Per il governo degli Stati Uniti adesso vale 15 milioni di dollari. Un aumento secco di 10 milioni sulla precedente “taglia” che pendeva sul capo di Ismael “El Mayo” Zambada Garcia, vero capo incontrastato del cartello di Sinaloa, Messico. Soprattutto un leader rispettato e riconosciuto da tutti, amici e rivali. El Mayo, 73 anni, mai un giorno di carcere nella sua lunga attività di trafficante di droga, ha sempre mantenuto un basso profilo. L’esatto contrario del suo socio Joaquim “El Chapo” Guzmàn Loera che i suoi eccessi li ha pagati prima con l’estradizione negli Stati Uniti e, successivamente, con la condanna all’ergastolo comminata dai giudici americani.

Nato a Alamo, un villaggio vicino a Culiacan, vive nelle montagne di Sinaloa con le sue donne – la moglie e cinque amanti, una sorta di harem – e un manipolo di fedelissime guardie del corpo. <Qui conosco gli alberi, le foglie, il loro frusciare, i ruscelli, le rocce, tutto. Più di una volta l’esercito era sul punto di catturarmi ma sono stato più veloce. Mi prenderanno solo se rallenterò, come ha fatto El Chapo, per adesso non ne ho alcuna intenzione>, aveva detto El Mayo a Julio Scherer Garcia nel 2010, nell’intervista concessa al giornalista di Proceso, importante settimanale messicano che segue molto attentamente il narcotraffico e la guerra tra i cartelli.

Sta di fatto che da quando “El padrino”, altro nomignolo di Zambada, ha cominciato a occuparsi di droga, quasi 60 anni fa, è riuscito a vivere sotto traccia sino alla fine degli anni Novanta. Solo nel 1998, infatti, il governo del Messico mise una taglia, neanche esagerata, su di lui ritenendolo uno dei tanti piccoli boss locali. In realtà, dopo l’arresto di Miguel Angel Felix Gallardo, “El Jefe de Jefes” (il capo dei capi), che aveva costituito la “Federacion”, ovvero la più grande organizzazione di trafficanti di droga composta da tutti i gruppi locali, con base a Guadalajara, in Jalisco, El Mayo era tornato in Sinaloa. Aveva tessuto i fili dell’alleanza con il cartello di Juarez, allora guidato da Amado Carrillo Fuentes – chiamato “el Señor de los cielos” perché disponeva di una flotta aerea per trasportare droga e soldi dalla Colombia agli Stati Uniti, dopo lo scalo in Messico –, e con il cartello Beltran Leyva che gestiva il corridoio di Tijuana e altri.

All’epoca il suo socio principale era El Chapo, che si occupava della logistica e del trasporto di cocaina ed eroina negli Usa, e il suo referente più affidabile il figlio, Vicente Zambada Niebla, responsabile dei conti, dei contatti politici e del pagamento delle mazzette a funzionari di polizia e dell’esercito, nonché a governatori e parlamentari. Quest’ultimo, arrestato nel 2008 ed estradato negli Stati Uniti per essere processato, decise di collaborare con gli investigatori americani. Al processo contro El Chapo, Vicente venne chiamato a testimoniare in aula. <Cosa fa suo padre per vivere?>, gli chiese il pubblico ministero. <Mio padre è il capo del cartello di Sinaloa>, rispose senza esitare. Quindi, cinque ore di deposizione che non lasciarono scampo a Guzmàn. Ma El Mayo, in una chiacchierata con la giornalista Anabel Hernandez (che vive da anni sotto scorta), disse che il figlio aveva fatto ciò che era giusto fare dal suo punto di vista: <Non lo biasimo, ha pensato alla sua famiglia e ha fatto bene>. Ad altri non sarebbe stato perdonato che in famiglia ci fosse un “traditore”, uno che minava la stessa esistenza dell’organizzazione. Invece nessuno ha mai solo pensato di mettere in discussione El Mayo e la sua leadership nel cartello.

Larry D. Villalobos, capo dell’intelligence della Dea (Drug enforcement administration) e uno dei massimi esperti di criminalità organizzata messicana, non ha mai avuto dubbi: <Tutti pensano che alla guida del cartello di Sinaloa ci sia stato El Chapo, io sono sempre stato convinto che a capo di tutto ci fosse e ci sia ancora Zambada. Finita l’era di Pablo Escobar, a cogliere l’opportunità di subentrargli nei traffici con gli Usa furono proprio Guzmàn e Zambada. Con il primo che si affermò come uno dei migliori coordinatori di carichi di droga dalla Colombia al Messico e dal Messico agli Stati Uniti, all’Europa e a tutte le altre destinazioni. El Mayo sapeva di potersi fidare di El Chapo, soprattutto per i lavori più sporchi, tipo eliminare funzionari governativi o boss dei cartelli rivali. Lui rimaneva dietro le quinte ma con un potere d’influenza decisamente più forte di quello del socio>. La vera forza di Ismael Zambada Garcia è l’esser riuscito, in tanti anni di attività criminale, a sfuggire ai sicari degli altri cartelli, ai federali e all’esercito messicano, ma, soprattutto, alla Dea che nel Paese centroamericano dispone di uomini super addestrati e mezzi tecnologici straordinari. Potere del denaro, la corruzione è una voce importante nel bilancio del cartello di Sinaloa che, comunque, continua ad avere un giro d’affari intorno ai 20 miliardi di dollari l’anno. E potere delle truppe sinaloensi, stimate in almeno 10mila persone, che vigilano sul territorio. 

© Riproduzione riservata