Due ragazzi in jeans, sneakers e giubbotto, mano nella mano, a Bologna, in una strada deserta sotto la luce artificiale che illumina la sera si scambiano un tenero bacio.

Qualcuno scatta, la foto piace ai due ragazzi e lei la posta su Instagram.

Il bacio tra Saman Abbas e il suo fidanzato (foto Ansa)
Il bacio tra Saman Abbas e il suo fidanzato (foto Ansa)
Il bacio tra Saman Abbas e il suo fidanzato (foto Ansa)

E’ la normalità di questa immagine ad aumentare l’orrore. Sì, perché lei, Saman Abbas, 18 anni appena compiuti, non c’è più, uccisa dal padre Shabbar che in una telefonata ai parenti lo ha pure gridato, doveva tutelare la sua dignità; mentre lui, Saqib Ayub, vive sotto scorta dopo le minacce di morte.

Lei e lui pagano per quella foto sui pubblicata sui social: la prova della ribellione. E dello scandalo. Si volevano bene Saman e Saqib, e volevano stare insieme, in Italia, dove avevano seguito le loro famiglie in partenza dal Pakistan. A lei non importava che il padre avesse concordato il matrimonio con un altro suo connazionale, molto più grande di lei: non lo voleva, lo aveva detto e ripetuto, era pure andata via di casa non appena diventata maggiorenne, ed era tornata solo per prendere la carta di identità. Errore fatale, a pensarci ora, dopo che è stata uccisa dal padre, forse strangolata, e seppellita, forse dallo zio, chissà dove: è successo alla fine dell’aprile dello scorso anno ma il corpo della ragazza non è stato mai trovato. Ci sono le immagini di una telecamera di videosorveglianza che la mostrano uscire a piedi col padre e la madre che rientrano poco dopo, il suo zainetto in spalla, e lei sparita. Per sempre. Un cugino, arrestato poco dopo grazie alle dichiarazioni del fratello rimasto in Italia dopo la fuga dei genitori, avrebbe riferito a un compagno di cella che la ragazza è stata uccisa con una corda da uno zio e due cugini davanti alla madre che l’avrebbe prima attirata in trappola e poi avrebbe pianto. A quel punto il marito, cioè il padre di Saman, l’avrebbe portata via mentre uno sconosciuto avrebbe messo il corpo in un sacco per farlo a pezzi e buttarlo nel Po.

E dire Saman che lo sapeva, lo aveva capito, aveva intuito, anzi, sentito che cosa volevano farle, ma forse non ci aveva creduto davvero. Usava il cellulare della madre per scrivere al fidanzato: era terrorizzata dallo zio Danish che, a suo dire, aveva già ucciso in Pakistan. “L’ho sentito con le mie orecchie, ti giuro che stavano parlando di me”. Erano le 23,30 del 30 aprile 2021 quando Saman ha scritto quel messaggio. Il giorno dopo è scomparsa. E al ragazzo non è rimasto altro che presentare denuncia ai carabinieri. Nessuno dei familiari di Saman lo aveva fatto, i genitori erano subito scappati in Pakistan, e sono tutt’ora latitanti.

Il fratello di Saman, Haider, rimasto in Italia, è stato il primo a parlare: “I miei zii hanno convinto i miei genitori che Saman doveva essere uccisa per i suoi comportamenti. Aveva avuto un fidanzato in Belgio e poi un ragazzo pakistano di nome Saqib che vive vicino a Roma. Dovevano ucciderla prima che scappasse di casa e dovevano farla a pezzi… All’omicidio hanno partecipato zio Danish e altre due persone, l’ho visto portare via Saman mettendole una mano sulla bocca e una volta rientrato l’ho sentito dire: l’ho uccisa, non dire niente ai carabinieri”.

E ora che sono stati depositati gli atti in vista del processo che si aprirà a Reggio Emilia il 10 febbraio 2023 a carico di cinque parenti stretti della vittima, viene fuori – oltre la foto – anche la telefonata del padre di Saman: era stato intercettato nel pomeriggio del 6 giugno 2021, quando si trovava nel Punjab dopo la fuga con la moglie seguita al delitto, compiuto nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio a Novellara, nella bassa Reggiana, dove l’uomo lavorava e viveva con la famiglia. Shabbar Abbas stava discutendo con il fratellastro ed era molto agitato: “L’ho uccisa io, l’ho uccisa per la mia dignità, per il mio onore”. Era intercettato dagli inquirenti italiani perché sospettato del delitto. Diceva: “Per me la dignità degli altri non è più importante della mia, non mi importa nulla degli altri, non li guardo in faccia… Io sono già morto, avete parlato di me in giro, non lascerò in pace la vostra famiglia. Ho ucciso mia figlia e ho lasciato mio figlio in Italia”.

Il suo avvocato dice che queste frasi non significano nulla, si vedrà al processo chi ha fatto cosa.

Resta l’orrore legato a un matrimonio combinato che la ragazza rifiutava, un’atrocità dovuta alla scelta di una giovane donna che voleva vivere come le sue coetanee: aveva un fidanzato che vedeva poco perché vivevano in città diverse ma quando si erano incontrati si erano scambiati un bacio. Si erano fatti fotografare e quell’immagine lei l’aveva postata su Instagram dove aveva aperto un profilo dal nome eloquente: italiangirl. Ragazza italiana.

Un anno e mezzo dopo il brutale omicidio, col deposito degli atti alla fine dell’inchiesta, salta fuori la foto, tenerissima. Ed è nella normalità di quell’immagine che cresce l’orrore di un delitto che per l’accusa è premeditato e dovuto a una questione di dignità legata alla parola data.

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