Va avanti almeno da quarantacinque anni. Da quel 4 novembre 1979 in cui diverse centinaia di studenti rivoluzionari riuscirono a entrare dentro l’ambasciata americana a Teheran prendendo in ostaggio una cinquantina di diplomatici, poi tenuti sotto sequestro per 444 giorni. E’ la cosiddetta “diplomazia degli ostaggi” che in passato ha permesso all’Iran, in un contesto di sanzioni economiche e isolamento diplomatico, di usare i prigionieri come leva per ottenere favori o la liberazione di iraniani detenuti all’estero. Una pratica - come sottolinea un recente rapporto dell'Istituto francese per le relazioni internazionali (Ifri) firmato dallo studioso Clement Therme, che esamina in particolare "il caso degli europei detenuti a Teheran”, e riportato dall’Ansa - a cui è riconducibile l’arresto arbitrario di cittadini stranieri nella Repubblica islamica.

E probabilmente di Cecilia Sala, considerando anche il fermo di un cittadino iraniano alcuni giorni fa a Milano. Una condotta che, secondo l’Ifri, si sta ritorcendo contro lo stesso Iran, destinato a rimanere «diplomaticamente inaffidabile». In particolare, su quella ricordata nei libri di Storia delle relazioni internazionali come Crisi degli ostaggi americani, l’Ifri si esprime in questi termini: «Una doppia trasgressione volontaria delle norme del diritto internazionale e, da allora, una componente essenziale della strategia asimmetrica iraniana di fronte all’Occidente».

La crisi degli ostaggi è stata anche il soggetto di un importante lungometraggio di Ben Affleck, premiato con l’Oscar per il miglior film, che racconta la spettacolare esfliltrazione di sei di questi ostaggi dall’Iran.
Da allora, ricorda l’Ansa, non solo americani ma anche europei, australiani, persone con doppia nazionalità e iraniani residenti all'estero sono finiti nella famigerata prigione di Evin - dove ora è detenuta Sala. Il carcere si trova a nord di Teheran, è uno dei simboli più noti della repressione politica in Iran, e dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 è diventato il principale centro di incarcerazione per dissidenti, giornalisti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose, spesso oggetto, palese o in segreto, di trattative di ogni genere. Risale al giugno scorso ad esempio il caso, l'ultimo di una lunga serie, di un ex funzionario iraniano, Hamid Nouri, condannato all'ergastolo da un tribunale svedese per il suo ruolo nei massacri delle prigioni del 1988 e poi liberato in cambio di Johan Floderus e Saeed Azizi, due svedesi arrestati arbitrariamente nel 2022 e tornati a casa il 15 giugno 2024 dopo aver subito una serie di violazioni dei loro diritti umani in Iran. Risale invece al 2023 il rilascio da parte di Teheran di cinque cittadini americani di origine iraniana accusati di spionaggio in cambio della libertà di cinque cittadini iraniani detenuti negli Stati Uniti per reati non violenti. L'accordo che portò allo scambio contemplò anche lo scongelamento da parte di Washington di 6 miliardi di dollari di fondi iraniani bloccati a causa delle sanzioni Usa: il denaro, congelato in Corea del Sud, fu trasferito su sei conti iraniani in Qatar.

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