Mai più come prima. Il terremoto Covid è riuscito a rivoluzionare la vita di miliardi di persone non escludendo neppure quella dei ricercatori italiani, ogni giorno impegnati nei campus universitari. Il loro contributo al mondo di domani, lo abbiamo capito come non mai durante la spasmodica sintesi di un vaccino al coronavirus, è stato dato spesso durante lunghe notti insonni trascorse in biblioteca o con gli occhi fissi ai microscopi dei laboratori accademici. O in aula, per ore davanti a lavagne o personal computer, a scambiarsi idee, pareri, intuizioni e conoscenze. Alla costante ricerca di un’illuminazione.

Ecco, tutto questo forse non tornerà mai più, perché gli spazi condivisi in epoca di pandemia hanno ormai acquisito una valenza diversa e anche per tantissimi studiosi il lavoro si è trasferito in pianta stabile tra le quattro mura domestiche.

Lo studio

E quale occasione più ghiotta di una pandemia mondiale può esserci per studiarne gli effetti unici e speriamo irripetibili? Se l’è chiesto un gruppo di ricerca interdisciplinare del Politecnico di Milano che ha messo al centro dei riflettori gli sconvolgimenti del mondo della Ricerca e le possibili conseguenze che l’emergenza sanitaria avrà in un futuro vicino e lontano. Lo studio ha raccolto le esperienze di 8.049 accademici universitari (49% donne, 51% uomini, età media 51 anni) in tutta Italia tra il 24 luglio e il 24 settembre 2020. Le implicazioni di questo fenomeno, che il gruppo di ricerca ha ribattezzato Covid-working, sono state molteplici, in particolare in termini di organizzazione dello spazio per il loro lavoro.

L’approccio scientifico ha sfruttato una sorta di questionario a cui gli scienziati sono stati sottoposti riguardo al modo di fare ricerca (individuale o collaborativo) e gli spazi utilizzati per svolgere le proprie attività di ricerca nel periodo pre e durante Covid-19.

«I risultati evidenziano tendenze molto chiare», spiegano i responsabili dello studio. «In primo luogo, i dati mostrano un orientamento generale a impostare le attività di ricerca in modo più individuale rispetto al periodo pre-Covid. L’attività di ricerca, complice il distanziamento fisico, diviene un’attività più individuale che collaborativa. Soprattutto i ricercatori afferenti ai settori scientifici delle Life Sciences (LS) e Physical Sciences and Engineering (PE) sono passati da un lavoro prevalentemente bilanciato in termini di ricerca individuale e collaborativa a una ricerca drasticamente più individuale. I ricercatori afferenti invece al settore Social Sciences and Humanities (SH) hanno subito una “individualizzazione” meno drastica, essendo già abituati ad una attività di questo tipo».

Differenze di genere

Ma non è tutto. Il terremoto sanitario potrebbe aver cambiato in modo permanente il processo di ricerca consolidato da decenni. «Con l’allentarsi progressivo del lockdown – proseguono i responsabili del Politecnico - si delinea uno scenario diverso nel rientro negli spazi universitari: emergono differenze di genere in termini di organizzazione degli spazi di lavoro. Al termine della prima ondata pandemica, infatti, la maggioranza delle donne ha continuato a fare ricerca da casa mentre gli uomini hanno ripreso maggiormente a utilizzare anche altri luoghi di lavoro. Non solo l’università, ma anche spazi terzi come laboratori e biblioteche pubbliche. Una tendenza che ha iniziato a delinearsi già durante la fase iniziale di restrizioni sociali molto severe».

Dai risultati ottenuti dal gruppo di ricerca emerge su tutti quindi una distinzione di genere nel ritorno alla normalità: «Le donne sembrano essere penalizzate perché in era pre-Covid usavano spazi condivisi in numero maggiore rispetto agli uomini ed ora, a causa delle necessità di distanziamento fisico, si trovano in maggiore difficoltà a rientrare nel proprio luogo di lavoro abituale. I dati mostrano infatti come gli uomini, durante la progressiva riapertura dei campus universitari, siano tornati più di una volta a settimana nei loro uffici, prevalentemente singoli, mentre le donne, con uffici prevalentemente condivisi, lavorano da casa più dei colleghi maschi (4-5 volte a settimana)».

Il futuro

Gli effetti di questa nuova organizzazione del lavoro sono ancora da approfondire, soprattutto in riferimento alle categorie più penalizzate: non solo le donne ma anche i giovani ricercatori che, secondo i dati raccolti, hanno subito una diminuzione consistente della loro attività di ricerca collaborativa in una fase cruciale della loro carriera accademica. «La ricerca collaborativa è fondamentale per fare progressi scientifici – sottolinea Donatella Sciuto, Prorettrice del Politecnico di Milano - è sicuramente necessario trovare al più presto soluzioni che consentano di riprendere queste attività non solo con strumenti digitali ma anche in presenza. Non dimentichiamo mai che è soprattutto sul campo dell’innovazione che si gioca il futuro. Non è pensabile che le donne scienziate e i giovani ricercatori escano ulteriormente penalizzati da questa situazione di emergenza».

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