Zuncheddu in aula a Roma
Beniamino Zuncheddu in aula a Roma

Il bandito morto

Poi il secondo punto, ovvero la tesi che il vero responsabile della strage sia il bandito Antonio Maria Corria, tra i sequestratori di Murgia, morto da tempo. Un uomo le cui fattezze fisiche e il cui modo di vestire collimerebbero, secondo la difesa, con quelli del custode descritto dall’ostaggio di Dolianova durante la prigionia (individuato proprio in Corria nei processi sul sequestro). Per la Corte indicare lui quale colpevole «esclude la possibilità che questi», essendo defunto, «chiami in causa anche Zuncheddu» relativamente alla strage.

L'imprenditore Gianni Murgia, sequestrato nel 1990
L'imprenditore Gianni Murgia, sequestrato nel 1990
L'imprenditore Gianni Murgia, sequestrato nel 1990

I contrasti

Tre. L’ipotesi di una presunta lite tra i partecipanti al rapimento riguardante 100 dei 600 milioni pattuiti per il riscatto «è vaga, ipotetica e dubitativa»: sostenere che i Fadda, avendo avuto un qualche ruolo (mai dimostrato) nel sequestro, avessero preteso quella cifra come compenso e per questo fossero stati eliminati, è una «mera illazione». Tra l’altro approfondimenti su quell’aspetto erano stati «già svolti all’epoca». Anche un bandito condannato quale partecipe al sequestro e testimone nel processo di revisione, ha sostenuto in aula a Roma si tratti di fantasie «pur avendo scontato la pena e non avendo alcunché da temere». In definitiva, per il collegio sono «solo tesi alternative contraddittorie».

Una delle manifestazioni pro Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma
Una delle manifestazioni pro Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma
Una delle manifestazioni pro Zuncheddu davanti alla cittadella giudiziaria di Roma

La fisionomia

Quattro. La statura (presunta) del killer. Luigi Pinna disse che l’omicida era alto circa 180 centimetri. Poi si parlò di una scala tra 170 e 180: un cambiamento che, nella richiesta di revisione, renderebbe «inattendibile» la versione del superstite su Zuncheddu, alto 170, e che tuttavia sarebbe valida «per Corria, alto però 165». Quindi quando si parla di “volto coperto-volto scoperto” difesa e pg «preferiscono dare credito alla prima versione del sopravvissuto», che aveva parlato di una calza sul viso, mentre quando si parla dell’altezza «preferiscono la seconda versione» e non la prima. Per i giudici, una contraddizione.

I dialoghi

In definitiva «l’unica prova nuova sono le intercettazioni» dei colloqui tra Pinna e la moglie effettuate sull’auto della coppia dopo l’interrogatorio cui l’uomo fu sottoposto in Procura generale a Cagliari nel febbraio 2021 (colloquio e registrazioni che diedero il via all’inchiesta bis sulla strage).

Intercettazioni, si premurano di scrivere i giudici romani, «avvenute sulla base di una iscrizione» di notizia di reato «inconsueta, perché il colpevole» della strage «era stato già identificato e condannato» nel 1992, «pur essendovi la possibilità di altri» complici «rimasti impuniti». Ma senza quella nuova indagine voluta dalla Procura della Repubblica di Cagliari non sarebbe stato possibile dar luogo alle intercettazioni. Dunque si trattò di «una indagine a carattere esplorativo« avviata «nella speranza di ottenere nuove prove per presentare l’istanza di revisione». Inchiesta che, era l’aprile 2024, «dopo 4 anni non ha portato a risultati concreti».

15) Continua

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