Quando un omicidio viene commesso da ragazzi giovanissimi gli adulti, ma pressoché tutta l’opinione pubblica, si interroga sulla deriva della gioventù e cerca di trovare un movente a tanta violenza, spesso nata per futili motivi. Così è accaduto nel 2000 quando, a Chiavenna, tre ragazze tra i 16 e i 17 anni uccisero una suora per provare un’emozione (così raccontarono). L’anno successivo, a Novi Ligure, un altro delitto scosse l’Italia: una sedicenne e il suo fidanzatino diciasettenne uccisero la madre e il fratello di lei a coltellate e per giorni ressero gli interrogatori con sorprendente freddezza. Così come lucidi e freddi erano stati descritti i cosiddetti “ragazzi del cavalcavia” che, nel 1996, per scacciare la noia, da un viadotto sull’autostrada Torino- Brescia, tiravano sassi sulle auto, finché non uccisero una giovane di 31 anni.

Quella che a molti è parsa efferatezza, mista ad indifferenza, si è registrata anche qualche giorno fa, a Pescara, dove il diciasettenne Christopher Thomas Luciani è stato ucciso a coltellate da due coetanei, pare per un debito di 200 euro relativo a un piccolo spaccio di droga. Un presunto movente che, però, non spiega il delitto né ciò che è successo dopo: i presunti assassini si sarebbero cambiati gli abiti e sarebbero andati tranquillamente al mare, tanto che il magistrato minorile – nell’ordinanza di custodia cautelare - ha parlato di assenza di empatia emotiva.

E potrebbe essere proprio questa la chiave per capire come sia possibile che dei giovani di buona famiglia, che frequentano la scuola e non hanno mai sgarrato, improvvisamente si possano trasformare in feroci assassini per poi tornare, subito dopo il delitto, alla routine quotidiana, quasi inconsapevoli di quanto appena commesso.

Il fatto – come sottolineano molti esperti - è che l’empatia non è qualcosa di innato, ma si apprende, se si viene educati a riconoscere le emozioni e, quindi, a mettersi in relazione con l’altro: come spiegava egregiamente il filosofo Umberto Galimberti in un libro di vari anni fa, “L’ospite inquietante”, le famiglie danno spesso un’educazione che riguarda l’intelletto e il fisico: si preoccupano di far leggere i figli e di far loro praticare uno sport. Ma talvolta, sottolineano alcuni sociologi e pedagogisti, manca l’educazione emotiva ovvero l’educazione del cuore e non solo della mente. E difatti sempre più giovani soffrono, ma non sono capaci di dare un nome alle loro sofferenze psichiche. E anche i docenti della scuola, come capita di sentir dire anche agli stessi ragazzi, talvolta pensano solo ad istruire e non si preoccupano di educare alle emozioni.

Ma se famiglia e scuola sono talvolta carenti, certo il resto della società non aiuta, visto che ormai è fondata, come diceva il filosofo Spinoza, sulle “passioni tristi”: ovvero la mancanza di senso, che caratterizza la nostra epoca e che conduce al nichilismo. I giovani – sintetizzano vari esperti - spesso vivono senza promessa del futuro in un deserto emotivo, in cui non sanno riconoscere le proprie emozioni né quelle degli altri: è qui che possono maturare questi delitti atroci, in cui mente e cuore non sono connessi, perché nessuno ha insegnato come si fa. I valori di solidarietà e aiuto reciproco sono stati sostituiti con il denaro, l’immagine, la fama, perché la società della tecnica ha come fine una crescita continua ma senza senso. Ciò sta producendo una società sempre più individualista, in cui ognuno è chiuso nella propria solitudine: allora l’unica via rimane la comunicazione e il rapporto con l’altro, la costruzione di un senso anche laddove la tecnica si è sostituita a dio. E ciò forse può avvenire se si riparte dalla famiglia e dalla scuola.

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