Il 2020 è stato, per tutti noi, senza esclusione un anno terribile. Siamo spaventati, disillusi, un po più soli. Come possiamo prepararci ad affrontare questo nuovo lungo 2021? Ne abbiamo parlato con Francesca Cadeddu, psicologa e psicoterapeuta tra Cagliari e Alghero, esperta di psicotraumatologia, 41 anni. "La prima cosa che mi preme sottolineare nel rispondere a questa domanda è che di fronte a questa situazione non esistono esperti. Questa è la prima volta che accade che i terapeuti si ritrovino a doversi prendere cura dei loro pazienti navigando sulla stessa barca, anzi sulla stessa zattera. Lo sfondo di angoscia profonda dato dalla perdita di prevedibilità è stato, e lo è ancora, lo stesso in cui si trovano i nostri pazienti, una situazione comune, come comuni sono le dinamiche difensive che si sono susseguite: un'alternanza tra negazione, panico, ossessione e di nuovo negazione. Ci siamo dovuti prendere cura di noi stessi per creare uno sfondo sufficientemente stabile da permetterci di essere di supporto ad altri essere umani, utilizzando l'angoscia percepita da noi stessi come risorsa di comprensione e la competenza come mezzo per uscire dall'impotenza. Ma non è stato facile e quando faccio questa osservazione, mi sento di parlare a nome di tanti colleghi, soprattutto a quelli che lavorano nell'ambito dell'emergenza. Lo scenario a cui siamo dif ronte in termini psicologici è quello di un trauma pandemico".

Abbiamo perso le nostre sicurezze.

"Per spiegare il concetto con parole semplici possiamo dire che per l'essere umano il senso di controllo sulla realtà è dato dall'assunto che le cose vadano come ci si aspetta. La situazione che stiamo vivendo disarticola, invece, la linearità dell'esperienza, lasciandoci privi di punti di riferimento. I fari che ci servivano per orientarci nella vita di tutti i giorni sono in parte spenti, e la sensazione può essere quella di vivere su una scialuppa di salvataggio, alla ricerca della terraferma. Abbiamo bisogno di trovare degli attracchi interni, un'ancora che possa farci sentire al sicuro anche se là sopra tutto è in tempesta".

E il trauma del singolo diventa trauma della collettività.

"Nel parlare di trauma oggi mi riferisco a qualcosa che esce dal perimetro personale, mi riferisco a un concetto che non riguarda più solo il singolo ma si fa esistenziale e diventa biopsicosociale. Appartiene a tutti. Pensiamo ad esempio a quanto sia stato difficile il processo di elaborazione dei lutti per le persone che si sono viste negare la possibilità del rito e della compartecipazione al dolore, o ai traumi vicari di eventi a cui hanno assistito impotenti i sanitari, che hanno lavorato nella paura e mettendo in pericolo le loro stesse vite. Si è già parlato tanto di questo, ma voglio sottolineare di come ognuno di noi, anche chi non ha subito traumi diretti, in questi mesi abbia vissuto un condizionamento importante".

Abbiamo scoperto la paura.

"Questo condizionamento ha portato ad un'alterazione del sistema nervoso in senso disregolativo, e ha risvegliato angosce ancestrali, che nella pratica clinica ho visto spesso esprimersi nelle fasi oniriche, attraverso il sogno e i disturbi del sonno. Una dinamica faticosa che si sta verificando è la contrapposizione tra la naturale tendenza umana alla vicinanza e la necessità, in questo momento, di identificare l'altro come pericolo, per ricordare al corpo di distanziarsi, distanziarsi per sopravvivere. Questo è quanto di meno umano ci sia. Siamo costretti a celare il volto dietro la mascherina, la parte del corpo che normalmente serve per comunicare sicurezza all'altro, e al contrario, se non lo facciamo veniamo percepiti come pericolo e l'istinto è l'evitarci l'un l'altro. Lo stato di emergenza è permanente. Il nostro sistema di difesa è sempre acceso. Se la gazzella avverte la presenza del leone ha una reazione di stress utile a farla reagire immediatamente: accelerazione cardiaca, aumento del ritmo respiratorio, tensione muscolare, vigilanza. Se riesce a scampare all'aggressione il sistema nervoso torna ad uno stato di equilibrio. Se la percezione è che fuori ci sia un leone, che non si sa dove sia nascosto e come si presenti lo stress diventa cronico: è come avere il motore dell'auto in folle e il piede incollato all'acceleratore. Così, sempre per sopravvivere, potremmo mettere in atto meccanismi di difesa disfunzionali, come la negazione, rischiando di esporci davvero al contagio; sotto la negazione però l'angoscia non elaborata continua a farsi strada e non trovando parole si esprime attraverso i sintomi. Avere la consapevolezza di ciò che ci succede è il primo passo per prepararci ad affrontare il nuovo anno. Quando a tutti i costi cerchiamo di proteggerci evitando di guardare la nostra sofferenza non facciamo altro che divenire più spaventati, alienati e induriti; quando permettiamo che questa sofferenza venga vista dagli occhi di un altro possiamo sentirci nuovamente interi, connessi a noi e al tutto".

Come ogni situazione estrema, una malattia porta alla luce quanto di meglio e di peggio c'è in ciascun individuo, scrisse Susan Sontag in Malattia come metafora.

"Durante una situazione estrema o di emergenza, le nostre risposte dipendono in larga parte dai traumi pregressi che possiamo aver vissuto a livello personale ma anche dalle modalità di reazione che abbiamo ereditato dal contesto familiare. Ogni vissuto traumatico del passato può tornare vivo e presente e le vecchie ferite possono ulteriormente disorganizzare la nostra esperienza emotiva. Allo stesso tempo, questa situazione ci fornisce l'occasione per esplorare le nostre parti più profonde, vivere in una maniera più consapevole e far emergere il nostro lato più autentico, visualizzare le priorità e liberarci più facilmente dei condizionamenti. È facile in questi momenti nutrire la nostra parte spirituale ad esempio. Ma per fare questo non possiamo che passare attraverso l'accettazione. Ciò che più fa soffrire del cambiamento non è tanto il cambiamento in sé quanto la resistenza che gli opponiamo".

La rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio sull'impatto psicologico del Coronavirus. Gli studiosi che hanno portato a termine la ricerca sono giunti alla conclusione che superati i dieci giorni di isolamento totale la mente inizia a cedere. Dall'undicesimo giorno compaiono stress, nervosismo, ansia. Potremmo reggere, in questo 2021, nuovi lockdown?

"L'essere umano è un animale per il quale la relazione rappresenta un imperativo biologico; siamo esseri relazionali, ci nutriamo di relazione tanto quanto di cibo e di aria. Parola di psicoterapeuta, che fa un lavoro di cura nel quale la cura è la relazione stessa. Lo psicologo Abrahamm Maslow nel 1954 propose un modello dello sviluppo umano valido ancora oggi, basato su una gerarchia dei bisogni umani che mette in evidenza come una volta soddisfatti i bisogni primari, ovvero quelli fisiologici e di sicurezza, le nostre priorità si indirizzano verso i bisogni di appartenenza e quindi amicizia, affetti familiari, intimità. Panksepp descrive attraverso i suoi studi neuroscientifici un paradigma psicologico che individua tra i sette sistemi motivazionali che guidano l'individuo, la pena della solitudine e descrive la precisa collocazione delle aree del cervello che si attivano quando proviamo questa emozione. Il dolore che proviamo è legato al panico, lo stesso che prova un neonato allontanato dalla madre. Una delle reazioni a questa emozione, laddove non venga soddisfatto il bisogno di vicinanza è quello dell'ottundimento emotivo, una sorta di distacco dalle emozioni che nelle persone con una vulnerabilità di base può portare a depressione2.

Sopravviveremo ad un altro lockdown, allora?

"Certamente, per natura l'essere umano ha ottime capacità di adattamento, il problema è come. Se per farlo deve smettere di desiderare, dimeticarsi di alcune parti di se, desensibilizzarsi rispetto alle emozioni, potranno verificarsi conseguenze molto negative, soprattutto nei casi di persone più esposte alla solitudine e all'isolamento. L'attenzione del terapeuta dovrà essere rivolta soprattutto a questi aspetti".

La tendenza ad anticipare il peggio, il cosiddetto pensiero catastrofico, è, mai come in questo momento, un atteggiamento comune a tanti di noi. Come possiamo porci per affrontare il problema e superarlo?

"Anche il pensiero catastrofico è imputabile al nostro sistema di difesa: l'essere umano è portato filogeneticamente a valutare i possibili pericoli per assicurarsi la sopravvivenza, anticipando mentalmente "ciò che potrebbe fare l'orso fuori dalla caverna"; tutto questo è normale ed adattivo, il problema nasce nel momento in cui l'orso rimane nei paraggi per troppo tempo, rendendo cronico questo tipo di pensiero ed alimentando la spirale ansioso-depressiva. Uno dei massimi esperti di psicotraumatologia, Bessen Van de Kolk riconosce lo stato di immobilità, cioè la condizione in cui sentiamo quando non c'è niente che possiamo fare per cambiare le cose, una condizione che rende più facile la traumatizzazione.

Attaccare o fuggire?

La nostra naturale reazione di fronte a una minaccia è agire, attaccando o fuggendo, ma quando ciò non può avvenire e l'attivazione fisiologica viene bloccata, si assiste ad un incremento dell'aggressività, dell'irritabilità e della violenza, con le conseguenze che si possono immaginare a livello intrafamiliare.

Che fare?

Utilizzare questa energia che il corpo sta accumulando. Spontaneamente durante il lockdown lo abbiamo fatto, cucinando, prendendoci cura della casa, delle cose. La ricerca neuroscientifica suggerisce pratiche che favoriscono la presenza attraverso il corpo, come lo yoga, il tai chi, la meditazione, in particolare la mindfulness, gli esercizi di respirazione. Sono pratiche di comprovata efficacia per calmare il corpo, restituire un senso di sé e offrire una solida ancora per contenere e orientare le normali reazioni fisiologiche di questo periodo.

Quali sono gli atteggiamenti mentali corretti da seguire per non perdere

l'equilibrio?

Ecco una serie di regole facili da seguire.

1) Puntare alla prevedibilità. Mentre una parte di noi si stabilizza e si ancora al presente attraverso pratiche che ingaggino il corpo abbiamo bisogno di sentirci al sicuro attraverso routine stabili, attività che ci permettano di tenere uno sguardo in avanti e collocarci in una cornice temporale organizzata; tenere un diario, scrivendo a mano ha comprovati effetti terapeutici, potrebbe essere utile trovare un tempo definito per dedicarvici.

2) Rimanere connessi. Non ai social ma a persone reali. Le persone sole a casa in quarantena possono sperimentare un senso di irrealtà. Ricordate Robinson Crusoe? Una noce di cocco prende vita nella mente del naufrago per permettergli di sopravvivere. Oggi abbiamo la possibilità di usufruire delle risorse della tecnologia: le videochiamate soprattutto ci permettono di avere gli occhi dell'altro.

3) Scoprire noi stessi. Ragionando sul significato più profondo della parola crisi, cioè cambiamento, evoluzione. Allenare la nostra capacità di superare i traumi attraverso le pratiche di consapevolezza di cui parlavo può permetterci di uscire dallo stato di ottundimento emotivo che si attiva come difesa da emozioni negative ma che alla lunga può portare a distacco dalla realtà e a passività pericolose nel lungo periodo. Una maggiore consapevolezza dei nostri stati interni ci permette invece di agire scelte consapevoli.

4) Cercare uno sguardo esterno. Può essere una persona cara in grado di mettersi in ascolto. Quando a tutti i costi evitiamo di ascoltare la nostra sofferenza diventiamo più spaventati, alienati e induriti. Quando lasciamo che invece questa sofferenza emerga e venga vista dagli occhi di un altro possiamo percepire la meraviglia di essere umani e connessi, a noi e a tutto".

Dottoressa Cadeddu, il suo augurio per questo 2021.

"Vi auguro un buon 2021 senza buoni propositi; i buoni propositi attivano parti della psiche critiche, esigenti e legate al dovere, ed il dovere si riferisce agli introietti esterni, che il più delle volte hanno il dito puntato. Proviamo a concentrarci invece su ciò che desideriamo per noi stessi. Mica facile, direte voi! Infatti, non lo è, ma esiste un trucco per capirlo: i desideri veri sono quelli che ci fanno sorridere. E cerchiamo di non legare i desideri ad una temporalità entro l'anno, ancora tanto incerta. Attiviamo la compassione nei confronti di noi stessi praticando ogni giorno la gratitudine per risvegliare quella calda sensazione nel cuore e trovare ogni giorno un momento per pensare alle piccole cose che ci rendono felici. Un piede nel presente e uno sguardo al futuro, senza calendario. Un cuore grato oggi e aperto a ciò che ancora potrà accadere domani".
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