Con Kenneth Smith la giustizia dell’Alabama ha deciso di dare il massimo, a costo di inventarselo. Accusato di aver ucciso nel 1998 una donna, Elizabeth Sennett, in cambio di mille dollari – il committente era il marito della vittima, un sacerdote oppresso dai debiti che voleva incassare l’assicurazione – fu ritenuto colpevole da una giuria che votò 11 a 1 per l’ergastolo. Il giudice però volle andare oltre e commutò il carcere a vita in pena di morte.

Sembra un mostro giuridico e in effetti è una cosa che non si può fare. O meglio: non si può fare più. Come spiega un articolo pubblicato il 20 novembre scorso da Nessuno Tocchi Caino, che cita il New York Times, «l’Alabama è stato uno dei quattro stati - oltre a Delaware, Florida e Indiana - che consentivano il cosiddetto overrule del giudice, fino a quando una serie di sentenze, infine approvate dalla Corte Suprema, hanno riconosciuto che se la regola costituzionale è che un cittadino deve essere giudicato da una corte di “suoi pari”, non è giusto che il voto del giudice conti di più di quello dei giurati popolari. Tutti i quattro stati da allora si sono allineati agli altri stati in cui è in vigore la pena di morte, e il giudice deve rispettare il voto della giuria popolare». La sentenza della Corte suprema comunque non ha intaccato la legittimità della condanna a morte di Smith, che infatti il 17 novembre del 2022 – a ventiquattro anni da quando commise l’omicidio – è andato sul patibolo. Ma non è morto: come ricorda il Guardian, i funzionari addetti all’esecuzione gli hanno a lungo straziato le braccia cercando di inserirgli in vena un catetere da collegare alla flebo di farmaci letali, ma senza riuscirci. Alla fine ci si era avvicinati troppo alla mezzanotte, cioè alla scadenza del mandato di esecuzione, e la procedura è stata interrotta.

Altri a quel punto si sarebbero scoraggiati, ma non la giustizia dell’Alabama. Il 2 settembre, come informa il Guardian, il procuratore generale ha chiesto alla Corte Suprema dello Stato di fissare una nuova data per l’esecuzione dell’assassino che secondo 11 giurati su 12 doveva andare all’ergastolo. Ma stavolta niente iniezione letale: il sistema con Smith si è dimostrato inaffidabile e, come denunciano i suoi legali, lo ha sottoposto a un dolore paragonabile alla tortura. Quindi spazio alla sperimentazione: come annuncia un’Ansa del 2 settembre, «l’Alabama ha annunciato la sua intenzione di diventare il primo stato Usa a giustiziare un detenuto costringendolo a respirare azoto puro, un metodo approvato anche in Mississippi e Oklahoma ma finora mai usato e considerato dai veterinari inaccettabile anche come forma di eutanasia per gli animali».

La “ipossia da azoto” (ma ci sono medici che contestano già semplicemente la definizione, sostenendo che serve soltanto a dare una verniciata di lessico scientifico a una tecnica della quale non si conoscono gli effetti in dettaglio) funziona sostituendo l'ossigeno respirato dal condannato con azoto. Aggiunge l’Ansa: «In pochi minuti (che al detenuto però sembreranno interminabili) ciò ridurrebbe i livelli di ossigeno nel cervello dell'individuo e in altri organi vitali a livelli fatalmente bassi, portandolo alla morte per soffocamento». E pazienza se l’ottavo emendamento protegge dalle “punizioni crudeli e insolite”. Secondo Maya Foa, dirigente dell'organizzazione per i diritti umani Reprieve, «lo Stato tratta un essere umano come una cavia in un laboratorio e la chiama giustizia». Bisogna vedere che cosa ne pensa la Corte suprema dell’Alabama, che sta valutando la richiesta del procuratore. Ogni giorno potrebbe essere quello giusto per far fare alla giustizia un passo avanti nella tecnica dell’uccisione.

(Se qualcuno si è domandato quale sia stato il destino giudiziario del reverendo Charles Sennett, il religioso indebitato indicato dall’inchiesta come mandante dell’omicidio di sua moglie, sappia che è morto, ma stavolta la macchina della giustizia e le sue sperimentazioni non c’entrano. Si è suicidato durante l’indagine).

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