La fine della “guerra fredda”, il lungo periodo di rapporti tesi tra il blocco occidentale (dominato dagli Usa) e quello orientale (al cui vertice c’era l’Urss), coincide con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, un insieme di Paesi tenuti assieme sotto il ferreo controllo di uno Stato centrale violento, oppressivo e dotato di armi atomiche, e il contestuale successo (presunto) degli Stati Uniti e del suo modello.

Fine secolo

Fine 1991: fu allora che, nell’arco di un mese, l’impero nato dopo la vittoriosa Seconda guerra mondiale e tramutatosi velocemente in una feroce dittatura capace di sterminare milioni di oppositori, affamando molti più connazionali, collassò e si disgregò chiudendo apparentemente un’epoca di paura e povertà aprendone (nelle speranze) un’altra di libertà e crescita. Un’illusione. Come dimostrano gli accadimenti di questi ultimi anni e mesi.

Immagini di bombardamenti a Mariupol, in Ucraina, nel periodo iniziale della guerra dopo l'invasione russa del marzo 2022
Immagini di bombardamenti a Mariupol, in Ucraina, nel periodo iniziale della guerra dopo l'invasione russa del marzo 2022
Immagini di bombardamenti a Mariupol, in Ucraina, nel periodo iniziale della guerra dopo l'invasione russa del marzo 2022

Il primo dicembre di 34 anni fa l’Ucraina, nazione dal 2022 nuovamente in preda a un terrore che pensava archiviato, chiese l’indipendenza; sette giorni dopo il suo capo di Stato assieme a quelli di Bielorussia e Russia (la più grande delle 15 repubbliche socialiste originarie nonché perno del sistema) decretarono la fine dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche (gli accordi di Belaveža); poco dopo Michail Gorbačëv, dal 1985 segretario generale del Pcus (il partito comunista sovietico) e presidente dell’Unione sovietica, si dimise; il 26 l’Urss fu formalmente sciolta; nella notte tra il 31 dicembre 1991 e il primo gennaio 1992 la sua dissoluzione divenne definitiva.

Un passo indietro

Sono trascorsi oltre tre decenni e l’orologio del tempo sembra tornato a quel periodo. La Russia è prepotentemente tornata a uno stile imperialista e guerrafondaio e ha un presidente ex agente segreto che si trova al potere ininterrottamente, di fatto, da 25 anni. Senza intenzioni apparenti di passare la mano.

Ma quel 1991 spartiacque non arrivò all’improvviso e per caso. Per capire dove si trovi l’origine di quanto accaduto tra il 1989, con la caduta del muro di Berlino in Germania 28 anni dopo la sua costruzione, e la fine dei soviet, si deve tornare al 1986 e sbarcare in un’isola in mezzo all’oceano Atlantico, dove ancora oggi si trova un elegante edificio in legno affacciato sul tratto di mare che separa l’Islanda dalla Groenlandia.

La villa Höfði in Islanda al tempo del vertice Urss-Usa (era il 1986)
La villa Höfði in Islanda al tempo del vertice Urss-Usa (era il 1986)
La villa Höfði in Islanda al tempo del vertice Urss-Usa (era il 1986)

L’isola e la villa

Una villa colorata di bianco, di nome Höfði, costruita nel 1909 sul lungomare della capitale Reykjavík dove, quattro anni prima, ci fu la prima trasmissione radio nella storia nazionale e che nel tempo fu residenza del console di Francia e del poeta Einar Benediktsson nonché ambasciata britannica. Qui nell’agosto del 1941 dormì Winston Churchill, primo ministro della Gran Bretagna, nel periodo successivo a quello in cui scrisse con Franklin Delano Roosevelt, presidente degli Usa, la “Carta Atlantica”, un accordo diplomatico sul futuro ordine mondiale siglato a bordo dell’incrociatore USS Augusta al largo dell’isola di Terranova (lungo le coste del Canada).

L’elegante villetta bianca su due livelli entrò prepotentemente nella storia della guerra fredda perché proprio lì, tra sabato 11 e domenica 12 ottobre 1986, andò in scena il faccia a faccia tra i due uomini allora più potenti al mondo: Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti, e Michail Gorbačëv, suo omologo nell’Urss. Fu il loro secondo vertice, seguito a quello di Ginevra nel novembre del 1985 quando i due leader sembrarono possibilisti sulla riduzione degli armamenti nucleari.

Ronald Reagan e Michail Gorbačëv nell'incontro in Svizzera precedente a quello islandese
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv nell'incontro in Svizzera precedente a quello islandese
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv nell'incontro in Svizzera precedente a quello islandese

In Svizzera l’approccio fu reso possibile dal cambio di vento portato nell’Unione Sovietica da Gorbačëv, che da segretario generale del Pcus (prese la carica nel 1985) introdusse le prime riforme politiche, sociali ed economiche (la “Perestrojka”) e fu promotore di una maggiore trasparenza all’interno e all’esterno dell’Urss (la “Glasnost’”). Comportamenti che aprirono nel tempo all’incontro poi avvenuto a Reykjavík. Un vertice proposto dal leader sovietico nella parte conclusiva di una lettera inviata all’omologo americano: «Signor Presidente, mi è venuta in mente un’idea da proporle in un rapido faccia a faccia, diciamo in Islanda o a Londra, magari solo per una giornata». Una novità nelle comunicazioni tra i due grandi nemici. Eppure.

Ronald Reagan e Michail Gorbačëv in Islanda
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv in Islanda
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv in Islanda

Il vertice

Per il vertice del 1986, nel quale si riponevano aspettative enormi, che fu tenuto nascosto quanto possibile prima di svelarlo al mondo e che durò più di una giornata, si scelse l’Islanda vista la sua equidistanza geografica tra le due superpotenze e perché, forse, organizzarlo lì comportava meno rischi e pressioni che non facendolo nei rispettivi Paesi.

Tra l’altro quell’isola era stata protagonista di un altro celebre episodio che coinvolse in qualche misura Usa e Urss: tra l’11 luglio e il 3 settembre 1972 fu teatro della finale del Campionato del mondo di scacchi tra il sovietico Boris Spasskij e lo statunitense Bobby Fischer. Vinse l’americano, unica volta nella storia, che poi lascerà gli Stati Uniti trasferendosi proprio in Islanda dove morì e fu sepolto. Ancora oggi riposa nel cimitero di Selfoss, una città di neanche 7mila abitanti a circa 60 chilometri dalla Capitale.

Reagan e Gorbačëv in quel 1986 scelsero Höfði perché ritenuto luogo più adatto a un incontro bilaterale rispetto all’hotel Saga proposto dal governo islandese. L’albergo ospitò il presidente dell’Urss e la sua delegazione durante il soggiorno a Reykjavík, mentre il presidente Usa fece la spola tra la villa e una portaerei al largo. Al netto degli interessi di ciascuno all’origine di quel disgelo (certamente in Unione Sovietica era propedeutico e necessario alla messa in campo di riforme economiche e politiche), fu la prima volta che russi e americani arrivarono davvero a un passo dalla totale eliminazione dei loro arsenali nucleari.

Ronald Reagan e Michail Gorbačëv a Höfði in Islanda
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv a Höfði in Islanda
Ronald Reagan e Michail Gorbačëv a Höfði in Islanda

Tante speranze

Le cronache del tempo ricordano che le speranze iniziali di trovare un’intesa erano poche. Reagan aveva intenzione di parlare di diritti umani, dissidenti, sfere di influenza, della guerra condotta dall’Urss in Afghanistan dal 1979. Gorbačëv invece propose di ridurre subito della metà i due arsenali strategici, cioè i missili che in 30 minuti potevano portare le testate nucleari da un continente all’altro, chiedendo in cambio agli Usa lo stop allo “scudo spaziale”, l’idea di creare un sistema di difesa capace di neutralizzare qualunque attacco nemico intercettando i missili balistici (progetto che contrastava il trattato siglato nel 1972 e che impediva ai due Paesi proprio la realizzazione di un sistema simile): la sicurezza del pianeta, definiamola così, si basava essenzialmente su quell’equilibrio del terrore, la certezza che una guerra atomica avrebbe cancellato entrambe le potenze. Gli arsenali americani e sovietici potevano distruggere il mondo ma usarli contro il nemico era garanzia di distruzione reciproca, perché al momento del lancio il rivale avrebbe replicato. E addio a tutti.

Reagan a sua volta non voleva rinunciare al progetto e disse no. Gorbačëv rilanciò e ipotizzò un taglio del 90 per cento, quindi del 100 per cento. Si disse che il presidente americano fu tentato di accettare, ma alla fine non se ne fece nulla. Così il summit terminò senza un accordo formale, ma fu davvero uno storico passo verso la fine della guerra fredda.

Nuova fase

Per la prima volta fu possibile assistere a una chiara volontà delle due superpotenze di aprire una nuova fase nelle relazioni bilaterali di fare concessioni al blocco opposto. Esemplificativa la dichiarazione congiunta al termine dei colloqui, nella quale si sosteneva che una guerra nucleare non poteva essere vinta e quindi non doveva mai essere combattuta. Un anno dopo fu firmato il trattato “Inf” che portò all’eliminazione e distruzione di tutti i circa 2.700 missili Cruise, PershingII e SS-20 con una gittata tra i 500 e i 5.500 chilometri. Davvero il primo passo verso la fine della guerra fredda.

Reagan e Gorbacëv ebbero anche un quarto incontro, a Mosca, nella primavera del 1988, e il Trattato Inf è rimasto in vigore fino all’agosto del 2019 quando gli Stati Uniti (durante la prima amministrazione Trump) si sono unilateralmente ritirati dall’accordo sostenendo che la controparte negli anni lo avesse violato più volte.

Vladimir Putin e Donald Trump, attuali presidenti di Russia e Usa, si incontrano ad Anchorage, in Alaska, lo scorso agosto
Vladimir Putin e Donald Trump, attuali presidenti di Russia e Usa, si incontrano ad Anchorage, in Alaska, lo scorso agosto
Vladimir Putin e Donald Trump, attuali presidenti di Russia e Usa, si incontrano ad Anchorage, in Alaska, lo scorso agosto

Tensioni 

Le tensioni tra Nato e Russia sono cresciute e dal 2022 sono tornate a livelli di allarme che non si toccavano dagli anni Ottanta. Negli Stati Uniti dopo la parentesi Biden è tornato Trump, protagonista di un riavvicinamento al vecchio nemico e a Putin contestuale alla rottura di fatto, tra dazi commerciali e minacce, dei solidi e storici rapporti di alleanza con l’Unione Europea e i Paesi più vicini (come il Canada). Dominano i rapporti di forza e il bullismo, la diplomazia è un arnese desueto e inutile.

L’apocalisse

Iil 23 gennaio scorso l’Orologio del Bulletin ha fissato a 100 secondi il tempo che separa l’umanità dall’inizio dell’apocalisse. Sembra passata una vita da quell’incontro che poteva davvero cambiare il mondo (in qualche misura l’aveva fatto: Putin ha definito la caduta dell’Urss «la peggior catastrofe del ventesimo secolo») e che vide tutto il pianeta con gli occhi puntati su quella graziosa villetta islandese.

La villa Höfði in Islanda oggi
La villa Höfði in Islanda oggi
La villa Höfði in Islanda oggi

La casa

Oggi l’Höfði non è visitabile. Nel 2009 fu parzialmente danneggiata da un incendio ma restaurata. Utilizzata ancora per vertici internazionali, è circondata da un giardino (aperto) dove si trovano tre lapidi in pietra e granito che ricordano in lingua inglese, russa e islandese quello che accadde nell’ottobre del 1986, quando realmente si sperò di chiudere l’epoca nucleare. Non è andata così. Il mondo è tornato indietro.

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