L’hanno fatta un po’ complicata, per la scelta del nome, e alla fine hanno deciso di chiamarlo ITsART, giocando sul fatto che i contenuti sono arte italiana e che, in inglese e con un apostrofo in più, l’espressione significa “è arte”. Ma al di là di una denominazione non proprio semplice da memorizzare, soprattutto da chi è appunto italiano e l’inglese non lo “mastica”, l’idea è buona: un canale televisivo in streaming (cioè, ci si scarica i contenuti e li si guarda sulla tv, sul tablet o sullo smartphone) sull’eccellenza del patrimonio artistico e culturale italiano.

ITsART nasce per essere l’orgoglio del ministro dei Beni e le Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, che ha voluto questa piattaforma in piena pandemia per rimediare al fatto che non potevamo sederci in un teatro o in una sala concerti, visitare i musei o i luoghi della cultura come, ad esempio, Pompei. Dell’operazione è protagonista Cassa depositi e prestiti (la piattaforma streaming è sua per il 51%) e Chili, già presente sul mercato video in streaming, cui fa capo il restante 49%. Con tutte le polemiche che sono seguite per la scelta di un partner senza bando pubblico, oltretutto, e considerato che i partner di Chili sono 20th Century Fox, Warner Bros, Paramount, Viacom e Sony. E tutti gli altri, no. Incomprensibilmente.

Nel catalogo c’è molto, ma non moltissimo. Vi si trovano concerti (ad esempio, uno realizzato a Pompei sulle musiche di Morricone o quello di Paolo Conte alla Venaria Reale vicino a Torino), ma anche video su musei, opere liriche, concerti sinfonici, luoghi come ad esempio il Giardino delle pietre sonore di Pinuccio Sciola a San Sperate e tanto altro. Anche se non abbastanza, ma in futuro su questo nodo si potrebbe migliorare. Alcuni contenuti sono gratuiti, altri – i più “commerciabili”, ovviamente – a pagamento: si noleggia la visione per un periodo ridotto di tempo o si acquista il prodotto (di solito, costa un euro in più rispetto al noleggio, ma comunque generalmente non si superano i dieci euro) e lo si può godere ogni volta che lo si desidera.

Tutto bene? Beh, il supporto all’arte e alla cultura del nostro Paese c’è senz’altro, ma certo si poteva supportare di più e meglio, considerato che i punti di caduta sono tanti. Ad esempio, i tempi di realizzazione: ITsART è pensata in zona rossa pandemica, ma è diventata una realtà un po’ incerta quando ormai l’apice dell’emergenza Covid-19 non c’era più. Ci avrebbe fatto comodo, quando ci chiudevano in casa per evitare i contagi e i vaccini non esistevano, ma in Italia si sa che i tempi per realizzare qualcosa sono sempre dilatati a dismisura. Però, quantomeno, i luoghi della cultura (particolarmente, i teatri e le sale per concerti, a lungo anche i musei) sono rimasti in zona rossa ben oltre rispetto alla popolazione, e di una piattaforma così bisogna dire che c’era bisogno sia per soddisfare le nostre esigenze culturali sia per dare comunque occasioni di lavoro a chi non aveva più un palco dove esibirsi. O un portone aperto al pubblico, come ad esempio i musei e gli altri luoghi della cultura.

Però, quando nell’autopromozione di una piattaforma come ITsART si cita, tra i “i gioielli” il concerto dei Pink Floyd a Pompei (è di mezzo secolo fa), salta subito all’occhio che un problema di catalogo c’è. Se, poi, a questo si aggiunge che l’app per questo canale culturale è presente solo nelle smart tv (a patto che te la scarichi, e non tutti ne sono capaci), ma tuttora non esiste per smartphone e tablet e tantomeno la si scorge tra quelle del decoder Sky che offre comunque Netflix, Amazon Video e Raiplay giusto per fare tre esempi, ci si rende conto che ITsART esiste e lavora, ma cammina con le caviglie legate. Come spesso avviene quando c’entra il settore pubblico, un’eccellente idea è realizzata solo in parte, in ritardo e con una promozione modesta come la sua utilizzabilità. Anche fare lo streaming dallo smartphone e vederlo sulla Tv richiede un’interfaccia come ad esempio (non è l’unico modo) la chiavetta di Google, che si chiama Chromecast: però bisogna collegarsi al sito di ITsART con il programma dello smartphone per navigare su Internet (il browser) e poi trasferirlo allo schermo della tv, e questo è un atteggiamento inattuale, considerato che la tecnologia corre velocissima, mentre un’App dedicata sarebbe stata tutt’altra cosa.

Era ovvio. Com’è ovvio che, visto come si sono fatte le cose, quell’App manchi ancora oggi.

Lasciati fuori dal progetto i lavoratori dello spettacolo, “auditi” tardivamente e quindi a cose fatte, la “Netflix della cultura” ha molto di culturale e ben poco dell’organizzazione di Netflix, anche se qualcosa si muove. Ma qualcosa è troppo poco. E forse non è stata una grande idea non coinvolgere Raicinque, anch’esso ispirato al mondo della cultura e per questo snobbato ma ora di meno, grazie al successo dell’applicazione Raiplay finalmente ben lanciata dalla stessa Rai, e nella quale Raicinque è presente. Ma si è deciso di fare senza, e infatti ITsART senza va avanti, ma pian pianino. Stesso discorso per Sky Arte. In effetti, un investimento di venti milioni di euro non è granché, per una piattaforma ben poco conosciuta e ancor meno utilizzata come ITsART, che potenzialmente sarebbe una miniera d’oro. E, alla fine, ci si chiede se la cultura è snobbata e quindi una piattaforma come questa nasce penalizzata. Oppure, al contrario, se è la piattaforma inadeguata a “sfruttare” nei propri streaming l’incommensurabile patrimonio artistico e culturale italiano. All’estero, esperimenti del genere sono andati assai meglio senza avere la ricchezza culturale del nostro Paese. E anche qui da noi.

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