Adelina Tattilo, la signora che fece spogliare l’Italia bigotta
La serie Netflix “Mrs Tattilo” con Carolina Crescentini racconta l’ascesa e le rivincite dell’editrice di PlaymenAdelina Tattilo (1929-2007)
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Era la metà dei Novanta, e l’impero di Playmen costruito in trent’anni stava per essere travolto dal boom della pornografia in videocassetta. Adelina Tattilo l’aveva messo in conto, eppure era decisa a restare fedele all’idea di erotismo elegante, libertà sessuale e cultura che aveva fatto grande la sua casa editrice. «Buttarmi sul mercato dei video hard? Non ci penso nemmeno, non è il mio genere... Sia beninteso: io rispetto tutte le scelte, ma a me sembra che l’hard, il porno, manchi di quella delicatezza, di quello spazio per le emozioni e per il dialogo che soltanto il genere erotico può garantire», diceva in una lunga intervista rilasciata all’Unione Sarda nel maggio 1997. Si avvicinava la ricorrenza dei trent’anni di Playmen, il mensile porno-soft lanciato nel 1967 assieme all’allora marito Saro Balsamo, un signore che, inseguito dai creditori, l’anno seguente fuggì all’estero lasciando Adelina con tre figli e un mare di debiti. Lei non si scompose e finì per rilevare la quota azionaria della casa editrice fondata insieme a Saro nel ’64 e che fino a quel momento sfornava il fumetto Menelik, la rivista erotica Men, nonché il giornale di musica leggera Big.
Sapeva tuttavia che il gioiello vero era Playmen, ispirato all’americano Playboy (vietato in Italia), e decise di farne un giornale rivoluzionario. Grandi firme (Pasolini, Moravia, Henry Miller per citare qualcuno), fotografi tra i più bravi al mondo, inchieste su prostituzione e scambismo, battaglie per il divorzio, l’aborto, la pillola contraccettiva. E donne bellissime, attrici famose e giovani modelle, che posavano nude in esclusiva. Tante le muse in copertina, da Carole Andrè a Sylva Koscina, da Brigitte Bardot a Ursula Andress. Con lei al timone della Tattilo Editrice, Playmen diventa un fenomeno editoriale internazionale che nei primi anni ’70 raggiunge 450mila copie al mese (a 500 lire l’una), superando Epoca di gran lunga (che costava meno della metà). Non si contano le denunce, i sequestri, gli ordini d’arresto per i direttori responsabili, le cause legali. Adelina Tattilo tiene testa persino al terribile e potente Hugh Hefner, il fondatore di Playboy, che vuole vietare l’uso del nome Playmen in Italia.
Un’avventura raccontata (con troppa licenza artistica e diversi scivoloni da telenovela) in Mrs Playmen, la nuova serie Netflix con Carolina Crescentini nel ruolo di Adelina. Sette episodi in cui si racconta l’ascesa di una donna eccezionale, nata in una famiglia cattolica (genitori pugliesi di Manfredonia), educata in collegio dalle suore e diventata la regina del porno soft.
In quella intervista del 1997 si raccontava così: «Io sono un’imprenditrice prima di tutto e sapevo che il filone erotico, allora totalmente inesplorato, mi avrebbe fatto guadagnare bene. Ma la mia scelta di campo è davvero partita da un moto di rabbia, un senso di sfida alla cultura ipocrita e beghina che impediva di parlare in qualche modo di sesso e di erotismo. Ho educato generazioni di maschi all’idea che il sesso sia bello da praticare con fantasia, rispetto e passione; e poi ho davvero contribuito, forse più di tante femministe che facevano i cortei, alla liberazione, all’emancipazione delle donne».
Facendole apparire nude sui giornali?
«Ma no. Respingo decisamente l’accusa di sfruttamento del corpo femminile. Le ragazze che posano per Playmen fanno una libera scelta, nessuno le costringe e anzi vogliono esibire il proprio corpo perché sanno che spesso la mia rivista è il trampolino di lancio nel mondo dello spettacolo. E infatti produttori e registi, prima che altrove, vengono da noi a cercare le attrici. Registi seri e importanti come Lizzani ad esempio, e Fellini che mi onorava pure della sua amicizia».
Le sue amicizie altolocate. Ha parlato di «scelta necessaria».
«Quella di frequentare gli ambienti giusti, di migliorare la qualità della mia vita sociale, anche per dare una certa immagine alla mia casa editrice. Lo decisi nel momento forse più duro della mia vita: ero appena separata, con tre figli piccoli, un giornale, Men, che colava a picco e le banche che mi facevano pressione. Potevo fallire oppure chiedere fiducia e lavorare. Ho chiesto fiducia e in due anni ho cancellato i debiti e portato Playmen alle stelle, grazie anche alla collaborazione dei miei amici artisti e intellettuali».
Le hanno dato una mano concreta?
«Mi hanno aiutato a capire che l’erotismo è l’espressione culturale di una società e di un’epoca storica; è il linguaggio dell’amore che vede due esseri protagonisti del loro rapporto. Così, accanto ai servizi fotografici ho pubblicato i racconti erotici di Moravia, Sartre, Calvino; i saggi sociologici di Marcuse e i disegni di Fellini, Guttuso e Picasso».
Sta dicendo che Playmen è una rivista culturale?
«Ma guardi che non lo dico io. Già nel 1980 la presidenza del Consiglio dei ministri ha riconosciuto a Playmen il valore di rivista culturale. E la Cassazione l’ha confermato».
Dopo una denuncia per oscenità?
«Quelle ormai appartengono al passato e le assicuro che ne ho perso il conto, tanto ero bersagliata da giudici e giornali cattolici. In questo caso si trattava di un ricorso fatto contro il ministero delle Finanze che pretendeva pagassi un numero di imposte superiore a quello che, per legge, una rivista culturale deve pagare».
Una bella soddisfazione per lei...
«Quasi quanto quella che provai quando Time mi dedicò un’intervista, nel ‘73. Quello era davvero il mio periodo d’oro: pubblicavo due riviste, una satirica l’altra femminile, stampavo libri, producevo i film di Lizzani, e Playmen era alle stelle».
Playmen vende oggi come quando è nato?
«No, c’è stato un calo vistoso nelle vendite a partire dal 1985. Poteva essere altrimenti se il nudo ormai è sulle copertine di tutti i giornali e sulle passerelle della moda? Così ho dovuto differenziare e arricchire l’offerta. Accanto alla rivista, pubblico le collezioni, i calendari, il personaggio in numero unico, e Adam, una rivista per gay».
Non ha pensato alle videocassette hard?
«Non ci penso nemmeno, non è il mio genere... Sia beninteso: io rispetto tutte le scelte, ma a me sembra che l’hard, il porno, manchi di quella delicatezza, di quello spazio per le emozioni e per il dialogo che soltanto il genere erotico può garantire».
Adelina Tattilo è contraria alla pornografia?
«Non è che sono contraria, dico solo che non mi piace. E aggiungo pure che sarebbe bene che videocassette e riviste hard non venissero esposte nelle edicole alla vista di chicchessia. Questo, prima di tutto, per tutelare i bambini, ma anche per rispettare chiunque non abbia scelto di acquistarle e di guardarle».
Qual è per Adelina Tattilo il più grande motivo di orgoglio?
«Quello di essere riuscita ad affermarmi nel mondo del lavoro conservando la mia femminilità. Ho lottato come un guerriero, le assicuro; ma ho sempre conservato i valori che mia madre mi ha trasmesso, primo fra tutti quello della famiglia. Sono soddisfatta, e non è poco».
