Lavoro o famiglia? Per molte donne è ancora un dilemma
Il Recovery Plan è un’occasione da non perdere per ridurre le diseguaglianze che la crisi Covid ha aggravato
Lavoro o figli? Le donne sono ancora costrette a scegliere, oggi come ieri, o più di ieri. Un trend che il premier Mario Draghi si è impegnato a cambiare. «Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e a un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro». Il Recovery Plan è un’occasione da non perdere per ridurre le diseguaglianze che la crisi Covid ha aggravato. Forse in un futuro non troppo lontano potrà accadere, ma ora non è così. Non un modo di dire o di pensare: sono i dati del ministero del Lavoro a descrivere l'amara realtà che si vive in Sardegna, qui come altrove.
Uno spaccato sulle donne sarde vien però fuori dal prezioso lavoro fatto dall'ufficio della consigliera regionale di parità, Maria Tiziana Putzolu. Lei, assieme alle donne con cui lavora, è riuscita a mettere a fuoco la condizione femminile nel mondo del lavoro, mettendo in evidenza gli ostacoli che ancora si frappongono nel cammino di tante donne, spesso relegate in un ruolo non alla loro altezza solo perché i tempi del lavoro non sono facilmente conciliabili con quelli di una famiglia e con il desiderio di mettere al mondo dei figli, a cui spesso si rinuncia proprio perché è una scelta che si scontra con il contesto in cui si vive. E non c'è da illudersi se nell’anno della pandemia i dati segnano una flessione, ossia erano di più prima le donne costrette ad abbandonare il posto per poter accudire ai figli. Nell'anno del Covid infatti le restrizioni hanno imposto lunghe quarantene che, alla fine, hanno comunque agevolato la permanenza in casa delle mamme (o dei papà) lavoratrici, in qualche caso anche grazie allo smart working.
I dati
Il report racconta che nel 2020 a gettare la spugna e scegliere tra il lavoro e la cura di un figlio piccolo sono state in Sardegna 549 donne e 79 uomini per un totale di 625 tra lavoratrici e lavoratori. Un dato in leggera flessione rispetto all’anno precedente nel quale avevano scelto la strada delle dimissioni volontarie per poter accudire un figlio piccolo 803 lavoratrici e lavoratori. Nelle due annualità 2019 e 2020 – sottolinea la relazione della consigliera di parità - sono comunque in tutto 1.428 le lavoratrici e i lavoratori che lasciano il posto, di cui in grandissima parte donne. Un numero, 625, così alto, 625 espulsi dal mondo del lavoro, costretti a stare a casa, allo stesso modo di chi licenziato si ritrova in strada. «La questione legata alle dimissioni volontarie per maternità è annosa, un fenomeno carsico, lento e progressivo che mette alle corde le famiglie quando devono fare i conti con il lavoro e la cura dei figli», spiega Maria Tiziana Putzolu. «Un fenomeno difficilmente osservabile nella vita quotidiana, ma è assolutamente presente tra i casi che si presentano al mio ufficio. Sono tante le donne che chiedono aiuto, soprattutto nel pubblico impiego o in grandi aziende, per ottenere, ad esempio un part-time, che è ancora la forma più gettonata di organizzazione dell’orario di lavoro che permette alle lavoratrici di poter conciliare la vita lavorativa con quella familiare a costi accettabili, ma che purtroppo spesso non viene concesso con motivazioni genericamente riconducibili a carenze di personale». Purtroppo i dati raccolti dal ministero del Lavoro raccontano una realtà ancora diversa nelle piccolissime aziende. «È vero che se si fanno meno figli in Sardegna è per una lunga serie di ragioni, come spesso capita anche a me di sostenere. I comportamenti sociali e l’atteggiamento delle donne nei confronti della maternità sono profondamente mutati nel corso degli ultimi decenni. Non bisogna dimenticare, però, che è anche vero che quando si decide di mettere su famiglia inizia un vero e proprio percorso a ostacoli. Questo percorso investe, per la verità, entrambi i genitori, ma a scegliere se rimanere a casa o proseguire a lavorare sono, appunto, soprattutto le donne».
L'identikit
I dati consentono di tracciare un profilo della lavoratrice che ha lasciato il lavoro nel 2020 in Sardegna. In pole position una donna tra i 24 e i 44 anni, italiana (ma si intravede anche un piccolo numero di lavoratrici straniere), lavoratrice nell’impresa da non più di tre anni, operaia (300 donne e 61 uomini) o impiegata (225 donne e 15 uomini). Per lo più (415 donne e 56 uomini) lavora nel commercio (262) e nei servizi di alloggio e ristorazione (84 donne e 16 uomini), nella sanità e nell’assistenza sociale (63 donne e 1 uomo). Nel 64% dei casi lavora in part-time (377 donne e 20 uomini) e la maggior parte ha un solo figlio di neppure un anno. Perché lasciano il lavoro? La loro risposta è: «Per le difficoltà a conciliarlo con la cura del piccolo».
Effetto pandemia
Come si possono interpretare questi dati relativi al 2020 considerato che si è trattato di un anno difficile e in pandemia? «Intanto - spiega la consigliera di parità - sarà importante capire cosa succederà per l’anno in corso quando avremo i dati. Non dimentichiamoci che in Sardegna si sono persi in pandemia migliaia di posti e che, seppur in leggero miglioramento, ci vorrà molto tempo prima che l’occupazione torni allo stato da cui si è partiti. In questo scenario, in ogni caso, chi lascia il lavoro per ragioni legate alla nascita di un figlio sono lavoratrici e lavoratori di fascia reddituale abbastanza bassa, considerato che lavorano spesso con un contratto part – time in settori produttivi assai fragili, come nel caso del piccolo commercio o la ristorazione, o nell’assistenza sociale». Questi dati sono in lieve flessione rispetto all’anno precedente. Si può ipotizzare, aggiunge Putzolu - «che il fermo dei settori della ristorazione dovuto alla quarantena, abbia frenato le dimissioni perché le lavoratrici con figli piccolissimi son potute rimanere a casa con forme di ammortizzatori sociali previste dal Governo. In ogni caso i dati ci confermano che all’interno di un mercato del lavoro debole a pagarne le spese sono proprio soprattutto le lavoratrici che arrivano sempre più tardi alla maternità e, anche per via della retribuzione bassa e dei ritmi di lavoro, spesso per turni incessanti come nella ristorazione o nel commercio, non possono affrontare o sostenere costi molto elevati per i supporti di cura del neonato».
Il danno è irreversibile: «Il lavoro che si è lasciato», spiega la consigliera di parità, «è un lavoro che non viene mai ritrovato dalla stessa lavoratrice, la quale spesso rinuncia ed esce definitivamente dal mercato. Occorre un'azione coordinata e di sistema, ma convinta e veloce, per risollevare questa situazione e molte risorse potranno venire dalla nuova programmazione dei Fondi Fse e Fesr 2021-2027 oltre che dalle misure previste del Piano nazionale di resistenza e resilienza. Ma serve una grande idea, un Piano straordinario per il lavoro delle donne sarde, sostenuto da tutti, per il bene della Sardegna».