Stipendi, donne italiane ancora beffate: guadagnano il 7,2% in meno dei colleghi
Il divario retributivo tra generi in calo da 10 anni consecutivi, ma le opportunità al femminile restano limitatePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Passano gli anni, il tempo scorre, ma qualcosa non cambia mai. Chiedetelo a una super-manager 55enne di una grande azienda. A fine mese, nonostante la laurea, i master e l’esperienza ultra-decennale, si troverà quasi sempre una busta paga più leggera del collega che ha un unico ma sostanziale vantaggio: l’essere uomo. Sì, perché anche se il divario retributivi tra sessi è in costante calo, nel 2025 restano ancora profonde differenze di trattamento nelle aziende che non riguardano i meriti acquisiti, ma solo quelli di nascita.
I numeri
L’ultima analisi arriva dal il Gender Gap Report 2025 stilato dall’Osservatorio JobPricing, in collaborazione con Idem - Mind The Gap, secondo cui «il divario retributivo medio nel settore privato è pari al 7,2% sulla Retribuzione annua lorda (Ral) e all’8,6% sulla Retribuzione Globale (Rga) annua, con una distanza che si amplia fino al 27,4% sulla sola componente variabile». In numeri più comprensibili «le donne guadagnano in media 2.300 euro in meno di Ral e 2.900 euro in meno di Rga rispetto agli uomini. E tradotto in termini concreti, «è come se le lavoratrici italiane iniziassero a percepire uno stipendio il 27 gennaio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio».
Il lato più deludente del report riguarda però il variare della differenza retributiva. Le maggiori distanze, infatti, si registrano con l’aumentare dell’età lavorativa e nei ruoli di maggiore responsabilità. «Il gender pay gap cresce con l’età e con la seniority, superando il 12% nella fascia 55–64 anni, e resta marcato nei ruoli di responsabilità», spiegano i responsabili dell’osservatorio. «Nei ruoli apicali – dirigenti e top manager – le donne sono solo il 19%, mentre tra i quadri la percentuale sale al 31%». Ma c’è di più: «Nei consigli di amministrazione delle società quotate, la rappresentanza femminile raggiunge il 43,2%, ma solo il 16,9% ricopre ruoli esecutivi e appena il 2,3% è amministratrice delegata. Questi dati evidenziano come la disuguaglianza economica derivi più dal mancato accesso ai percorsi di carriera che da differenze dirette nelle retribuzioni per ruoli equivalenti».
Frustrazione
Il report dedica un approfondimento al tema della soddisfazione retributiva, da cui emerge un quadro coerente con le disuguaglianze oggettive. «Le donne si dichiarano meno soddisfatte del proprio pacchetto retributivo in tutte le dimensioni analizzate: la media complessiva è 3,6 punti, contro 4,5 degli uomini», dicono gli autori dell’indagine. «Le differenze più forti si registrano sulla percezione di equità interna e di meritocrazia. Cambia anche la gerarchia delle priorità: le lavoratrici danno più peso a flessibilità oraria, smart working e benefit legati alla conciliazione, mentre gli uomini restano più focalizzati sulla retribuzione variabile e sulle prospettive di crescita economica».
Il gender gap, quindi, «non è solo un tema di “quanto si guadagna”, ma di come si lavora, si cresce e si viene riconosciuti».
Il futuro
Nicole Boccardini, Operations Manager di Idem, spiega che «il Gender Gap Report ci ricorda che il divario retributivo è solo la punta dell’iceberg di disuguaglianze più profonde, culturali e strutturali che accompagnano le donne fin dal percorso formativo, condizionando accesso, crescita e riconoscimento nel mondo del lavoro. Le donne continuano a farsi carico in misura sproporzionata del lavoro di cura, e rimangono ancora sottorappresentate nei ruoli decisionali. Colmare questo squilibrio non significa solo correggere un’ingiustizia economica, ma intervenire su meccanismi organizzativi e culturali che continuano a limitare il pieno riconoscimento del lavoro femminile».
