“Giorgio Almirante, parlamentare di lungo corso del nostro ordinamento repubblicano, ha già dodici siti intitolati sul territorio nazionale. Non capisco perché a Grosseto ci sia tutta questa discussione. Si tratta di una legittima determinazione del Comune di Grosseto a cui il prefetto avrebbe potuto negare il nulla osta solo se vi fossero stati motivi di ordine pubblico. Credo non sia possibile immaginare che vi siano problemi di ordine pubblico per l’intitolazione di una strada a un protagonista della vita politica decennale del nostro Paese”.

Visto che siede nel governo di Giorgia Meloni, cioè di una donna che si definisce “il presidente”, non è strano che Matteo Piantedosi definisca “prefetto” al maschile Paola Berardino, per quanto sia donna e fra l’altro sia sua moglie. Casomai sono altri gli elementi che meritano un approfondimento nella dichiarazione che il ministro dell’Interno ha rilasciato a Genova martedì 12 sulle polemiche per il via libera prefettizio alla strada Grosseto ha deciso di intitolare all’ex segretario dell’Msi (insieme a un’altra per Enrico Berlinguer e a una terza da intitolare alla “Pacificazione Nazionale”).

Intanto il passaggio in cui Piantedosi spiega che “il prefetto avrebbe potuto negare il nulla osta solo se vi fossero stati motivi di ordine pubblico”. In effetti un tempo il prefetto poteva bocciare l’intitolazione di una strada a un personaggio che non lo convincesse. Questo però lo disponeva un regio decreto del 1927: come spiega un pezzo piuttosto accurato di Veronasera.it sulla battaglia del consigliere comunale Stefano Fittà contro un’iniziativa identica lanciata dal Comune di Zevio, e stoppata dal prefetto di Verona, attualmente secondo le norme “non ci sarebbero margini per considerazioni di carattere discrezionale del prefetto, restando in capo al medesimo una valutazione connessa ad esigenze legate all'ordine pubblico”.

E Piantedosi, oltre che dal punto di vista giuridico, con buona probabilità ha ragione anche quanto all’ordine pubblico: non sembra probabile che l’intitolazione della via di Grosseto ad Almirante possa provocare chissà quali azioni di guerriglia, visto che i precedenti in altri Comuni italiani parlano di polemiche anche aspre, di ricorsi legali e di comunicati di protesta, ma mai di azioni che siano andate oltre una passata di bomboletta spray. In materia comincia a esserci una certa letteratura, e questo è il secondo passaggio della dichiarazione del ministro che merita uno sguardo più attento: Piantedosi dice che Almirante “ha già dodici siti intitolati sul territorio nazionale”, ma secondo altre fonti sono molte di più.

Se un servizio dell’agenzia Agi del maggio 2016 calcolava in “circa 200 in giro per l'Italia le strade, i giardini o le strutture intitolate a Giorgio Almirante”, basta comunque un controllo rapidissimo sul sito openalfa per trovarne elencate 71 sul territorio nazionale, quasi tutte nel Meridione. In cima alla classifica c’è la Puglia con ben 23 targhe stradali con sopra il nome del vecchio leader missino, poi la Sicilia con 19. In Sardegna risulta solo la via che gli ha intitolato l’amministrazione di Sestu mentre nel Lazio se ne contano nove. Tra queste ultime ebbe qualche eco sulla cronaca quella di Ladispoli: all’inaugurazione intervenne Massimo Magliaro, storico braccio destro di Almirante, ma appena prese la parola si accasciò colpito da un malore, fortunatamente passeggero. E il giorno dopo, spariti il pubblico e le telecamere, qualcuno corresse la targa aggiungendo la dicitura “Segretario di redazione della rivista La difesa della razza”.

Nelle polemiche che quasi sempre hanno accompagnato l’intitolazione di una via o di una piazza al vecchio leader missino, il suo impegno nella testata di Telesio Interlandi è il più citato fra gli argomenti a sfavore. Più ancora del manifesto del maggio 1944, che Almirante come capo di gabinetto firmò per conto del ministro Mezzasoma e fu affisso ai muri proprio nella zona di Grosseto, con l’annuncio che i partigiani e i militari “sbandati” che non si fossero consegnati alla polizia repubblichina o agli occupanti tedeschi sarebbero stati “passati per le armi tramite fucilazione nella schiena”. In effetti è la sua militanza giornalistica nel campo antisemita a nutrire la maggior parte delle obiezioni, e in particolare un articolo del 1942 in cui spiegava: “Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue”.

Sono posizioni dalle quali Almirante prese poi le distanze, a partire da una Tribuna politica del 1967, ma che tornano a galla ogni volta che si valuta se celebrare nella toponomastica l’uomo nero (ma in doppiopetto) della prima Repubblica. Tornarono d’attualità durante la campagna elettorale per il Campidoglio del 2016 –un anno dopo che una proposta firmata FdI e Forza Italia non trovò abbastanza voti, complice anche la perplessità del sindaco Alemanno davanti a una scelta “divisiva” - quando Giorgia Meloni disse: “Io sono qui per dire che, quando sarò eletta sindaco, uno degli impegni che mi prendo è quello di intitolare una strada di Roma a un uomo che è stato fondamentale nella storia della destra italiana e nella storia della politica italiana”. E se ne riparlò con ancora più foga due anni dopo, nel giugno 2018, quando i consiglieri comunali del M5S votarono la mozione di Fratelli d’Italia per creare una via Almirante nella capitale. La sindaca Virginia Raggi, che in quel momento non era in aula ma ospite di Bruno Vespa negli studi di Porta a Porta, sulle prime si limitò a prendere gelidamente atto ma poche ore dopo, tornata in Campidoglio, bloccò la mozione facendo approvare dal Consiglio una contro-mozione che impegnava la giunta “a non procedere all’intitolazione di toponimi o comunque di nomi di luoghi e strutture pubbliche ad esponenti politici portatori di idee riconducibili al disciolto partito fascista o a persone che si siano esposte con idee antisemite e razziali”.

Per completezza, e per dovere di memoria, va detto comunque che quel giorno del 2018 non fu la prima volta che il Comune di Roma arrivò a un passo dal ricordare nel proprio stradario un esponente del fascismo e dell’antisemitismo. Il precedente è del 12 settembre 1995, quando con 10 voti a favore, 4 contrari e uno “favorevole con riserva” la commissione toponomastica approvò la proposta di cambiare nome al largo di Villa Borghese intitolato al vecchio leader repubblicano Ugo La Malfa e dedicarlo a Giuseppe Bottai. Che fu un fascista irrequieto e pieno di sfaccettature, ma prima di tutto un firmatario del Manifesto della razza e il ministro dell’Educazione nazionale che nel 1938 espulse dalle scuole gli insegnanti e gli alunni ebrei. Fra gli ex partigiani e nell’area progressista lo scontento fu nettissimo, ma fu innanzitutto la sollevazione delle comunità ebraiche a bloccare l’iniziativa e a costringere alla retromarcia il suo principale sostenitore: il sindaco di centrosinistra Francesco Rutelli.

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