Sono passati cinquantacinque anni ma l’eco della rivolta antimilitarista di Pratobello non si è mai spenta. Anzi, il ricordo di quella protesta popolare tra le campagne di Orgosolo e Fonni sembra improvvisamente riaffiorare in questi giorni di mobilitazione contro l’assalto eolico. Saccargia come Pratobello è l’accostamento che rimbalza in ogni angolo dell’Isola: l’azione battezzata nella piana della basilica del Sassarese per contrastare la speculazione sulle rinnovabili nell’Isola potrebbe lasciare un segno come riuscì a fare la comunità barbaricina nel 1969.

La nascita del poligono

Ma cosa accadde in quei giorni tra la primavera e l’estate, passati alla storia per la grande mobilitazione popolare? I primi accenni di protesta comparvero a metà maggio, quando cominciò a circolare la voce che nell’area di Pratobello potesse sorgere un poligono di addestramento militare. Indiscrezioni che divennero certezze il 27, quando sui muri di Orgosolo apparvero i manifesti affissi dai soldati della Brigata Trieste: si annunciava la presenza militare nell’area di Pratobello, dove si requisiva una porzione di 12mila ettari per un’esercitazione estiva. Non un territorio qualunque, ma quello con i migliori pascoli a sud di Orgosolo, che attraversavano Pratobello e poi Montes, Funtana Bona e Duvilinò. Si invitavano i pastori a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, la zona sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento per l’Esercito. Si assicurava un rimborso di 30 lire giornaliere a capo e di 75 lire al chilo per il mangime, compensazioni viste subito come inadeguate e quasi offensive. L’inizio delle esercitazioni di tiro venne fissato per il 19 giugno. Tempi strettissimi, quindi, tra l’annuncio e la fase operativa, un vero e proprio blitz organizzato dallo Stato maggiore a Roma: i pastori in poco più di venti giorni avrebbero dovuto trovare altri pascoli, peraltro a decine di chilometri di distanza, trasferendo quasi 40mila capi di bestiame tra ovini e bovini. Senza contare che l’area tra i colli barbaricini rappresentava in quel periodo dell’anno una sorta di ritorno a casa per gli allevatori che d’inverno si trasferivano nelle piane del Meilogu, della Baronia, della Gallura.

I timori per il futuro

Non c’era solo lo spostamento in fretta e furia delle greggi a spaventare la comunità di Orgosolo e degli altri centri della zona: si avvertiva la netta sensazione che l’iniziativa dell’Esercito fosse travestita da “missione estiva” e che in realtà il concetto di temporaneo si sarebbe trasformato in permanente in un’Isola che già aveva cominciato a versare il suo tributo smisurato alle servitù militari. Da qui le prime iniziative di protesta cittadina ispirate allo slogan “concimi, non proiettili”.

La mobilitazione

Il 7 giugno ci fu un’assemblea popolare e il Circolo giovanile di Orgosolo organizzò subito una manifestazione per il 9 giugno: quel lunedì di prima mattina circa 3500 persone si diressero in campagna nell’area simbolo di Pratobello, dove nel frattempo stavano prendendo forma i primi insediamenti del poligono. Autorità (dal Comune alla Questura), associazioni di categoria e sindacati tentarono la strada della mediazione, soprattutto sugli indennizzi economici, per convincere la popolazione a desistere dalla protesta. Tutto inutile, il movimento restò tanto spontaneo quanto compatto. Nei giorni successivi la mobilitazione andò in crescendo, fino al 19 giugno, data d’inizio delle esercitazioni: i cittadini di Orgosolo decisero di dar vita a una protesta non violenta, occupando la zona di Pratobello: donne, uomini, bambini, pressoché tutti gli abitanti del centro barbaricino si trasferirono nell’area individuata per le esercitazioni. Un’azione che limitò immediatamente l’attività dei militari, nonostante i momenti di tensione che videro a più riprese l’intervento delle forze dell’ordine. Il giorno dopo l’iniziativa fu replicata: la comunità orgolese tornò a Pratobello all’alba. Altra giornata coi nervi scoperti: le squadre militari e di polizia si ritrovarono in difficoltà soprattutto davanti alla protesta non violenta, messa in scena in particolare dalle donne, dai ragazzi, dai bambini. Minacce e blocchi non fermarono i manifestanti, che arrivarono a pochi metri dall’accampamento militare.

L’azione più dura

Lunedì 23 fu il giorno più aspro: ancora una volta migliaia di persone si riversarono nell’area del poligono, ma stavolta ci fu una risposta dura da parte dello Stato, con la mobilitazione massiccia di uomini e mezzi, tra blindati ed elicotteri. Si cercò di disperdere la folla, anche con una serie di rastrellamenti che portarono le forze speciali a fermare tantissimi orgolesi. Circa 450 persone vennero bloccate in un centro improvvisato all’interno del poligono, mentre altre 80 furono portate in Questura a Nuoro. Un’azione pesante manovrata da Roma che però non riuscì a far rientrare la protesta. Fu necessario aprire un canale di trattativa, complice anche l’intervento in questa direzione di Francesco Cossiga, allora sottosegretario alla Difesa. La sera stessa partì una delegazione per la Capitale: c’erano Ignazio Pirastu, deputato del Pci, Carlo Sanna, anche lui deputato, ma socialista del Psiup, e Gonario Gianoglio, democristiano, appena passato dalla guida del Comune di Nuoro al Consiglio regionale. Con loro anche alcuni pastori, agricoltori e studenti. In quelle ore arrivò un telegramma di solidarietà del padre del Partito sardo d’azione Emilio Lussu, quasi ottantenne e ormai lontano dalla politica attiva: “Quanto avviene a Pratobello contro pastorizia e agricoltura è una provocazione colonialista, mi sento solidale con pastori e contadini. Rimborso danni e premio in denaro sono un offensivo palliativo che non annulla, ma aggrava l’ingiustizia. Se fossi in condizioni di salute differenti sarei con loro”.

La mediazione a Roma

La trattativa romana fermò per quarantott’ore ogni attività a Pratobello, ma gli orgolesi non lasciarono il loro presidio ai bordi del poligono. Tutti avevano lo sguardo puntato sulla Capitale in attesa di notizie. Arrivò la fumata bianca, la Difesa abbandonò la strada della servitù militare permanente, il vero piano iniziale. Fu la vittoria della popolazione barbaricina. «Il poligono di Pratobello è temporaneo», confermò il documento ufficiale scritto a conclusione del tavolo di Roma. «Le forze militari completeranno le proprie esercitazioni entro la metà di agosto e i terreni in tale data saranno restituiti agli abitanti di Orgosolo». E poi: «L’amministrazione militare sentirà i pastori e le loro organizzazioni al fine di determinare la reale consistenza dei danni e la giusta misura degli indennizzi per gli sgomberi, compresi i giorni delle agitazioni».

Pratobello ai pastori

Era il risultato invocato dai manifestanti, l’Esercito si allontanò in modo definitivo da Pratobello. I pascoli tornarono ai pastori. Quei giorni di rivolta popolare lasciarono un segno indelebile nella cronaca contemporanea della Sardegna. La testimonianza tangibile arrivò coi murales, da quel tempo simbolo di Orgosolo. Il primo venne realizzato proprio nel 1969, appena dopo la rivolta, con la firma del gruppo anarchico Dioniso. Da allora è stato un crescendo di narrazioni artistiche, spesso sul solco dei fatti di Pratobello. Un pezzo di orgoglio di popolo consegnato alla storia dell’Isola.

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