Se gli inglesi non si mordono le mani per essere usciti dall’Unione europea, diciamo che cominciano a mordicchiarsele. Un sondaggio condotto dall’istituto di ricerche demoscopiche londinese Savanta ComRes dice che un terzo degli elettori che nel 2016 votarono per il divorzio dall’Ue oggi auspicano una Brexit più soft rispetto a quella impostata dall’ex premier Boris Johnson. Solo il 13 per cento degli intervistati al contrario vorrebbe un taglio ancora più netto delle relazioni fra Londra e Bruxelles.

Apparentemente però nessuno sogna una marcia indietro, un bis del referendum che sancì il “Leave” con un margine tutto sommato modesto, 51,89 per cento di sì al divorzio contro il 48,11 per cento schierato per il “Remain”. La consultazione fu indetto in virtù di un clamoroso errore politico dell’allora premier, il conservatore europeista David Cameron, che volle far consacrare dalle urne la scelta di procedere convintamente nel destino comune dei 28. Face male i conti, ma fu in ottima compagnia: i sondaggisti fino all’ultimo fecero intravedere una vittoria del remain, la prevalenza dei leavers arrivò come una doccia fredda sostanzialmente a conteggi conclusi.

In effetti si trattava di un referendum consultivo non vincolante, qualcosa di istituzionalmente molto meno ingombrante di alcuni solenni referendum abrogativi del cui esito in Italia si è riusciti in qualche modo a non tenere conto. Ma da subito anche i Tory che puntavano a far restare la Gran Bretagna nell’Ue – come Theresa May, che prese il posto di Cameron come premier dopo le dimissioni imposte dalla Waterloo referendaria – non pensarono neanche per un istante che si potesse ripetere il voto, o aggirarne il risultato. Il Labour, in una specie di competizione suicida con i Tory, riuscì nel paradossale capolavoro di assumere una posizione ambigua sull’indicazione di voto tra leave e remain, e per non alienarsi la borghesia urbana europeista né il divorzismo arrabbiato dell’elettorato rurale e della working class riuscì a infastidire tutti, pur essendo all’epoca guidato da Jeremy Corbyn, che su qualunque altro tema faceva del radicalismo quasi un obbligo. Non solo: il quartier generale laburista non seppe neanche escludere con nettezza l’ipotesi di una ripetizione del voto. Quest’idea però ormai non convince più nessuno: il nuovo leader laburista, il moderato Keir Starmer, la esclude con fermezza e si impegna semplicemente a “far funzionare la Brexit” migliorando i rapporti con l’Ue nel caso la sinistra andasse al governo, e anche il premier conservatore Rishi Sunak sa perfettamente che una retromarcia non fa parte delle opzioni possibili. E neppure i delusi dalla Brexit in realtà lo ipotizzano. Come spiega l’Ansa, un sondaggista autorevole come il docente John Curtice non crede che quest’ultima rilevazione segnali necessariamente un’adesione maggioritaria all’idea di un qualunque ripensamento sulla scelta di fondo.

Ma resta il malcontento per le conseguenze della Brexit, in particolare per i suoi contraccolpi sulla disponibilità di manodopera per far marciare settori strategici del Paese, date le restrizioni imposte in tutti i settori all’apporto dei lavoratori non britannici. Secondo il 63 per cento degli intervistati lo stretta all’impegno di manodopera straniera è la causa unica o parziale dei gravi disservizi che si registrano in settori come la sanità (squassata da un inedito sciopero degli infermieri), l’agricoltura e la ristorazione, mentre solo un intervistato su quattro pensa che i problemi dipendano da altri fattori.

L’idea di gestire la Brexit e le sue conseguenze in modo più diplomatico in effetti non appartiene solo agli elettori: nei giorni scorsi Sunak – un po’ per necessità impellente, un po’ per esorcizzare le guasconate demagogiche di Johnson che sembravano pregiudicare ogni dialogo con Bruxelles – ha annunciato di concordare con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen sulla “importanza di lavorare insieme per concordare una soluzione” sul protocollo per l’Irlanda del Nord, uno dei punti di dissidio più spinosi fra Regno Unito ed Europa dopo che Johnson aveva sostanzialmente stracciato il compromesso raggiunto con Bruxelles.

Esattamente l’approccio pragmatico e diplomatico che molti elettori auspicano. Bisogna vedere se basterà ai Tory per recuperare nei sondaggi: quelli pubblicati a settembre da YouGov davano al Labour un vantaggio monstre del 33 per cento.

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