“Nei giorni del referendum sulla Brexit, io e mio marito guardavamo fuori dalla finestra e pensavamo: almeno la metà di questa gente ha votato contro di noi”. Olga era arrivata in Inghilterra dalla Polonia quasi dieci anni prima. Insieme al marito (polacco anche lui) avevano persino comprato una casa, avendo due impieghi abbastanza buoni se lo potevano permettere. Due figli nati nel Regno Unito, una vaga idea di ritornare in patria che però forse sarebbe rimasta per sempre una pia intenzione, chissà. Ora invece Olga e i suoi familiari risiedono di nuovo in Polonia: hanno fatto le valigie nel 2017, pochi mesi dopo il voto con cui i britannici hanno deciso di lasciare l’Unione Europea.

Un docente italiano

Questa e altre storie animano uno studio pubblicato di recente dalla Sociological Review, che indaga le ragioni e le modalità delle scelte delle famiglie di cittadini europei che, per effetto della Brexit, hanno lasciato la Gran Bretagna. La ricerca è firmata da un docente italiano dell’Università di Birmingham, Nando Sigona (insegna sociologia delle migrazioni internazionali), e da una sua collega dell’Università di Oxford, Marie Godin.

Rispetto ad altre analisi sugli effetti che il distacco di Londra dall’Ue ha prodotto sugli immigrati, il loro lavoro adotta come prospettiva non quella dei singoli ma delle famiglie. E questo punto di vista rivela dettagli interessanti, perché in molti casi è stato difficile (talora impossibile) prendere una decisione che accontentasse tutti i componenti di un dato nucleo. Spesso si sono create delle tensioni tra generazioni, specie quando erano presenti figli già abbastanza grandi che avevano vissuto dalla nascita nel Regno Unito, e quindi nessun trasferimento poteva assumere per loro, a differenza dei genitori, il senso di un ritorno a casa.

Ma poi: quale casa? Molti dei Brexiteer, i sostenitori dell’uscita dall’Ue, durante la campagna referendaria dicevano appunto che per gli immigrati fosse “tempo di ritornare a casa”. Però una parte cospicua delle famiglie provenienti da altri Paesi è fatta da coniugi di diverse nazionalità: spesso quindi si è creato il problema di individuare il nuovo Paese di approdo. In più di un caso, come conferma lo studio di Sigona e Godin, non sono state trovate soluzioni condivise e alla fine le famiglie si sono separate.

I titoli dei quotidiani inglesi all'indomani del referendum del giugno 2016
I titoli dei quotidiani inglesi all'indomani del referendum del giugno 2016
I titoli dei quotidiani inglesi all'indomani del referendum del giugno 2016

È capitato per esempio a Maria, originaria della Francia, che aveva oltrepassato la Manica nel 1986 e un anno dopo aveva incontrato quello che sarebbe diventato suo marito, un inglese. Nel 2016, l’anno del referendum, aveva celebrato quindi tre decenni da immigrata. Con due figli oltre i 20 anni, non pensava che sarebbe mai rientrata nel suo Paese natio. Però, stranamente, al “divorzio” tra il Regno Unito e l’Ue è corrisposto il suo dal consorte britannico: “Lui ha votato remain (cioè contro la Brexit, ndr)”, racconta lei nella ricerca di Godin e Sigona, “ma come tanti altri ha pensato di aver fatto così il suo dovere, e poi se n’è lavato le mani”.

Mentre Maria cercava di discutere col marito delle conseguenze del voto, lui non era interessato a parlarne. E più lei si interessava alla causa dei diritti dei cittadini europei in Gran Bretagna, partecipando a convegni e manifestazioni, lui sembrava sempre meno coinvolto. Alla fine lei ha preferito risistemarsi in Francia, senza neppure i figli, ovviamente radicati là dove erano nati e cresciuti: “Ecco cosa mi è costata la Brexit”, sintetizza la donna nel colloquio riportato sulla Sociological Review, “mi ha costretto a non vivere nello stesso Paese dei miei figli e, probabilmente, dei miei eventuali futuri nipoti”.

Si può naturalmente pensare che se una coppia si separa dopo tanti anni ci possano essere altre ragioni profonde, ma è un fatto che la Brexit ha in qualche modo posto gli immigrati davanti a un bivio. L’approfondimento di Godin e Sigona è dedicato però solo a persone arrivate dagli altri 27 Paesi dell’Ue (circa 3 milioni nel 2016), perché per loro il referendum ha determinato un cambiamento ulteriore: fino a quel momento godevano dei diritti garantiti a ogni cittadino europeo in tutti gli Stati membri, dopo la Brexit invece sono rientrati nella categoria dei migranti come tutti gli altri dal resto del mondo. Con tutte le difficoltà del caso.

Soprattutto, in parecchi hanno sentito mutare il clima nei loro confronti. “Molti degli intervistati – si legge nello studio – hanno detto di sentirsi insicuri dopo la Brexit. E avvertivano la responsabilità di portare al sicuro i loro figli”. In definitiva, avevano la sensazione che “il Regno Unito non fosse più ‘casa’ per loro”. A maggior ragione per chi non proveniva dagli Stati storici dell’Ue: “Essendo belga – spiega un’altra donna – non percepivo reazioni forti nei miei confronti. Ma mio marito, ungherese, ha subìto vari commenti negativi in diverse occasioni. Dopo il referendum, ci è parso ovvio che saremmo dovuti andare via”.

La Germania attira di più

La ricerca analizza le scelte di 37 famiglie che hanno lasciato il Regno Unito, tutte con figli, di cui 7 monoparentali. Tra le altre 30, 14 erano formate da coppie provenienti dallo stesso Paese europeo, 4 con coniugi di diversi Paesi, 11 con un coniuge britannico, una con un coniuge extraeuropeo. Dalle loro testimonianze emergono le tensioni e le discussioni nate sia all’interno delle coppie di genitori, sia con i figli (specie se non piccolissimi). In dieci casi il trasloco non è stato simultaneo per tutti i componenti della famiglia: talvolta il padre è rimasto a lavorare in Inghilterra per raggiungere successivamente moglie e figli, talaltra è successo il contrario. C’è chi ha stabilito più meno definitivamente la famiglia in Paesi diversi (specie in caso di figli già autosufficienti). E in qualche circostanza, per effetto della lontananza forzata, dopo un po’ la famiglia non era più tale.

La bandiera dell'Ue davanti al Big Ben e al Parlamento britannico
La bandiera dell'Ue davanti al Big Ben e al Parlamento britannico
La bandiera dell'Ue davanti al Big Ben e al Parlamento britannico

Come destinazione, in varie circostanze non è stato individuato il Paese di provenienza di uno o entrambi i coniugi, ma un altro ancora. E in generale quello più gettonato è stata la Germania. Chi ha fatto questa scelta spiega di aver considerato non solo le opportunità di lavoro e la qualità dei servizi nella nuova residenza, ma anche il fatto che Berlino sembra accogliere con favore i cittadini Ue e ne valorizza tale qualità. Insomma, le famiglie allontanate dalla Brexit hanno cercato il posto dove per loro fosse più facile essere, e rimanere, europei.

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