Ha fatto tanto discutere ma alla fin fine, a ben guardare, la sentenza della Corte di Cassazione non dice nulla di nuovo. La materia è quella dell’alcoltest, o meglio, della non necessarietà dell’alcoltest quando è evidente lo stato di ebrezza dell’automobilista.

La decisione della Suprema Corte è stata depositata di recente. In sostanza, una Corte d’appello un anno fa aveva confermato a un imputato la condanna a sei mesi di arresto e 1.500 euro di ammenda (con la sospensione condizionale della pena) oltre la revoca della patente, per guida in stato di ebrezza alcolica.

Il condannato aveva presentato ricorso per Cassazione che ora è stato respinto.

Nelle motivazioni si sottolinea come la difesa avesse puntato sull’inutilizzabilità degli accertamenti effettuati dai medici su richiesta della polizia giudiziaria in quanto non risulta che all’indagato fosse stato consegnato l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore. E comunque, per la difesa, i giudici avevano sbagliato nel ritenere provata la sussistenza dello stato di ebbrezza desumendo che il tasso alcolemico avesse superato la soglia stabilita dal Codice della strada in ragione delle sole dichiarazioni degli agenti intervenuti. Secondo la difesa del condannato, infatti, in assenza di dati tecnici obiettivi, non è possibile stabilire in termini certi il livello di alcol effettivamente presente nel sangue al momento dei fatti, non potendosi evincere elementi sintomatici da far ritenere superata la suddetta soglia dai soli elementi riferiti dai testi circa la presenza di uno stato confusionale, di avvenuti urti della sua autovettura con il cordolo sul marciapiede e della mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti.

Per gli stessi motivi, sempre per la difesa, risulterebbe anche illegittimità l’intervenuta conferma della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, non risultando comprovato da accertamenti tecnici obiettivi l’intervenuto superamento della soglia alcolica di 1,50 g/l normativamente richiesta per la sua applicazione.

Il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Che la corte ha ritenuto manifestamente infondato, dunque, inammissibile.

Secondo il collegio la sentenza è lineare e congrua oltre che priva di contraddizioni evidenti. Innanzitutto la Corte ha più volte chiarito che è inammissibile il ricorso che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto d’appello e motivatamente respinti in secondo grado. In altri termini, se il motivo del ricorso in sede di legittimità si limita a ripetere quando già chiesto al giudice precedente, riproponendo le medesime doglianze, fallisce lo scopo stesso dell’impugnazione in quanto non si pone in maniera critica rispetto alla decisione che ne forma oggetto – di fatto rendendola indifferente rispetto alla stessa richiesta - ma solo a quella del grado precedente, così da giustificare la conseguente pronuncia di inammissibilità della censura.

In ogni caso la Corte rileva come «la doglianza eccepita, circa l’illegittimità della motivazione con cui è stata desunta da meri dati fattuali riferiti da testi l’avvenuto superamento della soglia di tasso alcolemico necessaria per l’integrazione della fattispecie contestata, afferisca alla sola interpretazione delle prove assunte e, quindi, a questione non passibile di valutazione in questa sede».

D’altro canto, con specifico riferimento al reato contestato, «deve essere ribadito come questa Suprema Corte abbia avuto modo di precisare che, poiché strumentale, non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base a elementi sintomatici per tutte le ipotesi del reato previste dal Codice della strada qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrua motivazione».

Ne consegue pertanto che, in assenza di un valido esame alcolimetrico, il giudice può trarre il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebbrezza dalla presenza di adeguati elementi obiettivi e sintomatici che, nel caso in esame, i giudici hanno congruamente individuato in aspetti quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato dal condannato alla vista degli agenti, certamente riconducibile a un uso assai elevato di bevande alcoliche, certamente superiore alla soglia, per come si evince dalla riscontrata presenza di un forte odore acre di alcol nonché dalla assoluta sua incapacità di controllare l’auro in marcia e di rispondere alle domande degli agenti.

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