“Siamo pronti ad arrivare fino all’autonomia. Ecco, ho detto la parola”. Chissà se sul risultato elettorale in Corsica, che ribalta al millimetro quello nazionale e dà il 58% dei consensi a Le Pen e il 42% a Macron, hanno pesato anche le recenti e un po’ goffe parole del ministro dell’Interno Darmanin, quell’enfasi fuori luogo di chi promette una mancia a un creditore impoverito e convinto che gli spetti un tesoro.

Anche perché a quella dichiarazione, che era stata presa doverosamente ma cautamente sul serio dal presidente del Consiglio esecutivo corso Gilles Simeoni, poi non è seguito nulla. Ancora troppi disordini e scontri per le strade dell’isola dopo l’apertura del ministro, troppe manifestazioni con esponenti istituzionali accanto ai dimostranti che urlavano “Statu francese assassinu”. E così la trattativa Parigi-Ajaccio è stata rinviata a data da destinarsi, comunque dopo le elezioni presidenziali.

Il ministro era arrivato nell’isola infiammata dalle proteste per la morte di Yvan Colonna, militante indipendentista strangolato da un altro detenuto (nell’inerzia della polizia penitenziaria) mentre scontava l’ergastolo per l’assassinio del prefetto di Ajaccio Érignac. Quell’apertura autonomista di Darmanin, insoddisfacente per molti eppure senza precedenti, fu letta per forza di cose come una strizzata d’occhio all’elettorato isolano da parte del ricandidato Macron. Se il senso della mossa era quello, è stata la conferma che la furbizia spesso fa a pugni con l’intelligenza. La promessa di negoziati era troppo poco per sedurre gli indipendentisti - che sono tanti, soprattutto fra le giovani generazioni arrabbiate – e di certo il suo congelamento fino a quando i corsi faranno i bravi non l’ha resa elettoralmente più efficace. E al tempo stesso era troppo, almeno agli occhi di quella metà dei francesi contraria all’autonomia corsa e soprattutto agli occhi dei loro leader, antagonisti di Macron nella corsa all’Eliseo. Paradossalmente il più equilibrato è stato l’incendiario ultradestro Éric Zemmour, disposto a ragionarci su o comunque convinto che “la vita della Corsica non sia per forza legata alla morte della Francia”. Gelida invece la conservatrice Valerie Pécresse, che ha disastrosamente guidato i Républicains nella battaglia del primo turno, certa che l’apertura all’autonomia aveva come unico effetto «legittimare le violenze». Quanto a Marine Le Pen, è stata la più dura: “Passiamo dall’assassinio di un prefetto alla promessa di autonomia, può esserci un messaggio più catastrofico?”.

Si poteva immaginare che chiudendo così bruscamente alle ambizioni di autogoverno della Corsica, Le Pen mettesse nel conto di perdere voti nell’isola per guadagnarne sul continente. E invece la Corsica è una delle poche aree che l’hanno vista trionfare su Macron, che sarà anche un “giacobino”, come lo definiscono i corsi con ostilità, ma non è certo più ostentatamente centralista della sua avversaria.

Perciò è inutile leggere il voto corso in chiave tattica, è evidente che nel suo complesso l’elettorato corso ha preferito un’interlocutrice ideologicamente ostile all’autonomia che una controparte tiepida e distante ma teoricamente dialogante.

In questo come in altri casi, la spiegazione di alcuni è che la Corsica esprime la propria protesta votando al contrario della Francia, a maggior ragione se il favorito è un’espressione tipica dell’establishment e l'avversaria è una tipica antisistema. Eppure questo automatismo in realtà non funziona. Semplicemente da quarant’anni a questa parte la Corsica alle presidenziali non si è mai buttata a sinistra: ha sempre votato come il resto della Francia oppure più a destra. Ai ballottaggi del 1981 e del 1988, che videro i trionfi del socialista Mitterrand, nell’isola prevalsero prima il liberale Giscard d’Estaing e poi il gollista Chirac; nel 1995 e nel 2002 la Corsica premiò Chirac in linea col risultato nazionale, prima contro il socialista Jospin e poi contro l’estrema destra di Le Pen padre, e anche nel 2007 il voto corso non si discostò da quello nazionale, che vide il conservatore Nicolas Sarkozy sconfiggere la socialista Ségolène Royal. Ma nel 2012, quando all’Eliseo arrivò il socialista Hollande, la Corsica rimase fedele a Sarkozy. E alle elezioni del 2017, infine, anche l’isola preferì Macron a Le Pen figlia, sia pure con meno entusiasmo di molte altre regioni.

Si potrebbe semplificare dicendo che per quanto la Francia stia antipatica alla Corsica, le è comunque più antipatica la sinistra. Ma sarebbe un errore anche questo. Come annotava poche ore dopo il ballottaggio Petru Luigi Alessandri su “Corsica oggi”, è vero che “questo voto a destra non è di protesta ma di convinzione”, come dimostrano tutte le presidenziali da molti mandati a questa parte, eppure lo stesso elettorato che nel 1981 bocciò Mitterrand regalò alla sinistra un filotto di quattro deputati su quattro, e negli anni ha eletto anche consiglieri comunali e regionali progressisti. E dopo che la sinistra si è persa per strada, a livello locale non hanno vinto i gollisti ma i nazionalisti corsi. E infine, come sottolinea sempre Alessandri, chi pensa che i nazionalisti abbiano il controllo politico sul territorio, ricordi che essi a loro volta non hanno saputo sradicare il clanismo, la rete familistico-notabilare imperniata su una manciata di cognomi che periodicamente riemergono sulla scena.

Se Churchill, guardando con compiaciuta perplessità oltre la cortina di ferro, definiva la Russia un enigma avvolto in un mistero, oggi vista da Parigi la Corsica rimane un rebus immerso nella rabbia. È facile immaginare che resterà così finché si proverà a risolverlo a intervalli di anni, quando le strade si infiammano o quando arrivano le presidenziali.

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