Teatri in miniatura, a Orosei un museo da favola
La collezione di Don Nanni Guiso nell’omonimo palazzo del centro storicoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
È una raccolta assolutamente unica in Italia, preziosi pezzi in mostra a Orosei, nel palazzo secentesco del Museo Nanni Guiso. Qui, nell’edificio (ristrutturato da Vittorio Gregotti) che fino agli inizi del Novecento ospitava la caserma dei Reali Carabinieri, c’è l’esposizione più fiabesca che un visitatore di musei possa immaginare.
Teatrini di legno dipinto, di gesso dorato, di carta incollata su cartone, di ebano intagliato, di ferro laccato. Meraviglie raccolte da don Nanni Guiso, ultimo nobile delle Baronie, collezionista di palcoscenici lillipuziani che, fino alla morte avvenuta nel 2006, ha messo insieme pazientemente i modellini teatrali (i più antichi risalgono al Settecento) scovati in giro per il mondo.
Raccontava, Nanni Guiso, di un giorno della sua infanzia, quando ricevette in dono il primo pezzo. «Avevo dieci anni e alcuni aristocratici austriaci arrivarono, ospiti dei miei, per una battuta di caccia in Sardegna. Mi portarono in regalo un prezioso teatrino bianco e oro, di stile neoclassico, con le marionette di porcellana. Erano tutti i personaggi de “Il Trovatore”, vestiti con abiti raffinati. Quel giorno, per me, cominciò tutto».
Tutto il mondo di don Nanni che, pur essendosi trasferito a Siena - dove aprì lo studio di notaio, si appassionò al restauro di opere d’arte e fu grande mecenate - non dimenticò mai il suo paese. Così, dopo aver donato i soldi per la ristrutturazione della chiesetta pisana di Santa Maria ‘e Mare che stava cadendo a pezzi, l’ultimo aristocratico di Orosei ha fatto un regalo più grande. «Voglio donare tutta la mia collezione - annunciò - perché nasca un museo diverso, di cultura e divertimento». Venne inaugurata nel 2000, la struttura che accoglie l’esposizione. Oltre ai teatri in miniatura, don Guiso donò al Comune i disegni della Scuola Romana (da Mafai a Scipione) e alcuni mobili e dipinti della scuola senese; la raccolta di libri antichi (dalle enciclopedie ottocentesche sulla flora sarda, alle prime edizioni dei romanzi di Grazia Deledda) compresa - pezzo preziosissimo - la Costituzione di Papa Sisto V, Contra sos chi esercitan s’Arte de s’Astrologia. Un testo unico al mondo, risalente al 1587, scritto in lingua sarda in un momento storico in cui la legge imponeva agli ecclesiastici l’uso del latino.
Tra le sale più visitate quella dedicata ai costumi d’epoca e agli abiti da sera. Una delle tante fisse estetiche di don Nanni, che imparò ad amare fin da bambino le stoffe preziose e l’armonia dei colori. Negli Anni Trenta, la madre donna Concetta Guiso commissionava ai più grandi costumisti il disegno e la confezione degli abiti di Carnevale per i due figli (uno addirittura finì su Il mondo di Pannunzio, come esempio di gusto fascista); mentre la nonna, donna Antonietta Satta, si serviva dai sarti più affermati. L’intera collezione di alta sartoria sta all’ultimo piano del museo: ci sono i costumi del Carnevale dell’infanzia e l’abito della nonna, seta mauve e viola, passamaneria e fiocchi, moda dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando sotto il corsetto andava il busto di stecche di balena. Ci sono tre splendidi modelli firmati dalle sorelle Callot, sarte con atelier a Parigi, regine dell’Haute Couture in epoca Liberty, che vestirono tra le altre anche l’imperatrice Sissi. E poi, accanto al mantello nero di Rudolf Nureyev - che la notte di San Silvestro del 1980, nella villa L’Apparita di Siena, fu ospite di don Nanni - ci sono gli abiti che il collezionista di Orosei si fece regalare dalle sue amiche aristocratiche. C’è un Dior del 1955, piena epoca New Look; uno splendido rosso Valentino; un Gigliola Curiel nero, e poi Capucci, Versace, Schubert, Patou. Una piccola stanza della moda, che ripercorre le evoluzioni del gusto e dell’estetica del vestire femminile fino ai giorni nostri.
Ma la poesia vera di questo museo è l’aura dei teatrini, trentasette pezzi uno più bello dell’altro. Il dono ricevuto dagli amici del padre arrivati da Vienna incoraggiò l’amore per l’opera e il melodramma. Nanni Guiso iniziò presto a cercare e raccogliere, durante i viaggi con i genitori, i teatrini più preziosi e particolari. Splendido quello veneziano, legno e gesso, risalente alla metà del Settecento, con le marionette (in ferro) di Pantalone e Colombina che si muovono grazie a un congegno a manovella. E prezioso è, tra tanti pezzi in esposizione, il Reale Teatro dei Poltroni, di fattura fiorentina, prima metà dell’Ottocento, che riproduce il sipario del Teatro Argentina di Roma, distrutto in un rogo, e una scena del Don Carlo di Verdi. C’è poi il teatrino che arriva dalla Germania, con l’allestimento del salotto di Manon Lescaut: le poltrone dorate, gli argenti di Tiffany, le porcellane cinesi, la stufa in ceramica, le cornici intagliate a mano dagli artigiani della Bottega Bartolozzi e Maioli di Firenze, e il proscenio decorato con una preziosa guarnizione ottocentesca. Trentasette pezzi, alti tra i cinquanta centimetri e il metro, tutti da vedere per conoscere un’arte ormai dimenticata e un mondo - quello della piccola manifattura legata alla riproduzione in scala - che quasi non esiste più.