Non sono l’Iraq, né l’Afghanistan e né lo Yemen i Paesi più a rischio per chi fa informazione. Eppure in scenari di guerra c’è sempre qualcuno che non vorrebbe che si racconti quanto accade. I giornalisti rischiano, e anche molto, nel democratico Messico, il più grande Paese del Centro America. Dal 2000 sono 142 (131 uomini e 11 donne) i cronisti uccisi a causa del loro lavoro di ricerca e dei loro racconti di corruzione, traffico di droga e abusi di ogni genere commessi dai narcos in combutta con ufficiali e soldati dell’esercito e agenti e dirigenti della polizia, con governatori e sindaci. E il numero è approssimato per difetto e tiene conto solo delle certezze sul movente. Ma altri omicidi e altre sparizioni di giornalisti sono oggetto di ulteriori verifiche proprio per collocarli in un contesto ben preciso. Con non poche difficoltà, legate alle resistenze della polizia, troppo spesso al soldo dei cartelli criminali e quindi interessati a non rivelare alcun particolare.  

Isabel Hernandez dopo un lavoro di anni, nel 2014 ha pubblicato “La terra dei narcos”, la mappa dei cartelli della droga che si sono impadroniti del Messico già da qualche decennio e i loro contatti con i vertici dello stato, in particolare con Genaro Garcia Luna, a lungo potentissimo capo della polizia federale e della sicurezza del Paese. Nel 2019, l’uomo è stato arrestato a Miami con l’accusa di corruzione: aveva intascato milioni di dollari dal Cartello di Sinaloa. In pratica, Garcia Luna aveva consentito a El Chapo (Joaquim Guzman Loera) di far crescere i suoi traffici mentre si occupava di arrestare o uccidere i capi delle altre organizzazioni, lasciando così via libera ai sinaloensi. Hernandez ha scritto questo e molto altro ancora nel libro cominciando a ricevere minacce pesanti. Avevano ucciso suo padre quando era una ragazzina e la polizia non indagò sull’omicidio perché la famiglia non pagò gli agenti. Ora la giornalista, scrive per la rivista “Proceso” e tiene lezioni all’università di Berkeley in California, vive sotto scorta con il marito e i suoi tre figli. Ma è viva.

Diego Osorno è un altro giovane giornalista messicano che ha raccontato e continua a raccontare l’orrore di una guerra dimenticata. Già, una guerra. Ogni anno il Messico conta una infinità di morti ammazzati: l’anno scorso è stata superata quota 35 mila, vale a dire poco meno di 100 al giorno. Considerando la popolazione, sarebbe come se in Italia gli omicidi fossero 50 ogni santo giorno. E nella poco edificante graduatoria delle città più violente del pianeta, il Messico ne annovera ben cinque nelle prime 10 e quattro nelle prime 5 (al terzo posto c’è Caracas, Venezuela). Ozorno ha scritto dei “Los Zetas”, sicuramente il cartello più efferato e brutale mai conosciuto e che ha contribuito a far salire il livello di violenza nel Paese. Chi non ha visto lo spettacolo orrendo dei corpi senza vita appesi ai ponti stradali o smembrati con arti e teste gettati in più strade delle città?

Messico, protesta di massa per gli studenti scomparsi (foto AP)
Messico, protesta di massa per gli studenti scomparsi (foto AP)
Messico, protesta di massa per gli studenti scomparsi (foto AP)

“Los Zetas” una volta sequestrarono un giovane blogger di Anonymous, colpevole di scrivere storie di narcotraffico, con l’intento di torturarlo e ucciderlo. Ma gli amici del gruppo di hacker minacciarono gli Zetas che se gli avessero torto un solo capello avrebbero pubblicato sul blog i rapporti dei criminali con tutti i livelli politici. Un paio d’ore più tardi il ragazzo potè riabbracciare la sua famiglia. Osorno ha tenuto duro, non si è fatto intimidire e ha continuato a denunciare quanto accadeva nel nord del Messico al confine con gli Stati Uniti. Anche lui ha dovuto arrendersi e accettare la protezione pur di poter proseguire il suo lavoro da cronista.

Hernandez e Osorno sono due esempi, non i soli, in un Paese martoriato che non vuole, probabilmente non può, affrancarsi da una criminalità sempre più invasiva e sempre più potente. Il Messico ha risorse straordinarie, materie prime che altrove mancano, eppure non riesce a modificare il suo status ma rimane ostaggio dei narcotrafficanti che ormai hanno il solo problema di riciclare montagne di soldi sporchi e di mettere a tacere chiunque cerchi di ostacolarli o, addirittura, di denunciarli. Molti giornali, quotidiani e periodici, hanno subito attentati e sono stati costretti a chiudere. Altri hanno deciso di limitare al minimo la pubblicazione delle notizie di stragi e delitti della “guerra della droga” per evitare ritorsioni. Limiti alla libertà di stampa che non tutti conoscono e che collocano il Messico al 144° posto della classifica mondiale​​​​​​​​​​​​​​

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