Rosatellum, collegi uninominali, plurinominali, soglia di sbarramento, tre per cento, dieci per cento, listini bloccati, taglio dei parlamentari, premio di maggioranza (che non c’è). Di sicuro dalla velocissima corsa elettorale organizzata nel cuore dell’estate più calda di sempre uscirà un Parlamento rivoluzionato: le forbici della riforma costituzionale approvata il 19 ottobre del 2020 taglieranno 345 posti, circa il trenta per cento di quelli conosciuti finora: i deputati passeranno da 630 a 400, mentre i senatori scenderanno da 315 a 200 (a cui si aggiungono i 5 senatori a vita). Seicento posti che costringono i partiti a sofisticati tecnicismi nella compilazione delle liste e nella formazione delle alleanze, mentre gli elettori chiamati alle urne il 25 settembre se la vedranno con un sistema bloccato, che non lascia spazio alle preferenze e si articola in un meccanismo misto tra maggioritario e proporzionale sia alla Camera che al Senato. 

LA CORSA PER LE LISTE 

Si vota la prima domenica d’autunno con lo schema del cosiddetto Rosatellum (da Ettore Rosato, primo firmatario della legge elettorale approvata nel 2017): non è un battesimo perché era già in vigore alle Politiche del 2018 (alle elezioni precedenti invece c’era il Porcellum di Calderoli), che avevano visto primeggiare il Movimento 5 Stelle. Ma stavolta ci sono da fare i conti con la cura dimagrante dei (meno) posti a disposizione in Parlamento. In base ai sondaggi - che però spesso si infrangono alla prova delle urne, complice anche la variabile dell’astensionismo – quasi tutti i partiti si ritroveranno con meno parlamentari, quindi con un calo di presenze (rispetto al voto del 2018) che sarà più evidente dalle parti del M5S, già alle prese col tracollo di parlamentari in corso di legislatura (sono diventati poco più di 160 rispetto ai 331 originari). Uno scenario generale che preoccupa le segreterie dei partiti, chiamate alla compilazione delle liste entro domenica 21 agosto. Sono sempre meno i collegi uninominali considerati “sicuri “ ed è difficile trovare la quadra, anche alla luce delle alleanze che diventano fondamentali per uscire nel miglior modo possibile dalla prova del Rosatellum. 

IL VOTO DI SETTEMBRE 

Gli italiani sono quindi chiamati a eleggere 400 deputati e 200 senatori, la Sardegna invierà a Roma 11 rappresentanti a Montecitorio (4 con lo schema uninominale, 7 col proporzionale) e 5 a Palazzo Madama (2 con lo schema uninominale, 3 col proporzionale). Per la prima volta gli elettori diciottenni potranno votare anche per il Senato (prima della riforma costituzionale del 2020 era necessario aver compiuto 25 anni). Il meccanismo elettorale misto prevede che 147 deputati e 74 senatori vengano eletti col sistema maggioritario (c’è un collegio per ogni seggio parlamentare da assegnare: il candidato espresso da un partito o da una coalizione che prende anche un solo voto in più degli altri in quel collegio conquista il seggio), mentre 253 deputati e 126 senatori arrivano in Parlamento col sistema proporzionale: in questo caso ogni partito esprime una lista di candidati e i seggi  (e quindi i posti per i nomi indicati nella lista) vengono assegnati in modo direttamente collegato ai voti ottenuti. Per esempio, un partito che raggiunge il 10 per cento dei voti, ottiene il 10 per cento dei seggi.

LE SOGLIE DI SBARRAMENTO 

Per evitare l’eccessiva frammentazione del voto, il Rosatellum prevede una soglia di sbarramento del 3 per cento: per accedere alla ripartizione dei seggi una forza politica deve per forza superare questa quota minima di consensi a livello nazionale. Se si resta sotto la linea di salvezza, quei voti andranno persi, a meno che il tal partito non sia inserito all’interno di una coalizione. In questo modo i voti presi da una forza che non raggiunge il 3 per cento verrebbero ripartiti tra gli altri partiti dell’alleanza. È indispensabile però raggiungere almeno l’uno per cento dei consensi: sotto quella soglia i voti andranno persi in ogni caso. 

Se invece ci si presenta al voto come coalizione, la soglia di sbarramento per poter accedere ai seggi è pari al 10 per cento. Il singolo partito che, all’interno di questo accordo, dovesse superare quota 3 per cento arriverebbe lo stesso in Parlamento, anche se la coalizione non dovesse arrivare al 10 per cento. 

I VANTAGGI DELLE COALIZIONI 

Dal meccanismo del Rosatellum si può capire quanto siano decisive le alleanze, anche da parte di forze che hanno difficoltà a mettersi dalle stessa parte della barricata: i grandi partiti possono trarre vantaggio dalle quote ottenute a livello proporzionale dalle piccole forze politiche che non superano la soglia di sbarramento, mentre le forze piccole possono a loro volta far pesare i loro voti per ottenere posti considerati sicuri per la coalizione nei collegi uninominali (una strategia che riguarda per esempio Impegno civico di Di Maio o Sinistra italiana di Fratoianni nel centrosinistra e Noi con l’Italia di Lupi o Coraggio Italia di Brugnaro nel centrodestra). 

LE LISTE BLOCCATE 

Per i seggi assegnati col sistema uninominale, i partiti (o le coalizioni) indicano un solo nome  sulla scheda elettorale (ovviamente una per la Camera e una per il Senato), mentre nella parte proporzionale le singole forze politiche indicheranno una serie di candidati. Questa lista di nomi sarà considerata “bloccata” perché gli elettori non possono esprimere preferenze. Decisivo quindi l’ordine dei nomi della lista, ancora più decisivo il ruolo di chi - nelle segreterie dei partiti - avrà il compito di formare l’elenco dei nomi da inserire nella scheda. 

PREMIO DI MAGGIORANZA ASSENTE 

Il Rosatellum non prevede premi di maggioranza: negli intenti della legge sarà la parte indicata col sistema uninominale-maggioritario ad assicurare l’agibilità del Parlamento, ma l’esperienza passata racconta un altro film. Basti ricordare le difficoltà della nascita del primo governo Conte, con il complicato compromesso gialloverde, sull’asse M5S-Lega. Gli scenari attuali fanno intravedere un quadro nuovo, anche alla luce della novità di un polo di centro, ma solo la prova delle urne dirà la verità. 

IL VOTO ALL’ESTERO 

A chiudere la partita sei 600 parlamentari ci sono i 12 seggi (8 alla Camera e 4 al Senato) espressi dai cittadini italiani residenti in tutto il mondo. Sono previsti quattro collegi di riferimento: Europa, America meridionale, America centro-settentrionale e infine quello che mette insieme  Africa, Asia, Oceania e Antartide. Si tratta di collegi plurinominali, quindi i voti vengono ripartiti esclusivamente con il sistema proporzionale.

IL RISULTATO FINALE 

Alle elezioni politiche del 25 settembre gli italiani andranno quindi a votare per rinnovare i due rami del Parlamento, cioè la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Sarà poi il presidente della Repubblica a indicare il nome del presidente del Consiglio sulla base dei risultati elettorali e delle indicazioni dei partiti. Quel nome potrà quindi essere mister X che ha partecipato direttamente alle elezioni o miss Y che non ha partecipato direttamente alle elezioni. I parlamentari eletti avranno a quel punto il compito di votare la fiducia al premier indicato dal capo dello Stato. In una Repubblica parlamentare come quella italiana non può quindi esistere il concetto spesso in voga nei dibattiti popolari: “Non è stato votato dai cittadini, quindi non ha diritto di fare il capo del governo”. Il meccanismo è differente: i cittadini votano per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento e i parlamentari eletti decidono che nome (anche una figura esterna alle due Camere) indicare al presidente della Repubblica per l’incarico di presidente del Consiglio dei ministri. Ovviamente in questa scelta giocano un ruolo decisivo il risultato delle urne e il peso dei partiti (e delle coalizioni) all’interno delle rappresentanze parlamentari. 

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