Il collegato alla Finanziaria 2023 è il diciottesimo provvedimento della legislatura impugnato dal Governo. Tra poco più di due mesi si vota e Roma deve ancora esaminare l’ultima variazione di bilancio da un miliardo di euro. Comunque vada, nella classifica di chi ha collezionato il maggior numero di ricorsi, il governatore uscente Christian Solinas non se la passa peggio di altri.

Lo stesso Francesco Pigliaru (Pd), per dire, totalizzò venti impugnazioni davanti alla Corte Costituzionale. Quando presidente era Ugo Cappellacci (Forza Italia) il Governo intervenne venticinque volte. Ai tempi della Giunta Soru, solo sedici. In generale - va detto - il Governo, di qualsiasi colore esso sia, ci va giù duro con la Sardegna. Proprio Pigliaru, poco prima di terminare il mandato, all’ennesima cattiva notizia aveva parlato di atteggiamento persecutorio: «Da Roma si continua in modo incomprensibile a pensare solo alla forma, con un atteggiamento che inizia a diventare persecutorio mentre noi chiediamo da tempo di concentrarsi sulla sostanza», aveva dichiarato dopo il ricorso contro la legge di stabilità 2017.

In questa legislatura sono state prese di mira tutte le leggi più importanti. A cominciare dalla riforma della sanità approvata nel 2020 in piena pandemia, che ha ripristinato le otto aziende sanitarie locali in luogo della Asl Unica introdotta con la Giunta precedente di centrosinistra. Tre articoli incriminati relativi, tra le altre cose, alla nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie, agli elenchi regionali degli idonei alle cariche di vertice e alla nomina di commissari straordinari.

Il secondo provvedimento importante bocciato da Roma è il Piano casa approvato a gennaio del 2021. In questo caso il Consiglio dei ministri contestò ben 27 articoli su 31. La Corte costituzionale fu più generosa, salvando una serie di norme rientrate poi dalla finestra del collegato alla finanziaria 2023 e, pochi giorni fa, in parte di nuovo impugnate. Il risultato? Il settore dell’edilizia è rimasto bloccato per molto tempo.

Stessa sorte per la legge del 2021 che ha portato a sei le province e a due le città metropolitane. In questo caso si contestava la violazione dello Statuto speciale sardo che prevede, sì, la possibilità di modificare le circoscrizioni, ma in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle Province espressa con referendum. E prima del varo della riforma non ci fu alcun referendum. La Corte poi si è espressa, respingendo il ricorso dello Stato, ma la riforma è rimasta inattuata per due anni, tanto che il collegato alla finanziaria 2023 ha introdotto norme ad hoc per renderla operativa. Norme che - e questo è strano, considerato che la Consulta si era già espressa - sono state di nuovo impugnate dal Governo nei giorni scorsi. Il risultato? A quanto pare approvare la riforma degli enti locali è stato del tutto inutile.

Promossi i ricorsi contro queste tre norme cardine, il Governo ci ha preso gusto e ha iniziato a dedicarsi anche a quelle più “leggere”. Per esempio: il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa industriale, le norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale, la gestione della posidonia spiaggiata, un paio di variazioni di bilancio.

Una curiosità: lo Stato non ha avuto nulla da eccepire sulla misura più contestata degli ultimi anni che ha richiesto circa tre mesi di lavori per il via libera dell’Aula: la legge sugli staff, che riorganizza gli uffici della presidenza della Regione, soprannominata dalle opposizioni “legge poltronificio”. Nulla di grave per il Governo che non ha proposto alcun ricorso.

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