Mariano IV aveva visto bene: la svolta economica, sociale e di espansione militare, poteva arrivare dal commercio e in particolare dal fiorente mercato del vino. Sotto questa lente si possono leggere e interpretare i 66 capitoli del suo Codice Rurale, emanato intorno alla metà del 1300, ripreso prima dal figlio Ugone III e poi dalla figlia Eleonora d’Arborea che lo inserì nella sua Carta De Logu adattandolo alle nuove esigenze del tempo. “Vignas. La viticoltura nel Codice Rurale e nella Carta de Logu” è il titolo del convegno organizzato l’1 dicembre scorso nell’Auditorium dell’Hospitalis Sancti Antoni di Oristano dall’Istar, l’Istituto storico arborense, in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune di Oristano e con l’assessorato alla Pubblica istruzione e beni culturali della Regione.

Il proemio del Codice Rurale di Mariano IV (foto concessa Istar)
Il proemio del Codice Rurale di Mariano IV (foto concessa Istar)
Il proemio del Codice Rurale di Mariano IV (foto concessa Istar)

I DOCUMENTI «Sia la Carta de Logu, sia il Codice Rurale di Mariano IV dedicano diversi capitoli alla viticoltura e alle vigne», ha spiegato Giampaolo Mele, direttore scientifico dell’Istar e Ordinario di Storia della musica medioevale e rinascimentale Università di Sassari. «In particolare, il padre di Eleonora d’Arborea cita nel prologo della sua raccolta di leggi agrarie le lamentazioni che si levavano "nelle terre nostre d’Arborea e di Logudoro, riguardo alle vigne, gli orti e i coltivi che vanno in rovina e si impoveriscono per la scarsa vigilanza e cura che si dà al bestiame, da parte del proprietario e di chi lo custodisce, per la qual cosa molte vigne e orti restano abbandonati e incolti, e molte persone, che pure vi lavorerebbero". L’incontro - ha aggiunto Mele - ha offerto un quadro storico divulgativo della coltivazione della vite nel Giudicato, sulla base del diritto arborense. Inoltre è stato tracciato un excursus sulla Vernaccia, non menzionata da Mariano né da Eleonora, ma documentata nel Medioevo sardo». Un tuffo nella storia giudicale dunque valorizzato anche da «un omaggio musicale di canti e danze della fine del Trecento, tratte dal Llibre Vermell di Montserrat, ai tempi della Peste Nera». Al convegno dell’Istituto storico arborense, che ha offerto un contributo conoscitivo sulla coltivazione della vite ai tempi del Giudicato, consentendo inoltre di approfondire la storia della vernaccia nella Sardegna medievale, hanno partecipato l’assessore alla Cultura Luca Faedda e la presidente dell’Istar Erika Vivian. Al tavolo dei relatori lo studioso Gian Giacomo Ortu, già Ordinario di Storia moderna e di Analitica storica dei luoghi presso la Facoltà di Architettura dell’università di Cagliari e direttore del Dipartimento storico politico internazionale dell’età moderna e contemporanea. In chiusura l’intervento musicale di Claudio Quirico Serra (voce) e Franco Fois (liuto).

Gian Giacomo Ortu, già professore Ordinario di Storia moderna dell’Università di Cagliari (Archivio L'Unione Sarda)
Gian Giacomo Ortu, già professore Ordinario di Storia moderna dell’Università di Cagliari (Archivio L'Unione Sarda)
Gian Giacomo Ortu, già professore Ordinario di Storia moderna dell’Università di Cagliari (Archivio L'Unione Sarda)

L’ANALISI «La viticoltura è una componente importante della potenza economica del Giudicato d’Arborea che gli consente di sostenere per decenni la guerra di liberazione della Sardegna dalla dominazione aragonese», ha spiegato Gian Giacomo Ortu. Lo studioso ha proposto una relazione su Vite e vigne nel Giudicato d’Arborea. «La creazione nel territorio di ogni villaggio di un distretto viticolo, ordinata dai giudici Mariano IV ed Eleonora, è fattore, per la necessità della sua gestione collettiva, di costruzione della stessa comunità rurale e dei suoi organi di autogoverno - ha precisato Ortu -. Correlativamente, l’affermazione della proprietà individuale sulle vigne contribuisce alla definitiva emancipazione dei contadini dalla servitù ed è veicolo e fattore di sviluppo dell’azienda agricola autonoma. Irrobustendo e tonificando il tessuto sociale del Giudicato, la formazione di un ceto di agricoltori proprietari contribuisce a conferirgli quel profilo di civiltà di uomini liberi che possiamo ben dire arborense».

VERNACCIA Nel corso del convegno si è parlato anche del fascino che avvolge la Vernaccia di Oristano, un vino dalla storia antica profondamente radicata alla terra dell’antico Giudicato di Arborea ma anche tanto carica di mistero. In Sardegna la più antica attestazione scritta della parola Vernaccia risale, attualmente, ai primi decenni del XIV secolo e si trova nel Breve di Villa di Chiesa. Il codice di leggi della cittadina medievale riporta la parola "varnaccia" in riferimento al vino che deve essere venduto dai "vinaiuoli et vinaiuole" nel rispetto di ben definite modalità. La Villa mineraria con una parte del territorio che oggi corrisponde al Sulcis Iglesiente era sotto la dominazione pisana per mano della dinastia dei Donoratico e del Comune di Pisa prima di passare sotto gli stemmi della corona d’Aragona. Il testo, probabilmente del 1327 se non antecedente, ha un nucleo originale risalente alla fine del XIII secolo. Il cosiddetto "Costituto" emanato dai nobili pisani Della Gherardesca impone però un interrogativo centrale: quale è la vernaccia di cui parla il Breve? Si può ipotizzare che fosse la stessa prodotta nel Giudicato di Arborea? Oppure è un richiamo al ben noto vino toscano che nulla ha da vedere con la attuale Vernaccia di Oristano? Eleonora d’Arborea nella sua Carta de Logu riprende e amplia il Corpus di ordinamenti promulgato del padre. Spicca un’attenzione straordinaria per la vigna e le viti. Eppure non figura mai un richiamo diretto al vino Vernaccia o ad altri specifici vini. Da qui prende le mosse una vera e propria indagine esplorativa interdisciplinare su una gemma enologica che la storia, la tradizione e la simbologia, hanno fatto assurgere a vino mito, leggendario, sino ai giorni nostri. Un unicum al mondo, emblema di Oristano.

ALLA CORTE DEGLI ARBOREA Mariano IV prima ed Eleonora poi, sapevano bene quale salto in avanti avrebbe vissuto il tessuto sociale del loro regno tutelando le produzioni viticole. Genova, Pisa e Aragona erano importanti modelli di sviluppo a cui guardare. Il commercio delle Repubbliche marinare era incentrato anche e soprattutto sui mercati dei vini prodotti nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo e in particolare nel sud del bacino orientale. Iglesias, tra il XIII e il XIV secolo era un esempio di sviluppo avanzato. Gli ordinamenti del Breve sono una cartina di Tornasole del tessuto sociale caratterizzato appunto da una piccola borghesia nascente che guarda con attenzione a quanto avviene nella Toscana e nel centro Italia. La Villa valorizza il commercio e l’artigianato. Esercita un gusto per la vita, e per la vita urbana, che in qualche modo trova un riflesso in molti capitoli del Breve. Evidente nel codice un continuo riferimento ai borghesi, ai mercanti, agli artigiani e a una popolazione che assapora i primi segnali di un’età “moderna”.

L’Arborea di Mariano IV e di Eleonora deve ancora disinnescare molti freni, retaggio da un medioevo rurale ancora imperante che, in parte, tengono il Giudicato in un orizzonte più chiuso. I codici dei Giudici non parlano di tipologie di vino. Non si fa alcun cenno alla Vernaccia, per esempio, vino che certamente sia Mariano IV che Ugone III d’Arborea ed Eleonora dovevano conoscere bene. Si riparte dunque dai campi e dalle vigne. Che all’epoca erano certamente predominanti nella terra degli Arborea. Lo rimarca molto bene la studiosa Barbara Fois in La vite e il vino nell’Arborea Giudicale secoli XI - XIV (Rivista di Storia dell'Agricoltura - a. XXXII, n. 1, giugno 1992) dove si prende in esame, in particolare, il condaghe di Santa Maria di Bonarcado. La geografia delle vigne riguardava soprattutto la Curatoria del Campidano di Milis, il Campidano Maggiore, il Guilcier e il Barigadu, la Barbagia di Ollolai e il Campidano di Simagis sino all’estremo sud del regno con la Curatoria di Bonorzuli. Da questo patrimonio grazie ai Giudici e ai loro ordinamenti si sarebbe dovuto attivare un indispensabile processo innovativo vitivinicolo di rinascita sociale ed economica. E in parte così fu. 

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