Una chiesa ipogea sotto il pavimento, un inquilino "pesante" sopra la testa, il punto di ritrovo della cultura sarda e italiana. I tre bar storici di Cagliari, il "Caffè svizzero", "L'Antico Caffè" e il "Caffè Tramer", meritano, appunto, l'appellativo di storici non soltanto perché sono i più antichi in città ma, soprattutto, perché hanno tantissime vicende da raccontare. Vicende che, addirittura, sono cominciate nella prima metà dell'Ottocento.

La palma del più vecchio va al "Caffè Genovese" (diventato, poi, "Antico Caffè"). Chissà che cosa sarà passato per la testa di quel commerciante genovese (anzi, a essere precisi, di Lavagna), Lazzaro Canepa, che, nel 1838, prese armi e bagagli e si trasferì in una città che era una lontanissima parente di quella attuale: il capoluogo di una regione che era servita soltanto ai Savoia di fregiarsi del titolo di re e che veniva presa in considerazione soltanto per dare i propri giovani all'esercito e le proprie miserevoli ricchezze a uno stato bramoso di denaro.

Eppure quell'uomo arrivò a Cagliari. E, nel 1838, creò il "bar Lazzaro". Un locale senza troppo pretese che, per parecchi anni, si limitò a vivacchiare. Sino a quando, nel 1855, non subì quello che oggi si chiamerebbe restyling. Cambiò anche nome diventando, appunto, "Caffè Genovese" e divenne un elegante ritrovato di artisti e della crema della città. In quella sala liberty, tra tavolini in ghisa e marmo bianco, chiusa all'esterno dalla cancellata realizzata, nel 1890, dai detenuti dell'allora colonia penale di San Bartolomeo, sono, negli anni, passati personaggi come Grazia Deledda, David Herbert Lawrence, Gabriele D'Annunzio, Salvatore Quasimodo, Beniamino Gigli, Carlo Levi, Totò. E tra questi tavoli e la vicina Scala di Ferro si è consumato l'amore impossibile tra Sibilla Aleramo e Franco Matacotta.

E, a proposito di ospiti illustri, impossibile non citare un altro caffè storico di Cagliari, il "Caffè Tramer" di piazza Martiri. Secondo la leggenda, uno dei frequentatori abituali era Antonio Gramsci che, non solo abitava da quelle parti, ma anche frequentava il vicino liceo classico Dettori. Difficile però immaginare che il giovanotto avesse i soldi sufficienti per frequentare regolarmente il locale. Di certo, invece, uno che era di casa da quelle parti era Emilio Lussu. Nel vero senso della parola dal momento che abitava al piano di sopra. Proprio in quell'appartamento di via Mazzini assalito (con perdite) dalle camicie nere, convinte di potersi liberare facilmente di Lussu.

Un episodio che accadde quando ormai il locale aveva già una lunga storia alle spalle: a creare "L'Offelleria svizzera di Vittorio Tramer & c." fu un pasticciere svizzero che portò con sé la ricetta delle meringhe che, si dice, ancora oggi sarebbe preparate allo stesso modo. Di certo c'è il fatto che il caffè ha conservato il bancone, gli scaffali, il prezziario originali. E soprattutto quell'insegna che ricorda che il locale è nato come "offelleria". Che cosa significa? Le offelle sono antichissime focacce dolci di farro.

Paradossalmente, l'ultimo nato tra i bar storici, il "Caffè svizzero", nel largo Carlo Felice, è forse quello che ha più cose da raccontare. Aperto nel 1880, occupa il pianterreno di palazzo Accardo, progettato dall'architetto Dionigi Scano. L'edificio sorge sull'antica cripta di Sant'Agostino, sotto una cappella ipogea. Si racconta che, nel quinto secolo dopo Cristo, Cagliari fu colpita da una violenta epidemia di peste, dovuta, si sosteneva, al fatto che la città era stata punita da Dio perché stava riprendendo piede il culto pagano. Fu inviato il vescovo Fulgenzio che portò con sé le reliquie di Sant'Agostino. Quando quegli oggetti sacri arrivarono nella cripta, dal pavimento cominciò a sgorgare acqua di falda limpida e trasparente. La tradizione popolare, ovviamente, finì con il considerarla miracolosa e veniva portata nelle case per guarire i malati.

Ma le leggende riguardano direttamente anche il "Caffè svizzero": il locale sarebbe la residenza di sette fantasmi, tutti buoni. Uno di questi sarebbe il fondatore del bar, il signor Devoto, che si aggirerebbe tra i tavoli vestito sempre in maniera impeccabile e con il suoi lunghi baffoni: nessun intento intimidatorio, soltanto la volontà di continuare a servire caffè nel suo bar. Insieme a lui, anche un sacerdote e il giovanissimo Luigi, in cerca delle sue scarpe.
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