Lo sappiamo. Durante il lockdown le donne sono quelle che hanno pagato di più. Letteralmente. Perché hanno perso il posto di lavoro: oltre il 90 per cento dei licenziamenti di quel periodo ha colpito l’universo femminile. I motivi andranno studiati o forse non è neppure necessario, tanto che cosa succede in troppe aziende, soprattutto piccole, alle donne che devono conciliare lavoro e famiglia è sotto gli occhi di tutti. Ma c’è qualcuno, anzi, qualcuna, che si muove da sola e fa qualcosa per darsi una mano e dare una mano alle altre. Come? Chiudendo l’azienda alle quattro del pomeriggio, per esempio, alla stregua di quel succede in molte realtà della Germania, e andando incontro alle donne che hanno figli attraverso lo smartworking in orari compatibili con l’allattamento e, quando proprio non ci sono alternative, consentendo di portare la prole in ufficio.

Questa non è una proposta ma la scelta di un’imprenditrice veneta, Virginia Scirè, raccontata nei giorni scorsi da Oriana Liso su La Repubblica. In sostanza, le donne vanno in ufficio all’orario stabilito ma quando è il tempo dell’allattamento tornano a casa e soltanto dopo decidono se rientrare in azienda o continuare il lavoro in smartworking. In ogni caso, alle 16 è tutto finito, casa o ufficio nulla cambia.

L’idea si è fatta largo nella testa di Scirè quando ha avuto il secondo figlio: il suo lavoro nel settore della vendita di fasce e marsupi per bambini la impegnava moltissimo. Usciva da casa la mattina e rientrava la sera tardi, così aveva la sensazione che nel frattempo si stesse perdendo qualcosa dei suoi figli. Voleva fare bene l’imprenditrice e anche la mamma e in quel modo le sembrava di non centrare nessuno dei due obiettivi.  Allora ha cominciato a pensare che l’azienda potesse chiudere alle 16, ma ancora non bastava. Si poteva pure osare la flessibilità totale durante l’allattamento. E anche lo smartworking. Nota bene: era prima della pandemia. Poi c’è stato il lockdown e certe scelte sono state obbligate, come per tutti. Dopo la prima fase di chiusura lei e le sue dipendenti sono tornate in ufficio, ed è stato allora che ha dato il via libera: bambini in azienda, non solo i neonati. Seguivano le lezioni a distanza con le madri a due passi e, allo stesso tempo, tutti insieme si contribuiva alla protezione dei nonni, in quel momento tra i soggetti più fragili che il Covid potesse colpire.

Virginia Scirè aveva fatto un post su Instagram subito dopo le dichiarazioni della stilista Elisabetta Franchi che aveva detto di assumere nei posti di vertice della sua azienda di moda solo donne over 40 che possono lavorare h 24. “C’è un’alternativa”, aveva scritto sui social l’imprenditrice veneta. L’effetto immediato delle sue parole sono stati 500 curriculum di donne in cerca di lavoro. Ha risposto a tutte ma non solo: ha consegnato quelle richieste alla deputata Lia Quartapelle con la speranza che la politica traduca in realtà le istanze sul tavolo da moltissimo temp, ossia congedo di paternità obbligatorio, nuovi servizi per le famiglie, tempo pieno vero nelle scuole.

Del resto Virginia Scirè a suo tempo aveva dovuto fare la sua scelta, ed è stata quella comune a molte donne: lasciare il lavoro. Aveva avuto il primo figlio, che peraltro aveva problemi di salute, e a tre mesi dal parto era stata trasferita a 110 chilometri da casa. Se n’era dovuta andare. Ed è stata la sua fortuna, nel senso che si è data da fare, in proprio. Siccome faceva un sacco di acquisti online per il suo bambino aveva provato ad aprire un negozio in rete, visto che funzionava è passata a un sito di e-commerce infine a un ufficio fisico che le consentisse di non stare sempre a casa.

Idea vincente. L’azienda si è presto allargata con la sistemazione in un capannone e l’assunzione di quattro dipendenti. A quel punto è nata la seconda figlia, e anche questa volta la maternità è stata fonte di ispirazione: la piccola dormiva solo in braccio a lei, un’amica le aveva regalato una fascia. Non ci ha pensato su due volte e il baby wearing è diventato il suo nuovo business: fasce e marsupi. Cinque anni fa, grazie a un fortunato crowdfunding, è riuscita perfino a produrre una giaccia per portare i bambini piccoli.

Il lavoro aumentava, il numero di dipendenti pure, le esigenze delle donne sono sempre le stesse e Virginia Scirè è andata incontro a tutte.

La sua azienda, Wear Me, in tre anni ha triplicato il fatturato ma non solo: la società è stata inserita da SocialFare tra le start up di impatto sociale con dipendenti in smartworking dalla Puglia alla Spagna.

Piccole donne crescono? No: grandi donne si moltiplicano.

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