Non sono passati cinque minuti dall’inizio della partita quando il Tempio usufruisce di un calcio di punizione dal limite dell’area avversaria. A batterla ci pensa Marcello Nicolai il cui tiro supera la barriera e si infila nel sette alla destra del portiere. Trascorrono appena altri 13 minuti e il Tempio guadagna un nuovo calcio piazzato a pochi metri dalla linea d’area del Guspini. L’incarico di calciarlo, ça va sans dire, è affidato a Nicolai. Stavolta l’estremo difensore ospite aggiunge altri due uomini in barriera, non si sa mai. Nicolai prende la rincorsa, quattro cinque passi, e di interno collo disegna una traiettoria imprendibile che finisce all’incrocio dei pali: 2 a 0. Al 67’ nuovo fallo fischiato ai guspinesi nei pressi dell’area di rigore. Il punto è un po’ defilato rispetto alla porta. Marcello Nicolai posa il pallone dove ha indicato l’arbitro e aspetta il piazzamento della barriera. Ci vuole tempo, anche perché sistemare sette uomini a protezione della porta non è semplicissimo. L’arbitro fischia e Nicolai, nonostante la visuale gli sia impedita dalla barriera, sembra quasi vedere il terrore negli occhi del portiere Ragatzu, ma non se ne preoccupa. Il tiro è diverso dai precedenti, è forte, teso e rasoterra, Ragatzu vede la palla sfiorare l’interno del palo sinistro e gonfiare la rete per la terza volta. Non riesce a trattenere un’imprecazione ma tant’è. La gara si chiude sul 3 a 0 per il Tempio. Era il 28 settembre 1981.

Per Marcello Nicolai, quel campionato di “Interregionale” è il 13° della sua lunga e straordinaria carriera calcistica chiusa a 47 anni, agli inizi del terzo millennio. Dal 1968 al 2002 ha giocato oltre 1.000 partite, dalla Serie C alla Terza Categoria, segnato qualcosa come più di 600 reti – di destro e di sinistro, su rigore, punizione o azione – e divertito migliaia di amanti del calcio. Con lui in campo, la squadra partiva da un sicuro vantaggio: Nicolai, bene o male, una rete l’avrebbe realizzata.

<Da ragazzino mi piaceva molto Sivori, forse ho cercato di ispirarmi a lui. Di certo la sua era una tecnica eccellente>, ricorda. Ma anche la sua non era male, al punto che chi lo vedeva giocare non era in grado di dire quale fosse il suo piede naturale tanto era preciso nei tiri, nei dribbling e nei passaggi con entrambi. Non aveva un ruolo definibile: un po’ Sandro Mazzola, per la propensione di puntare la porta, un po’ Gianni Rivera, perché vedeva in anticipo lo sviluppo dell’azione, Nicolai in campo era un anarchico. Che non significa, nel suo caso, fare ciò che gli girava. No, anzi, era rigoroso nell’assolvere i compiti da interno di centrocampo, solo che una volta riconquistato il pallone per lui c’era solo un obiettivo: mettere la sfera in rete. Oggi sarebbe un “tuttocampista”, termine moderno per definire chi riesce a svolgere più ruoli in campo. Nel panorama odierno lo si potrebbe avvicinare a Kevin De Bruyne, il campione del Manchester City e del Belgio, e non è un confronto irriguardoso.

Ha iniziato con la Rinascita, squadra di Calangianus, il suo paese, che aveva appena 15 anni. Inutile sottolineare che i suoi gol fecero accorrere diversi osservatori al campo “Signora Chiara”. Finito il campionato, manco a dirlo, Marcello Nicolai passò all’Arzachena che militava nell’Eccellenza regionale. <Un bel salto dalla Terza Categoria, non dimenticherò quell’emozione>. Da qui al Tempio, poi al Calangianus, di nuovo al Tempio e via a seguire per anni e anni. Con un denominatore comune a ogni trasferimento: la garanzia di almeno quindici reti a stagione. Era di poche parole (<Ho sempre preferito far parlare il campo, ed essere giudicato per quello>), un leader naturale che sapeva farsi capire dove serviva, ovvero in quel rettangolo erboso (a dire il vero, non sempre, prima si giocava sullo sterrato) dove si rincorre la palla. Meticoloso: <Entravo in campo per vedere il terreno e capire che tacchetti mettere nelle scarpette>. Mai preoccupato per gli anni che passavano. <A Novara, quando avevo superato i 40, il custode dello stadio mi salutò e mi chiese “Mister, come giocherete oggi?”. Gli risposi che ci saremmo adattati alla situazione. Poi mi vide entrare con maglia e pantaloncini, capì che lo avevo preso in giro ma mi sorrise>.

E sorride anche lui ripensando al titolo della “Prealpina” che scriveva: “Un quarantenne fa perdere il primato al Varese”. L’ennesimo gol dell’intramontabile Nicolai aveva arrestato la corsa solitaria in vetta della compagine lombarda.

Già, ma come si fa a giocare sino a 47 anni? <Non ho mai fumato, giusto qualche birretta a fine partita, ho sempre rispettato gli allenamenti e il mio comportamento fuori dal campo è stato corretto, alimentazione compresa. In più, lavoro da sempre nel mio laboratorio artigianale dove produco tappi di sughero, quindi, orari e regole sono indispensabili>.

A 26 anni, fresco sposo, correva l’anno 1980, la grande occasione. Era nella sua roulotte, in vacanza al mare con la moglie, quando si presentò

Alberto Michelotti. <Mi disse che era un arbitro internazionale e che il suo amico Giancarlo Rodolfi, allenatore dello Spezia, squadra di Serie C, gli aveva chiesto di contattarmi e propormi un ingaggio per giocare in Liguria. Avevo preso un impegno con il Tempio, e mia moglie non era d’accordo. I soldi che mi offrirono, però, erano davvero tanti. Ma nonostante le insistenze, non cedetti>.

Marcello Nicolai, forse, salutò così una possibile carriera calcistica ad alto livello. Spesso è questione di momenti e fortuna. <Non lo so. La mia è stata una scelta di vita, e non ho nulla di cui rimproverarmi. Il mio amico Marco Sanna, che ha giocato per dieci anni in Serie A tra Cagliari, Torino e Sampdoria, si è impegnato per raggiungere questo obiettivo. Lo voleva e lo ha ottenuto. Credo che per certe cose sia necessaria anche un po’ di buona sorte, oggi ci sono i procuratori. A me è andata bene lo stesso. Non mi sento sfortunato>. Pure quando ad allenare il Tempio arrivò un allenatore il cui “credo” calcistico non contemplava Nicolai. Che, infatti, rimaneva in panchina e, talvolta, giocava qualche spicciolo di gara. <A Porto Torres perdevamo 3 a 0 nel primo tempo. All’intervallo mi disse di scaldarmi. Giocai il secondo tempo e segnai due gol, ma perdemmo 3 a 2. Nelle partite successive sempre panchina. Comunicai alla società che volevo andarmene, avevo offerte da diverse squadre. Mi chiesero perché e risposi che il tecnico non mi vedeva>. Alla fine tra l’allenatore e il giocatore, il presidente Lino Acciaro, un amante del calcio, scelse Nicolai e cacciò l’altro.

Allora aveva 32 anni e due campionati di Serie C da giocare. Dopo, il ritorno a Calangianus dove incontrò l’allenatore Enrico Hanset che Nicolai, invece, lo vedeva, a differenza del precedente, ma solo come centrale di difesa. <Si giocava contro Gallaratese, Varese, Mantova e altri squadroni del nord Italia: finimmo il girone d’andata a 9 punti. Al ritorno di punti ne facemmo 23 e ci piazzammo a metà classifica. Io, da difensore, segnai 10 reti>.

<Non ricordo di aver visto altri con la tecnica di Marcello Nicolai calcare i campi della Gallura e non solo: aveva tecnica, visione di gioco e intelligenza calcistica davvero fuori dal comune, avrebbe meritato un palcoscenico più importante. Per me, e non credo di essere l’unico a pensarlo, la Serie A era la sua dimensione>, dice Giovannino Zichina, per tutti “Lu mastru Zichina”, che il calcio lo ha insegnato a generazioni di ragazzi di Tempio e dintorni.

Quello che, al contrario, Nicolai non ha mai voluto fare: <Allenare? No, anni fa mi è bastato vedere qualche partita delle giovanili per scoprire che i genitori sembrano impazziti. Tutti convinti di avere un Maradona in casa e a insultare gli allenatori che magari avevano preferito un altro ragazzo al loro pargolo prodigio>. Un altro modo di intendere lo sport e la vita. <Ho imparato molto da chi mi allenava. Da tutti, nessuno escluso. Però, se devo ricordare qualcuno in particolare penso a Sergio Bagatti, olbiese, dotato di grande competenza e di un’umanità speciale. E a Franco Carradori, romano, che mi ha insegnato a calciare le punizioni costringendomi a stare mezz’ora in più al campo dopo gli allenamenti>. Roba d’altri tempi, per chi ha nostalgia e anche, forse, per chi quel calcio non lo ha mai conosciuto.

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