Laggiù qualcuno mi ama: è in uscita in questi giorni il docu-film che il regista napoletano Mario Martone ha dedicato a Massimo Troisi che il 19 febbraio avrebbe compiuto 70 anni. Lo amano in tantissimi quaggiù, seguaci fedeli della prima ora, cresciuti con le battute de La Smorfia e Ricomincio da tre – inno di una generazione che faceva i conti con la voglia di libertà e i nuovi rapporti tra i sessi – i cinefili che lo hanno apprezzato come attore accanto a Marcello Mastroianni diretto da Ettore Scola, e il grandissimo pubblico della coppia comica con Benigni.

Aveva 41 anni Massimo Troisi quando è morto, il 4 giugno 1994, durante la lavorazione de Il Postino, tradito da quel cuore che gli aveva dato sempre problemi. Ed è come un presagio e una dolente consapevolezza, quel ‘o ssaje comme fa ‘o core, cantata insieme a Pino Daniele, anche lui cardiopatico, morto undici anni più tardi. Al centro del film di Martone c’è soprattutto il regista prima ancora del grande attore comico. Un racconto tessuto con le scene dei film, la ricostruzione di una parabola artistica partita da Napoli in anni di grande fermento, i racconti di artisti che ne son stati influenzati, tra tutti Paolo Sorrentino, e di Anna Pavignano sua partner professionale e, per dieci anni, di vita. A raccontare Massimo Troisi restano le battute dei suoi film, entrati spesso nel lessico popolare.

Una foto di scena di LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA, di Mario Martone, docu-film-omaggio a Massimo Troisi  (ANSA/ UFFICIO STAMPA )
Una foto di scena di LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA, di Mario Martone, docu-film-omaggio a Massimo Troisi  (ANSA/ UFFICIO STAMPA )
Una foto di scena di LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA, di Mario Martone, docu-film-omaggio a Massimo Troisi (ANSA/ UFFICIO STAMPA )

Ugo o Massimiliano?

“Lo chiamiamo Ugo. È il nome di tuo padre? No, è perché viene più educato. Massimiliano viene scostumato. Prima che la mamma lo chiami, u guaglione se ne va. Se lo chiami Ugo fa un passo. Al massimo Ciro per non farlo troppo represso”.  Gaetano è il protagonista di Ricomincio da tre, film di esordio alla regia di Massimo Troisi, giovane napoletano trasferito a Firenze. Il dialogo con la sua compagna, incinta, uno dei più celebri del film, riassume i due temi fondamentali, il rapporto tra uomini e donne con la difficoltà ad accettare nei fatti l’emancipazione femminile e il legame con una napoletanità che Troisi demolisce negli stereotipi ed esalta nella sua essenza più profonda. Fulminante il tormentone Napoletano? Emigrante? No!  Il film viene girato in sei settimane con un budget di 400 milioni e incassa 14 miliardi oltre a due David di Donatello, tre Nastri d’argento e due Globi d’oro.

Una foto di scena di 'Ricomincio da tre', con Massimo Troisi. (ANSA/INTERNET)
Una foto di scena di 'Ricomincio da tre', con Massimo Troisi. (ANSA/INTERNET)
Una foto di scena di 'Ricomincio da tre', con Massimo Troisi. (ANSA/INTERNET)

 Cinquanta giorni da orsacchiotto

“Vincè, io mi uccido, meglio un giorno da leone o 100 giorni da pecora? Toni’ che ne saccio io da pechere o do lione, fa’ 50 journe da orsacchiotto”. Scusate il ritardo, seconda opera da regista, è ironico già nel titolo. Troisi, a quel punto osannato come il salvatore del cinema italiano, è molto atteso alla fatidica seconda opera da regista. Lui, come al solito smitizza: «Se ti perdi un film di Troisi, non succede nulla, lo puoi vedere tra due anni o vederne un altro». Il film esce nel 1983 due anni dopo il precedente. Il protagonista è Vincenzo, timoroso e titubante, indecisione perenne che porta anche nel rapporto d’amore con Anna (interpretata da Giuliana de Sio), centro della narrazione. Scusate il ritardo, titolo molto citato, compare in uno striscione esposto dai tifosi del Napoli quando vinse il primo scudetto.

Caro Savonarola, anzi Santissimo

La lettera a Savonarola improvvisata da Massimo Troisi e Roberto Benigni, registi e attori di Non ci resta che piangere, uscito nel 1984, è una citazione e un omaggio a quella scritta in Totò, Peppino e la…. Malafemmina. È la vicenda di due amici catapultati nel 1492 e tra le varie avventure, compreso un esilarante incontro con Leonardo da Vinci, cercano di impedire la partenza di Cristoforo Colombo. I due artisti concordano la trama di base ma improvvisano la maggior parte delle scene su una sorta di canovaccio. Un sodalizio che è in qualche maniera un azzardo, uscendo dalla formula classica comico-spalla (per Troisi, Lello Arena). Ma Non ci resta che piangere, accolto in maniera controversa dalla critica, fu campione di incassi della stagione superando “Indiana Jones e il tempio maledetto” e “Ghostbusters”.

Roberto Benigni e Massimo Troisi in una foto d'archivio. ANSA
Roberto Benigni e Massimo Troisi in una foto d'archivio. ANSA
Roberto Benigni e Massimo Troisi in una foto d'archivio. ANSA

Bastava farlo capostazione

“Da quando c’è lui, treni in orario e tutto in ordine. Per far arrivare i treni in orario, però, non c’era mica bisogno di farlo capo del Governo. Bastava farlo capostazione”. La frase, rivolta a Mussolini, costerà cara a Camillo, il barbiere colpito da paralisi psicosomatica, protagonista di Le vie del signore sono finite, quarto film diretto e interpretato da Troisi, ambientato in epoca fascista che segna una maturità da regista ormai raggiunta. Ma la politica, sebbene ci sia dentro il fascismo e il carcere, è solo uno sfondo alle inquietudini del protagonista e alla tormentata storia d’amore tra Camillo e Vittoria. Il film vince un Ciak d’oro (a Marco Messeri, miglior attore non protagonista) e un Nastro d’argento alla migliore sceneggiatura.

Un uomo e una donna sono i meno indicati a sposarsi

“Io non è che sono contrario al matrimonio eh, solo credo che in particolare un uomo e una donna siano le persone meno indicate a sposarsi tra loro, troppo diversi”. Tommaso, dopo aver riconquistato Cecilia (interpretata da Francesca Neri) non si presenta all’altare. È la conclusione di Speravo fosse amore, invece era un calesse, l’ultimo film scritto e diretto da Troisi uscito nel 1991, dove le difficoltà di comunicazione nella coppia, già affrontate nei lavori precedenti, diventano il cuore di un film interamente centrato sull’amore. La colonna sonora è di Pino Daniele che otterrà il Nastro d’argento, il Globo d’oro e il Ciak d’oro. In particolare è legata al film la canzone Quando.

Un fermo immagine da Youtube dal video di "Quando", brano che Pino Daniele scrisse per Massimo Troisi (Ansa)
Un fermo immagine da Youtube dal video di "Quando", brano che Pino Daniele scrisse per Massimo Troisi (Ansa)
Un fermo immagine da Youtube dal video di "Quando", brano che Pino Daniele scrisse per Massimo Troisi (Ansa)

Che ora è?

Le tensioni tra padre e figlio interpretati da Marcello Mastroianni e Massimo Troisi si sciolgono nel gioco del “Che ora è” che ruota intorno all’orologio d’argento che Michele ha avuto in dono dal nonno. È la scena finale di Che ora è, film di Ettore Scola del 1989 che consacra il Troisi attore in una coppia formidabile con Marcello Mastroianni a raccontare le difficoltà di dialogo tra generazioni. Tanto formidabile che otterranno insieme la Coppa Volpi come miglior attore protagonista al Festival di Venezia, il più prestigioso riconoscimento ottenuto da Troisi. Con Scola, ha girato anche Splendor e Il Viaggio di Capitan Fracassa in cui interpreta Pulcinella.

La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve

Il Postino, diretto da Michael Radford, è a tutti gli effetti il film testamento. Troisi aveva acquistato i diritti del libro Ardiente Paciencia dello scrittore cileno Antonio Skàrmeta e proposto la regia a Radford. Durante l’incontro col regista fa un controllo a Houston, dove era stato operato anni prima. Subisce un nuovo complesso intervento ma i medici gli consigliano il trapianto. Decide di aspettare e girare il film centrato sull’incontro tra Neruda (interpretato da Philippe Noiret) esiliato in un’isola e il postino Mario. Girato a Cinecittà, Salina e Procida, segna il rapido peggioramento delle condizioni dell’artista costretto in molte scene a essere sostituito da una controfigura. Muore poche ore dopo la fine delle riprese il 4 giugno 1994. Il Postino viene candidato a cinque premi Oscar, compreso quello postumo a Troisi, ma vince solo quello per la colonna sonora di Luis Bacalov.  Il volto scavato di un Troisi sofferente diventa la rappresentazione plastica dell’immortalità dell’arte e della poesia. Che, come dice Mario a Neruda, “non è di chi la scrive ma di chi gli serve”.

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